Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4752 del 23/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/02/2017, (ud. 12/01/2017, dep.23/02/2017),  n. 4752

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1912-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

PREMIERE DI A.D. E C SAS, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FOSSO DI

DRAGONCELLO, 116, presso lo studio dell’avvocato GIULIANO BOSCHETTI,

che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3263/1/2015, emessa il 26/05/2015 della

COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA, depositata il 09/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO

MOCCI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione sintetica ed osserva quanto segue.

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che aveva respinto il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione della Premiere di A.D. & C. s.a.s. contro un avviso di accertamento IVA e IRAP 2005.

Nella decisione impugnata, la CTR ha affermato che l’Ufficio aveva omesso di indicare i motivi specifici di impugnazione e che, in ogni caso, l’importo di Euro 4.500 era stato erogato con pagamento bancario, mentre, quanto all’ammortamento dei beni acquistati nell’esercizio, essi erano stati ridotti alla metà.

Il ricorso è affidato a cinque motivi.

Col primo rilievo, si denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 14 e 29, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. La CTR avrebbe reputato priva di pregio l’eccezione relativa alla mancata integrazione del contraddittorio tra soci e società, sollevata dall’Ufficio già in relazione alla sentenza di primo grado.

Con le successive doglianze, tutte ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), si sostiene rispettivamente: a) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., perchè la CTR si sarebbe limitata ad accogliere pedissequamente le difese spiegate dalla società, ritenendo di poter dedurre elementi probatori dalle illazioni della contribuente e senza alcun elemento concreto in grado di supportare le conclusioni assunte; b) la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5 TUIR, per non aver rilevato la totale mancanza di inerenza dei costi dedotti dalla società rispetto all’attività svolta; c) la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 4, non avendo la CTR tenuto conto del fatto che la società avrebbe dovuto evidenziare nel quadro EC della dichiarazione dei redditi la quota di ammortamento fiscale; d) la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per violazione dell’obbligo di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato: i giudici di merito avrebbero proceduto all’integrale annullamento dell’avviso, nonostante l’impugnazione della contribuente fosse stata solo parziale.

L’intimata ha resistito con controricorso.

Il primo motivo è manifestamente fondato ed assorbente di tutte le ulteriori doglianze.

Invero, non è parte del processo il socio accomandante della Premiere di A.D. s.a.s.

E’ invero pacifico che la fattispecie riguarda l’accertamento di maggior reddito ai fini IRAP e IVA a carico della società di persone, oltre che ai fini IRPEF in capo ai soci.

Orbene, la unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società personali e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili comporta che il ricorso tributario proposto da uno dei soci o dalla società, anche avverso un solo avviso di rettifica, riguarda inscindibilmente la società ed i soci, i quali tutti devono essere parte dello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1) perchè non ha ad oggetto la singola posizione debitoria dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto alla obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva della obbligazione (Cass., SS.UU. 1052/2007).

E, d’altronde, è vero che l’accertamento di maggior imponibile IVA a carico di una società di persone, se autonomamente operato, non determina, in caso d’impugnazione, la necessità d’integrare il contraddittorio nei confronti dei relativi soci. Tuttavia, qualora l’Agenzia abbia contestualmente proceduto, sia pur con distinti atti impositivi, all’accertamento d’IVA e d’ILOR, fondati su elementi anche solo in parte comuni, il profilo dell’accertamento impugnato concernente l’imponibile IVA, che non sia suscettibile di autonoma definizione in funzione di aspetti ad esso specifici, non si sottrae al vincolo necessario del “simultaneus processus”, attesa l’inscindibilità delle due situazioni e l’esigenza, alla luce dell’art. 111 Cost., di evitare decisioni irragionevolmente contrastanti (Sez. 5 n. 21340 del 21/10/2015; Sez. 5, n. 26071 del 30/12/2015).

Trattasi pertanto di fattispecie di litisconsorzio necessario originario, con la conseguenza che il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati destinatario di un atto impositivo apre la strada al giudizio necessariamente collettivo ed il giudice adito in primo grado deve ordinare l’integrazione del contraddittorio (a meno che non si possa disporre la riunione dei ricorsi proposti separatamente, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29); il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è nullo per violazione del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 2, e trattasi di nullità assoluta che può e deve essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (Cass. SS. UU. 14815 del 2008; Sez. 5, n. 13073 del 2012).

Dato che nel caso di specie il giudizio è stato celebrato senza che fosse disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i litisconsorti necessari – nè apparendo di qualche utilità la riunione dei ricorsi separatamente proposti dalla società e dai soci, atteso il diverso stato dei giudizi – deve concludersi che l’intero rapporto processuale si è sviluppato in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14.

Alla declaratoria di nullità dell’intero giudizio consegue la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Commissione tributaria provinciale di Roma, in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra esposti.

La statuizione d’ufficio autorizza l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte dichiara la nullità dell’intero giudizio, cassa l’impugnata sentenza, con rinvio alla CTP di Roma, in diversa composizione.

Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2017

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