Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4755 del 26/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 26/02/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 26/02/2010), n.4755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25552-2005 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARLO POMA 2,

presso lo studio dell’avvocato CAPITANI ROBERTA, rappresentato e

difeso dall’avvocato BORAGINA VITO, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 51/2004 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANZARO, depositata il 30/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito per il resistente l’Avvocato TIDORE BARBARA, che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

il rigetto.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Il contribuente sopra indicato ha proposto ricorso per cassazione, nei confronti dell’Agenzia delle entrate di Pagani, avverso la sentenza indicata in epigrafe, con cui la C.T.R. ha respinto l’appello del contribuente medesimo, cosi confermando la pretesa tributaria avanzata con distinti avvisi di accertamento in rettifica delle dichiarazioni ai fini IRPEF ed ILOR dal 1986 al 1991.

Il ricorso è articolato su quattro motivi:

1. Omessa, carente o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non avendo la C.T.R. indicato i motivi della condivisione della sentenza di primo grado, nè quelli della qualificazione attribuita alla memoria presentata in primo grado e della conferma dell’inammissibilità della produzione documentale nello stesso (limitandosi a ricollegarla alla loro mancata notifica), nè, infine, quelli riguardanti il merito della rettifica e relativi all’equiparazione ricavi/reddito, all’illegittimo diniego dei costi, all’assunzione di responsabilità da parte del consulente della ditta, come da dichiarazione inclusa nel p.v.c., ed ai vari rilievi di cui all’atto di appello ed alla memoria esplicativa.

2. Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), perchè la C.T.R., omettendo di considerare che il ricorso introduttivo conteneva precisi petitum e causa petendi, avrebbe dovuto considerare pienamente ammissibile la memoria depositata in primo grado, in quanto qualificabile come esplicativa (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32) e non come integrativa dei motivi.

3. Ulteriore violazione di detta disposizione e dell’art. 32, D.Lgs. cit. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la C.T.R. erroneamente confermato la statuizione della C.T.P., d’inammissibilità del deposito di documenti in primo grado, in quanto non erano “stati formalmente offerti al contraddittorio della controparte mediante notifica o scambio documentato”, dato che, invece, in base alle invocate norme, i documenti devono essere soltanto depositati in segreteria in unica copia, mentre solo la nota accompagnatoria – per l’ipotesi in cui essi non siano allegati ad altri atti processuali – va offerta in comunicazione alla controparte, ma l’ipotetica omissione di tale formalità non determinerebbe, ad avviso del ricorrente, alcuna inammissibilità.

4. Violazione D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), non avendo la C.T.R. riconosciuto la deduzione, neanche forfettaria, dei costi corrispondenti ai maggiori ricavi accertati, invocata nel giudizio di appello, sul rilievo, da un lato, che lo svolgimento dell’attività di distribuzione di carburanti, in epoca in cui i loro prezzi erano predeterminati per legge, non consentiva evasioni nella proporzione accertata e, dall’altro, e che limitatamente ai costi per interessi, la deduzione poteva essere riconosciuta sulla base degli estratti conto bancari in atti.

La parte erariale resiste con controricorso, nel quale deduce l’infondatezza del ricorso e ne chiede il rigetto; sottolinea, tra l’altro, che la questione di cui al quarto motivo avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, in quanto proposta solo in appello.

Il ricorso si rivela privo di pregio, in quanto i motivi sono inammissibili sotto molteplici profili.

Anzitutto, difetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., n. 3 il quale postula che il ricorso per cassazione – pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia – offra, almeno nella trattazione dei motivi di impugnazione, elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti, ivi compresa la sentenza impugnata (Cass. n. 4403/06; 7392/04;

1959/04; 8154/03).

Pertanto, si rivela inammissibile il ricorso in cui, come nella specie, risultino omesse la descrizione dei fatti che avevano ingenerato la controversia, la posizione delle parti e le difese spiegate in giudizio dalle stesse, le statuizioni adottate dal primo giudice e le ragioni a esse sottese, avendo, per tali fondamentali notizie, il ricorrente fatto generico rimando, nell’esposizione dei singoli motivi, alle relative deduzioni svolte in appello.

Ciò impedisce al giudice di legittimità una diretta e completa cognizione dell’oggetto delle doglianze; nè al principio di autosufficienza si può ottemperare per relationem, mediante il generico richiamo alle deduzioni presentate nei precedenti gradi (Cass. 13.12.2006 n. 26693; 17.5.2006 n. 11501). Rispetto al terzo motivo, in particolare, la mancata indicazione dei documenti depositati e delle circostanze che con essi si intendeva dimostrare non consente a questa Corte di apprezzare la decisivita della produzione che si assume erroneamente dichiarata inammissibile.

D’altra parte, i quattro motivi, pur deducendo il primo un vizio motivazionale ed i restanti tre delle violazioni di legge, lamentano tutti sostanzialmente l’omessa pronuncia su domande, ovvero su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte. L’omissione di siffatta pronuncia integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e, conseguentemente, è inammissibile il motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto (come nei motivi dal secondo al quarto), ovvero – come nel primo motivo – quale vizio della motivazione (Cass. n. 24856/06; 1701/06; 19976/05; 20076/04;

14003/04; 9707/03).

In ordine al quarto motivo, inoltre, essendo esso relativo alla questione della deduzione dei costi corrispondenti ai maggiori ricavi accertati, che lo stesso ricorrente indica come invocata nel giudizio di appello sussiste un ulteriore profilo d’inammissibilità. Infatti, il vizio di omessa pronuncia, da parte del giudice di appello, non è configurabile in relazione ad una domanda nuova, giacchè la proposizione di una domanda inammissibile non determina l’insorgere di alcun potere – dovere del giudice adito di pronunciarsi su di essa (Cass. n. 10489/09; 12214/06; 6094/06; 16033/04; 11933/03; 2080/01).

Senza contare che, per la deducibilità delle componenti negative del reddito d’impresa, è richiesto il rigoroso assolvimento, da parte del contribuente, dell’onere probatorio sull’esistenza e l’inerenza dei costi non registrati (Cass. n. 3305/09; 10257/08; 4218/06), dovendosi, altresì, ribadire che l’abrogazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 6 ad opera del D.P.R. n. 695 del 1996, art. 5 comporta solo un ampliamento del regime di prova dei costi da parte del contribuente, prova che può essere fornita anche con mezzi diversi dalle scritture contabili (purchè costituenti elementi certi e precisi, come prescritto dall’art. 75, comma 4), ma non certamente l’attenuazione della regola sulla ripartizione dell’onere della prova (Cass. n. 3305/09; 6572/08; 10964/07; 4218/06).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.2 00,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2010

 

 

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