Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4744 del 23/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 23/02/2021), n.4744

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4159/2014 R.G. proposto da:

L.L., (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso dagli Avv.ti

Patrizia Brandi e Flaminia Rueca, elettivamente domiciliato presso

lo studio di quest’ultima in Roma, via Gregorio VII, n. 269;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 34/18/12 della Commissione Tributaria

Regionale dell’Emilia Romagna depositata il 18 maggio 2012 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 7 ottobre 2020

dal Consigliere Dott.ssa Laura Mancini.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In data 30 novembre 2001 l’Ufficio Distrettuale delle imposte dirette di Ferrara notificò a L.L. l’avviso di accertamento n. 3491008181, con il quale era stato accertato per l’anno di imposta 1995 un reddito di capitale di Lire 28.054.000 a lui imputabile quale socio della Co.pro.zoo. soc. coop. a r.l. e maggiori redditi di partecipazione per complessive Lire 753.889.000 derivanti da maggiori utili percepiti in forza della quota di partecipazione pari al 50% detenuta nella Azienda Agricola del Torbida s.n.c. con sede in (OMISSIS).

Il contribuente impugnò il predetto atto davanti alla Commissione tributaria provinciale di Ferrara, la quale, con sentenza n. 340/02 accolse il ricorso.

Con sentenza n. 135/05/06 la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna accolse l’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria e riformò la pronuncia di primo grado.

Avverso tale pronuncia il L. propose ricorso per cassazione e, con ordinanza n. 22794/10, questa Corte dichiarò la nullità del giudizio di appello e rimise le parti davanti alla Commissione tributaria regionale.

Il giudizio fu riassunto dal L..

2. Con sentenza n. 34/18/2012 i giudici d’appello respinsero il ricorso del contribuente con condanna dello stesso al pagamento delle spese del giudizio.

3. Contro tale pronuncia L.L. propone ricorso affidato a tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Entrambe le parti depositano memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla effettiva sussistenza della ristretta base azionaria della Coprozoo soc. coop. a r.l.”.

Ad avviso del ricorrente, l’Amministrazione finanziaria ha fondato l’accertamento di maggiori redditi sulla presunzione di distribuzione degli utili da parte della Co.pro.zoo soc. coop. a r.l., sull’erroneo presupposto della ristretta base partecipativa di tale società cooperativa.

Nondimeno – soggiunge il contribuente – nè la sentenza di primo grado, nè la prima decisione d’appello, nè la pronuncia della Corte di Cassazione, hanno affrontato tale profilo, che, invece, è stato preso in considerazione dalla sentenza impugnata.

Inoltre, la sentenza gravata avrebbe “omesso ogni e qualsiasi esame sul suo indefettibile presupposto e, cioè, che la Coprozoo fosse e potesse considerarsi, in concreto, una società a ristretta base partecipativa tale da giustificare il conseguente ragionamento presuntivo”, pur avendo il contribuente contestato la ricorrenza di tale circostanza, tanto nel giudizio di primo grado, tanto nel primo ricorso per cassazione, quanto nell’atto di riassunzione del giudizio davanti al giudice d’appello.

1.1. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 si deduce “violazione dell’art. 2909 c.c. sul fatto che la Coprozoo soc. coop. a r.l. non era una società a ristretta base azionaria”.

Secondo il ricorrente, sull’esclusione della qualificazione della Co.pro.zoo soc. coop. a r.l. alla stregua di società a ristretta base partecipativa è intervenuta pronuncia passata in giudicato nel giudizio promosso da altri soci della società cooperativa e vertente su avvisi di accertamento relativi all’anno di imposta 1995 identici a quello che viene in rilievo nel caso di specie.

1.2. Con il terzo mezzo, spiegato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si prospetta “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla doppia imposizione attuata con l’avviso di accertamento di cui è causa”.

Si sostiene che l’avviso di accertamento ha comportato una doppia imposizione sugli stessi redditi, sia nei confronti della Co.pro.zoo soc. coop. a r.l., che nei riguardi dei soci e che tale questione, ancorchè riproposta dal contribuente anche nel giudizio di riassunzione conseguente al giudizio di cassazione, è stata del tutto ignorata dalla Commissione tributaria regionale.

Inoltre, la doppia imposizione così realizzata si pone in contrasto con il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127 (oggi art. 163), con la conseguenza che dovrebbe essere rivisto l’orientamento di legittimità che esclude la configurabilità di una duplice imposizione in ragione della diversità tra i soggetti passivi e tra i requisiti nelle rispettive imposizioni, giacchè i soci dovrebbero essere tassati limitatamente allo scarto determinato dall’eventuale differenza positiva tra l’aliquota IRPEG e l’aliquota media IRPEF cui i maggiori redditi vengono sottoposti con l’accertamento.

2. Il primo motivo è infondato.

Occorre premettere che, dovendo trovare applicazione ratione temporis la versione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, il vizio di omessa e insufficiente motivazione rilevante nel caso di specie è quello configurabile allorchè dal compendio giustificativo sviluppato a supporto della decisione emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione o sia evincibile un’obiettiva carenza nell’iter logico-argomentativo che ha condotto il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamene applicata.

La decisione impugnata non si presta, però, alle denunciate censure motivazionali giacchè, contrariamente a quanto argomentato nel ricorso, ha preso in considerazione i fatti dedotti dal contribuente al fine di dimostrare che la Co.pro.zoo. soc. coop. a r.l., di cui lo stesso L. era socio, non fosse annoverabile tra le società a ristretta base azionaria, rilevandone l’ininfluenza per essere stati gli stessi allegati al fine di ottenere l’applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 116, temporalmente inapplicabile nel caso di specie.

A prescindere dalla correttezza in diritto del ragionamento decisorio sviluppato a corredo del proprio convincimento, i giudici d’appello hanno seguito un itinerario argomentativo completo, mostrando di apprezzare la fattispecie in piena adesione al suo assetto fattuale e soffermandosi, in particolare, sul presupposto di operatività della presunzione di distribuzione ai soci degli utili sociali non contabilizzati, la cui ricorrenza è stata contrastata dal contribuente, così che non è ravvisabile in esso alcun difetto delibativo.

3. Non persuadono neanche le argomentazioni svolte a sostegno del secondo mezzo.

Il ricorrente pretende, invero, di avvantaggiarsi degli effetti di una pronuncia che assume essere stata resa inter alios, sia pure con riferimento alla medesima vicenda societaria che viene in rilievo nel caso di specie.

Per contro, secondo un principio condiviso da questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, affinchè il giudicato sostanziale formatosi in un giudizio operi all’interno di altro instaurato successivamente, è necessario che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, oltre che di petitum e di causa petendi, ai fini della cui individuazione rilevano non tanto le ragioni giuridiche enunciate dalla parte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio, bensì l’insieme delle circostanze di fatto che la parte stessa pone a base della propria richiesta, essendo compito precipuo del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti in causa (Cass. Sez. L, ord. 25/6/2018, n. 16688).

4. Anche il terzo motivo deve essere respinto.

Il ricorrente, censurando l’omessa pronuncia dei giudici d’appello sull’effetto di doppia imposizione scaturente dall’applicazione della presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, deduce, in realtà, l’omesso esame di una questione di diritto.

Eppure, il paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a tal fine invocato, nella versione applicabile ratione temporis – introdotta dalla L. n. 40 del 2006 – innovando la precedente formulazione prevedeva l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione non circa un “punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”, bensì circa un “fatto controverso e decisivo per il giudizio”, laddove, a fronte del significato ampio ed atecnico del primo termine, indicativo di qualunque fatto, elemento, questione, situazione o circostanza in ordine alla quale la motivazione possa essere viziata, il concetto di fatto è più specifico sia dal punto di vista naturalistico che giuridico.

Secondo l’interpretazione più accreditata in dottrina e avallata

dalla giurisprudenza prevalente, i fatti in ordine ai quali assume rilievo il vizio di motivazione sono, invero, i “fatti principali”, ossia i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi del diritto controverso come individuati dall’art. 2697 c.c., e i “fatti secondari”, ossia i fatti affermati dalle parti in funzione di prova dei fatti principali.

Al contrario, nell’area semantica della nozione di fatto, da intendersi, dunque, come specifico accadimento in senso storico-naturalistico, non possono certo includersi le questioni o le argomentazioni (Cass. Sez. 6-1, Ord. 6/9/2019, n. 22397; Cass. Sez. 1, Ord. 18/10/2018, n. 26305; Cass. Sez. 2, 14/6/2017, n. 14802).

La critica rivolta alla ricostruzione interpretativa elaborata dalla giurisprudenza di legittimità e seguita dalla sentenza gravata – secondo la quale in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, ove siano accertati utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi – in quanto ritenuta foriera di doppia imposizione, non si appunta, dunque, su uno specifico fatto, principale o secondario, ma involge una questione di diritto che, per le ragioni esposte, si sottrae allo scrutinio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 invocato dal ricorrente.

5. In conclusione, il ricorso è respinto.

Le spese del giudizio di legittimità sono liquidate in dispositivo in ossequio al principio della soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021

 

 

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