Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4747 del 25/02/2011

Cassazione civile sez. III, 25/02/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 25/02/2011), n.4747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 4818/2010 proposto da:

M.N. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA NIZZA 45, presso lo studio dell’avvocato FIORENTINI

Stefano, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A. (OMISSIS), S.L.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA R. R.

PEREIRA 41, presso lo studio dell’avvocato PAOLO FOCA’, rappresentati

e difesi dall’avvocato CONTINI Angelo, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 222/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

7/01/09, depositata il 26/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/02/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

è presente il P.G. in persona del Dott. NICOLA LETTIERI.

La Corte, letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 10 febbraio 2010 M.N. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 26 gennaio 2008 (rectius: 2009) dalla Corte d’Appello di Milano, confermativa della sentenza del Tribunale che aveva rigettato la sua domanda di risarcimento danni da diffamazione e dichiarato inammissibile l’analoga domanda riconvenzionale di C.A. e S.L..

Costoro resistevano con controricorso.

2 – I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3.- Il primo motivo lamenta violazione/falsa applicazione dell’art. 598 c.p., in relazione all’acquisizione degli elementi probatori integranti i reati di cui agli artt. 594 e 595 c.p., costituiti dalla mancata contestazione da parte degli originari convenuti ovvero se il fatto che il Giudice di Prime Cure applichi l’esimente di cui all’art. 598 c.p., in assenza di contestazioni da parte dei predetti convenuti sui reati presupposto non costituisca acquisizione agli atti del processo della consumazione dei sottostanti reati di cui agli artt. 594 e 595 c.p..

Alla formulazione inusuale della censura, difficilmente inquadrabile nello schema prefigurato dall’art. 360 c.p.c., n. 3, si associa un quesito che non postula l’enunciazione di un principio di diritto fondato sulla normativa indicata e trascura qualsiasi riferimento alla motivazione della sentenza impugnata.

Il secondo motivo ipotizza violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione alla reciproca soccombenza, ovvero se la reciproca soccombenza possa fare luogo ad una condanna unilaterale alla rifusione delle spese di causa.

La censura involge un potere discrezionale del giudice di merito, il quale ha il solo limite costituito dal divieto di porre le spese a carico della parte totalmente vittoriosa, situazione che non ricorre nella specie. Inoltre si conclude con un quesito assolutamente astratto, poichè prescinde dai necessari riferimenti alla motivazione della sentenza impugnata.

4.- La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie nè alcuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in Camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; inoltre ha rilevato che il primo motivo non censura la vera ratio decidendi, secondo cui manca la prova che le parole ingiuriose lamentate siano state effettivamente pronunciate, e che il secondo motivo è manifestamente infondato;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 1.300,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2011

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