Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4735 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 21/02/2020), n.4735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22406-2017 proposto da:

S.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5,

presso lo studio dell’avvocato ORLANDO SIVIERI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PAOLA PICCI giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SIENA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI SAN SABA

12, presso lo studio dell’avvocato LAURA SCORCUCCHI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MONICA CARDINALI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

ST.LU.;

– intimato –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di SIENA, depositata il 28/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

S.E., nominato CTU in una controversia intentata dall’ing. St. nei confronti del Comune di Siena al fine di conseguire il pagamento dei compensi professionali maturati per lo svolgimento dell’attività progettuale concernente due opere commissionate dal Comune, proponeva opposizione avverso il decreto di liquidazione con il quale erano state liquidate le proprie competenze in base al criterio delle vacazioni.

Il Presidente del Tribunale di Siena con ordinanza del 28/02/2017 ha rigettato il ricorso ritenendo che non potesse applicarsi il criterio di cui al D.M. 30 maggio 2002, art. 11, in quanto la consulenza non aveva ad oggetto costruzioni edilizie, ma la determinazione del compenso spettante ad un professionista, come emergeva anche dal quesito affidato all’ausiliario.

Pertanto era corretto il ricorso alla L. n. 319 del 1980, art. 4 (rectius D.P.R. n. 115 del 2002, art. 50, u.c.), e che in ogni caso non ricorrevano le condizioni per ravvisare una prestazione di eccezionale complessità ai fini del raddoppio dei compensi, in quanto la sola complessità e la mole dei documenti da esaminare non era idonea a determinare la complessità tecnico – scientifica dell’incarico che legittima l’aumento degli onorari.

Avverso tale ordinanza propone ricorso S.E. sulla base di cinque motivi, cui resiste il Comune di Siena con controricorso.

L’altro intimato non ha svolto difese in questa fase.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata da parte del Comune di Siena sul presupposto della sua tardiva proposizione.

Assume la parte che alla fattispecie, stante il richiamo operato dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, troverebbero applicazione le previsioni di cui all’art. 702 bis c.p.c., che prevede che l’appello debba essere proposto nei trenta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza.

Mutatis mutandis, ne discende che anche il ricorso per cassazione per essere tempestivo, deve essere proposto nei sessanta giorni dalla comunicazione (avvenuta nella fattispecie in data 8/3/2017), con la conseguenza che non potrebbe la parte avvalersi del termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c..

La deduzione è però priva di fondamento.

Ed, invero, se il richiamo alla disciplina dei procedimenti sommari è stato utilizzato anche dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 106/2016) al fine di individuare comunque un termine perentorio entro il quale proporre l’opposizione avverso il decreto emesso dal giudice in tema di liquidazione delle spese di giustizia, attesa l’abrogazione ad opera del D.Lgs. n. 150 del 2011 del precedente termine di venti giorni (impedendo in tal modo che l’opposizione fosse suscettibile di proposizione sine die), tuttavia ciò appare limitato alla sola individuazione del termine per proporre opposizione, ma in assenza di una diversa espressa indicazione, non appare suscettibile di estensione anche al fine di individuare il diverso termine per la proposizione del ricorso straordinario avverso la decisione adottata all’esito del giudizio di opposizione.

Reputa il Collegio che in tal senso risulti ancora condivisibile la giurisprudenza maturata nella vigenza della L. n. 319 del 1980 (le cui previsioni, quanto meno dal punto di vista sistematico, la successiva disciplina del D.P.R. n. 115 del 2002 ricalca) a mente della quale (cfr. Cass. S.U. n. 1952/1996) in tema di compensi a periti, consulenti tecnici, interpreti o traduttori per operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria, l’ordinanza emessa dal tribunale a norma della L. n. 319 del 1980, art. 11, è resa in camera di consiglio, in confronto di più parti, ed incide con carattere di definitività su diritti soggettivi. Pertanto, essa, non essendo altrimenti impugnabile, è soggetta a ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., il cui termine breve di proposizione decorre, a norma dell’art. 739 c.p.c., dalla notificazione dell’ordinanza e non dalla comunicazione eseguita a cura della cancelleria (conf. Cass. n. 3935/2001).

In assenza quindi di notificazione dell’ordinanza impugnata, deve reputarsi applicabile il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. (cfr. Cass. n. 13037/1992), che risulta essere stato rispettato nel caso in esame (ordinanza pubblicata in data 83-2017 e ricorso notificato in data 26-9-2017).

Il primo motivo di ricorso denuncia l’omessa pronuncia su di un motivo di opposizione con la conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c.

Assume il ricorrente che nell’opposizione si era dedotta l’inapplicabilità del criterio delle vacazioni, occorrendo avere riguardo alla natura delle indagini peritali effettuate, ma tale censura sarebbe stata ignorata dal giudice dell’opposizione.

Il motivo è infondato, atteso che la lettura dell’ordinanza gravata evidenzia che la questione relativa alla correttezza o meno dell’applicazione del criterio residuale delle vacazioni, lungi dall’essere stata ignorata, è stata esaminata e disattesa, nella parte in cui si è ritenuto che non potesse trovare applicazione il D.M. 30 maggio 2002, art. 11, e ciò perchè l’incarico non aveva ad oggetto costruzioni edilizie, ma la determinazione del compenso spettante ad un professionista (nella specie l’ing. St.).

Il secondo motivo denuncia l’omessa od insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, assumendosi che sia del tutto carente la motivazione che si limiti a ravvisare la correttezza dell’operato del giudice chiamato ad effettuare la liquidazione degli onorari, mancando una ricostruzione dell’iter logico che sorregge la decisione.

Il terzo motivo denuncia del pari l’omessa od insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto, attesa la difesa del Comune nella causa di merito, che aveva negato di avere conferito l’incarico all’ing. St., si era reso necessario in sede di CTU acquisire la documentazione e ricostruire le previsioni contrattuali tra le parti, ancorchè al fine di determinare il compenso spettante allo St..

Ciò porta a ritenere che tale attività di acquisizione documentale debba essere autonomamente remunerata, ed è in relazione a tale attività che era stato richiesto il compenso a vacazioni, ma tale censura non risulta esaminata nella motivazione del provvedimento gravato.

I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili in quanto formulati sulla scorta della non più applicabile formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, trattandosi di ricorso avverso provvedimento emesso in data successiva all’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012.

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.M. 30 maggio 2002, artt. 3, 4 ed 11, nonchè l’omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia.

Si assume che il ricorrente nella richiesta di liquidazione aveva distinto tra onorari a percentuale, calcolati in base al citato art. 11, ed onorari a vacazione, ma che i giudici di merito hanno ritenuto di dover fare ricorso unicamente al criterio delle vacazioni che è invece applicabile solo quando manchi una specifica previsione della tariffa ovvero, quando in relazione alla natura dell’incarico ed al tipo di accertamento, non sia possibile l’estensione analogica delle ipotesi tipiche di liquidazione.

Poichè nella fattispecie l’indagine svolta era consistita anche e soprattutto nella verifica delle opere edilizie commissionate all’ing. St., risultava corretta la scelta del ricorrente di avvalersi della previsione di cui al menzionato art. 11.

Il motivo, in disparte l’inammissibilità nella parte in cui, come sopra evidenziato, richiama la vecchia formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è infondato.

A tal fine deve ricordarsi che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 8298/1997; Cass. n. 1035/2000) ai fini della liquidazione del compenso al consulente tecnico secondo le previsioni della L. n. 319 del 1980 e delle tabelle approvate con D.P.R. n. 820 del 1983, deve aversi riguardo all’accertamento richiesto dal giudice e non al tipo di indagini che il consulente ha svolto per pervenire a quell’accertamento. Nel caso in esame il mandato conferito al CTU era volto alla determinazione, previa disamina della documentazione di causa e delle previsioni contrattuali tra le parti, del compenso complessivamente dovuto all’ing. St. per tutte le prestazioni professionali eseguite in favore del Comune di Siena.

L’oggetto dell’incarico era quindi quello di individuare sulla base dei parametri di legge, quale fosse il compenso dovuto, ancorchè per pervenire alla risposta richiesta fosse necessario svolgere indagini in ordine alla quantità ed alla qualità delle prestazioni rese da parte del professionista.

E’ evidente quindi che, proprio sulla scorta del tenore del mandato conferito, non risulta possibile sussumere l’incarico svolto dal ricorrente nell’ambito di applicazione dell’art. 11, e che la valutazione resa sul punto da parte del giudice di merito sia insuscettibile di sindacato in questa sede.

In tal senso deve, infatti, ricordarsi che (cfr. Cass. n. 17685/2010) nella determinazione degli onorari spettanti ai consulenti va applicato il criterio delle vacazioni, anzichè quello a percentuale, non solo quando manca una specifica previsione della tariffa, ma altresì quando, in relazione alla natura dell’incarico ed al tipo di accertamento richiesti dal giudice, non sia logicamente giustificata e possibile un’estensione analogica delle ipotesi tipiche di liquidazione secondo il criterio della percentuale, e che la decisione di liquidare gli onorari a tempo e non a percentuale è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata (conf. Cass. n. 7687/1999; Cass. n. 6019/2015).

Particolarmente indicativa in tale direzione risulta poi Cass. n. 9879/2012, non massimata sul punto, che in motivazione dopo avere richiamato i suesposti principi in tema di rapporti tra criterio degli onorari a percentuale ed a vacazione, ha rilevato che nel caso sottoposto al suo esame, l’incarico conferito al c.t.u. aveva una natura composita, trattandosi di valutare anche e soprattutto l’esecuzione di un contratto d’opera professionale. Nel caso di specie, infatti, la consulenza tecnica era stata determinata dalla necessità di stabilire il quantum dei compensi spettanti al professionista, quale progettista e direttore dei lavori, e di valutare eventuali vizi nella realizzazione delle opere ed il costo della loro eliminazione, ritenendo che fosse corretta la decisione del giudice del merito che aveva escluso la riconducibilità della prestazione svolta dal consulente al D.M. 30 maggio 2002, tabella allegata, art. 11, avente ad oggetto la perizia o la consulenza tecnica in materia di costruzioni edilizie.

Reputa il Collegio di dover dare continuità a tale precedente, e che pertanto il motivo debba essere disatteso.

Il quinto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 53 (rectius art. 52) nella parte in cui è stato negato l’aumento del compenso in ragione della elevata complessità e pregio dell’attività svolta.

Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui (cfr. Cass. n. 20235/2009) la possibilità di aumentare fino al doppio i compensi liquidati al consulente tecnico di ufficio, prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 52, costituisce oggetto di un potere discrezionale attribuito al giudice, che lo esercita mediante il prudente apprezzamento degli elementi a sua disposizione, e che è insindacabile in sede di legittimità.

Invece è inammissibile la doglianza quanto alla mancata liquidazione delle spese correlate alla nomina di un collaboratore, non rientrando la censura nella dedotta violazione dell’art. 52, e rientrando al più nella ipotesi di violazione dell’art. 112 c.p.c., che non risulta dedotta dalla parte in parte qua (avendo peraltro omesso di specificare in quale atto la richiesta de qua sia stata avanzata, non essendovene cenno nel provvedimento gravato).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla per le spese per l’intimato che non ha svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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