Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 474 del 14/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/01/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 14/01/2020), n.474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Presidente –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13185-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

GENERALINDUSTRI ESTRATTIVE SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 9035/18/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 24/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/10/2019 dal Consigliere Relatore Don. RAFFAELE

CAPOZZI.

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR della Campania, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso una decisione della CTP di Caserta, di accoglimento del ricorso della contribuente s.p.a. “GENERALI INDUSTRIE ESTRATTIVE” avverso avviso accertamento IRES, IRAP ed IVA 2009; invero entrambi i giudici di merito avevano rilevato che l’ufficio non aveva rispettato il termine dilatorio di gg. 60, di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, prima di emettere l’avviso di accertamento impugnato, termine che sarebbe dovuto decorrere dalla data di notifica del processo verbale di constatazione per accesso breve (9 dicembre 2014); comunque il termine anzidetto neppure sarebbe stato rispettato con riferimento alla data di consegna del pvc (2 dicembre 2019).

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a tre motivi;

che con il primo motivo l’Agenzia lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il cit. art. 12 era applicabile solo per gli avvisi di accertamento emanati a seguito di pvc conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all’esercizio dell’attività, mentre, nel caso in esame, gli elementi erano stati acquisiti aliunde e cioè in forza di una segnalazione dall’Agenzia delle entrate di Caserta; c’era stata sì una verifica generale eseguita nei confronti della società anzidetta, a seguito della quale tuttavia non era stata formalizzata alcuna constatazione e contestazione; c’era stato poi un ulteriore accesso breve il 2 dicembre 2014, riferito tuttavia a più annualità d’imposte e, con riferimento al 2009, i verbalizzanti avevano dichiarato che avrebbero provveduto ad effettuare segnalazioni all’ufficio, senza avere formalizzato alcuna constatazione;

che con il secondo motivo l’ufficio lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 e della sentenza CGUE 3 luglio 2014 in causa C-129/13 KAMINO, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto l’ufficio, se avesse dovuto rispettare il termine di gg. 60 previsto dal cit. art. 12, comma 7, sarebbe decaduto dalla pretesa tributaria riferita al 2009; inoltre, con riferimento ai tributi armonizzati, qual’era l’IVA, la CTR avrebbe dovuto verificare se la censura relativa al mancato rispetto del termine di cui all’art. 12, comma 7 cit., era da ritenersi meramente formale ovvero sostanziale, avendo il contribuente dovuto enunciare in concreto le ragioni da far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e che dette ragioni non fossero meramente pretestuose; e la CTR aveva omesso di effettuare detta valutazione;

che, con il terzo motivo, l’Agenzia lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies e della sentenza CGUE 3 luglio 2014 in causa C-129/13 KAMINO, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto anche per le imposte dirette avrebbe dovuto valere il principio, di diretta applicazione del diritto comunitario, secondo il quale la mancata instaurazione del contraddittorio endopcedimentale non avrebbe potuto comportare la nullità dell’accertamento, qualora non fosse stata collegata a motivi sostanziali e non meramente formali, non essendo rinvenibile nel nostro ordinamento un orientamento univocamente interpretabile nel senso della inderogabilità del contraddittorio endoprocedimentale;

che la contribuente non si è costituita;

che il primo motivo di ricorso è infondato;

che invero le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 24823 del 2015) hanno precisato che le garanzie fissate nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 e cioè l’obbligo dell’amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, trovano applicazione solo in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente;

che, nella specie, non è contestato che si sia trattato di controllo fiscale eseguito a seguito di accesso, sia pur breve, presso la sede della società contribuente, con conseguente applicabilità della garanzia sopra descritta, non potendo costituire una valida deroga al rispetto del termine dilatorio in questione la circostanza che il rispetto del medesimo avrebbe comportato la decadenza della pretesa tributaria riferita al 2009, potendosi al riguardo obiettare che trattavasi di circostanza oggettivamente prevedibile e rimessa all’organizzazione dell’ufficio accertatore (cfr., in termini, Cass. n. 5149 del 2016; Cass. n. 8749 del 2018);

che sono altresì infondati il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro, con i quali la ricorrente ha fatto presente che, con riferimento all’IVA, da qualificare tributo armonizzato, doveva essere applicata la c.d. prova di resistenza, affermata dalla citata sentenza Cass. SS.UU. n. 24823 del 2015 e consistente nella verifica in concreto dell’impatto della violazione sull’esito dell’accertamento; il contribuente sarebbe stato cioè tenuto ad enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e che non ha potuto proporre, onde poterne apprezzare la consistenza e validità; e tale principio avrebbe dovuto essere applicato anche con riferimento ai tributi nazionali;

che, al contrario, allo scopo di evitare un’ingiustificata ridotta protezione da accordare ai tributi armonizzati rispetto a quella che il diritto interno assicura ai tributi non armonizzati, è da ritenere che la L. n. 212 del 2000, art. 12 comma 7, nel caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, abbia operato una valutazione ex ante circa il rispetto del contraddittorio, attraverso la previsione di nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio; pertanto anche per i tributi armonizzati, qual è l’IVA, la necessità della prova di resistenza, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, scatta solo se la normativa interna non preveda già la sanzione di nullità; e poichè, nel caso in esame, si è trattato di accertamento effettuato con accesso da parte degli accertatori, deve trovare applicazione generale e senza distinzione in relazione al tipo di tributo (se cioè armonizzato od interno) la cit. L. n. 212 del 2000, art. 12 comma 7, sì che, nella specie, l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto rispettare per tutti i tributi accertati il termine dilatorio di giorni 60 previsto dalla norma di cui sopra, termine che, pacificamente, l’ufficio non ha osservato nella specie; non è da ritenere pertanto necessario vagliare la serietà delle allegazioni difensive a sostegno della c.d. prova di resistenza, in quanto la normativa sopra richiamata esclude la possibilità per l’interprete di svolgere ulteriore attività accertativa anche con riferimento all’IVA (cfr., in termini, Cass. n. 701 del 2019);

che il ricorso va pertanto rigettato, senza necessità di provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimata svolto difese; e poichè risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, trattandosi di amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1 – quater.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020

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