Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4749 del 25/02/2011

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2011, (ud. 11/02/2011, dep. 25/02/2011), n.4749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2894/2010 proposto da:

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO ((OMISSIS)) in persona del Dirigente con incarico di

livello generale e con funzioni di Direttore Centrale Risorse Umane,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, rappresentato

e difeso dagli Avvocati VUOSO Lucio, PONTONE MICHELE, giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.G. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato MARESCA

ARTURO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SPEZIALE

Valerio, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 580/2009 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA del

15/10/09, depositata il 30/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/02/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito per il controricorrente l’Avvocato GAETANO GIANNI’ per delega

dell’Avvocato MARESCA ARTURO che si riporta agli scritti;

è presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RUSSO

LIBERTINO ALBERTO che aderisce alla relazione.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza del 15 – 30.10.2009 la Corte d’Appello di L’Aquila ha rigettato il gravame proposto dall’Inal nei confronti di C. G. avverso a pronuncia di prime cure che aveva riconosciuto il diritto di quest’ultimo, collocato a riposo il 1.4.2003, alla riliquidazione dell’indennità di buonuscita per effetto del computo, nella relativa base di calcolo, dell’indennità di funzione di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 15, per la responsabilità di struttura zonale, percepita dall’ex dipendente; a sostegno del decisum la Corte territoriale ha ritenuto la non necessità, ai fini de quibus, di un riconoscimento formale, dovendo per contro essere verificata soltanto la natura retributiva, fissa e continuativa, dell’emolumento, e che, nella specie, tali requisiti erano da ritenersi sussistenti, stante la correlazione dell’indennità all’incarico espletato dall’ex dipendente e attesa la possibilità di predeterminare il quantum della medesima.

Avverso tale sentenza della Corte territoriale l’Inail ha proposto ricorso fondato su due motivi; l’intimato C.G. ha resistito con controricorso.

A seguito di relazione e previo deposito di memorie di entrambe le parti, la causa è stata decisa in camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c..

2. Con il primo motivo l’istituto ricorrente denuncia violazione della L. n. 70 del 1975, art. 13, assumendo che, stante l’epoca del collocamento a riposo del C., successiva al 30.9.1999, il trattamento di quiescenza doveva essere liquidato sulla base della predetta normativa, riferentesi soltanto alle voci stipendiali e a quelle riconosciute utili ai fini della quiescibilità, con esclusione quindi dell’indennità in parola, in difetto di qualsivoglia riconoscimento della sua computabilità; richiama inoltre alcune pronunce di questa Corte secondo cui tutte le voci retributive aventi carattere non stipendiale, e quindi anche l’indennità di funzione, devono essere escluse dal computo dei trattamento di fine servizio; con il secondo motivo l’Istituto ricorrente denuncia violazione degli artt. 31 e 5 del Regolamento di previdenza e di quiescenza del proprio personale, approvato con dm 30.5.1969, assumendo che, ove lo stesso debba ritenersi applicabile, nessuna rilevanza può essere attribuita alla circostanza che l’art. 5 di detto Regolamento sia stato annullato dai giudici amministrativi nella parte in cui demandava esclusivamente al Consiglio di Amministrazione la possibilità di definire quali competenze di carattere fisso e continuativo potevano essere considerate utili per il trattamento di quiescenza e di previdenza.

3. I motivi di ricorso d’appello, così come quelli de presente ricorso per cassazione, attraverso la prospettazione di una diversa tesi interpretativa, offrono una ricostruzione della normativa di riferimento alternativa rispetto a quella dei Giudici a quibus, che hanno ritenuto la computabilità dell’emolumento di che trattasi ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita; con ciò effettivamente si contrappongono all’opzione ermeneutica accolta nel precedente grado di giudizio e, in tal modo, soddisfano al requisito della specificità dei motivi, non costituendo peraltro elemento decisivo, nell’ottica delle doglianze svolte, il ritenuto carattere fisso e continuativo dell’emolumento; deve quindi escludersi, contrariamente all’avviso del controricorrente, l’inammissibilità del ricorso d’appello e di quello per cassazione e, al contempo, l’avvenuta formazione del giudicato interno.

Ciò premesso trova applicazione il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite (cfr., ex plurimis, Cass., SU, n. 10933/1997), secondo cui il giudice ha l’obbligo di rilevare d’ufficio l’esistenza di una norma di legge idonea ad escludere, alla stregua delle circostanze di fatto già allegate ed acquisite agli atti di causa, il diritto vantato dalla parte, e ciò anche in grado di appello e di cassazione, senza che su tale obbligo possa esplicare rilievo la circostanza che in primo grado le questioni controverse abbiano investito altri e diversi profili di possibile infondatezza della pretesa in contestazione e che la statuizione conclusiva di detto grado si sia limitata solo a tali diversi profili, atteso che la disciplina legale inerente al fatto giuridico costitutivo del diritto è di per se sottoposta al giudice di grado superiore, senza che vi ostino i limiti dell’effetto devolutivo.

4. Le Sezioni Unite di questa Corte, componendo il contrasto insorto nella giurisprudenza della Sezione Lavoro, con le sentenze nn. 7154/2010 e 7158/2010 (conforme, altresì, Cass., n. 11478/2010) hanno affermato il principio di diritto secondo cui, in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del cosiddetto parastato, la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 13, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 c.c.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all’autonomia regolamentare dei singoli enti solo l’eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio; il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicchè deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (nella specie, l’indennità di funzione ex art. 15, secondo comma, della legge n. 88 del 1989, il salario di professionalità o assegno di garanzia retribuzione e l’indennità particolari compiti di vigilanza per i dipendenti dell’Inps) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti, come quello dell’Inps, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo.

Le argomentazioni addotte dalla parte controricorrente non offrono ragioni sufficienti per far ritenere non condivisibile il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite (art. 374 c.p.c., comma 3), in particolare dovendo rilevarsi che la ricognizione del quadro normativo che lo sottende non resta scalfita dalla indicata presenza di disposizioni legislative e pattizie collettive specificamente escludenti dal trattamento di quiescenza ovvero dall’indennità di anzianità talune voci retributive; nè, a sostegno di una diversa opzione ermeneutica, possono addursi dubbi di legittimità costituzionale su quella accolta dalle Sezioni Unite, posto che, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, il rispetto dell’art. 36 Cost., in ipotesi di un trattamento globale costituito da più componenti, deve essere valutato non con riguardo a ciascuna di queste, bensì alla totalità dell’emolumento (cfr, ex plurimis, Corte Cost., nn. 366/2006; 470/2002; 368/1999; 15/1995) e dovendo rilevarsi, al riguardo, che la buonuscita costituisce uno degli elementi dei trattamento globale spettante ai lavoratori pubblici privatizzati (cfr., in particolare, Corte Cost. n. 366/2006).

I primo motivo di ricorso appare quindi manifestamente fondato.

5. Consegue, restando assorbita la disamina del secondo motivo, l’accoglimento del ricorso, correlato alla sussistenza di precedente, con conseguente cassazione della pronuncia impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con la reiezione della domanda svolta.

Il contrasto interpretativo insorto sulla questione consiglia la compensazione delle spese afferenti all’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge la domanda; compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2011

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