Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4734 del 26/02/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4734 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso 20201-2011 proposto da:
DIVELLA FRANCESCO DVLFNC39D24F923Y, elettivamente
domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avv. BALDUCCI CATALDO,
giusta mandato speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
2013
873

80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA
CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli
avvocati LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO

Data pubblicazione: 26/02/2013

PREDEN, GIUSEPPINA GIANNICO, giusta procura in calce
al ricorso notificato;

avverso la sentenza n.

resistente

4176/2010 della CORTE

D’APPELLO di BARI del 6.7.2010,

depositata il

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 24/01/2013 dal Consigliere Relatore
Dott. FABRIZIA GARRI;
udito per il resistente l’Avvocato Emanuele De Rose
(per delega avv. Antonella Patteri) che si riporta
agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del
Dott. COSTANTINO FUCCI che si riporta alla relazione
scritta.

UP08/2010;

FATTO E DIRITTO
Ritenuto che:
La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza n. 4176/2010 del 19 agosto 2010, accoglieva l’appello
proposto dall’INPS nei confronti di Divella Francesco e per l’effetto, in riforma della sentenza del

ministeriale dell’anno immediatamente successivo a quello di lavoro e/o disoccupazione.
La Corte d’Appello richiama i principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 2531 del 2009.
Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre il Divella prospettando un articolato motivo di ricorso,
con cui ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 488 del 1968, artt. 5 e 28, del L. n. 457
del 1972, art. 3, della L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 21; della L. n. 153 del 1962, art. 14, della L. n.
160 del 1975, art. 26, corruna 3, della L. n. 297 del 1982, art. 3, comma 8, degli artt. 3 e 38 Cost., tutti in
relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Il ricorrente censura l’iter argomentativo della suddetta sentenza di legittimità posta dalla Corte
d’Appello di Bari a fondamento della propria decisione, facendo riferimento a sopravvenienza
normativa e a un vaglio delle S.U..
L’INPS è rimasto intimato.
Il ricorso è manifestamente infondato.
L’orientamento giurisprudenziale di cui alla sentenza n. 2531 del 2009 è condivisibile e deve essere
ribadito, ne’ il percorso argomentativo della suddetta pronuncia appare inficiato dalla L. n. 191 del 2009,
art. 2, comma 5, richiamato dal ricorrente o, quale diritto vivente, si presta a dubbi di costituzionalità.
Occorre ricordare che, nelle more, è intervenuta la sentenza n. 257 del 2011 della Corte costituzionale,
con cui il Giudice delle Leggi ha dichiarato in parte inammissibili e in parte non fondate le questioni di
legittimità costituzionale della L. 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, comma 5, Legge finanziaria 2010,
relativo alla determinazione della pensione di vecchiaia degli operai agricoli a tempo determinato.
La norma impugnata, interpretativa, stabiliva che “la L. 8 agosto 1972, n. 457, art. 3, comma 3, si
interpreta nel senso che il termine ivi previsto del 30 ottobre per la rilevazione della media tra le
retribuzioni per le diverse qualifiche previste dai contratti collettivi provinciali di lavoro ai fini della
determinazione della retribuzione media convenzionale da porre a base per le prestazioni pensionistiche
e per il calcolo della contribuzione degli operai agricoli a tempo determinato è il medesimo di quello
previsto dalla L. n. 457 del 1972, art. 3, comma 2 per gli operai a tempo
indeterminato”.
In particolare, la Corte ha affermato che con riguardo all’art. 6 della CEDU, si deve osservare che la
Corte di Strasburgo, pur censurando in numerose occasioni indebite ingerenze del potere legislativo
degli Stati sull’amministrazione della giustizia, non ha inteso enunciare un divieto assoluto d’ingerenza
del legislatore, dal momento che in varie occasioni ha ritenuto non contrari al menzionato art. 6
particolari interventi retroattivi dei legislatori nazionali. Nel caso in esame, la norma censurata non è
illegittima. In particolare, si deve qui ribadire che essa: a) ha affermato un principio già presente
nell’ordinamento per gli operai agricoli a tempo determinato, sia pure limitatamente alla liquidazione
delle prestazioni temporanee (L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 21); b) ha enucleato una delle possibili
opzioni ermeneutiche dell’originario testo normativo; c) ha superato una situazione di oggettiva
incertezza di tale testo, evidenziata dai diversi indirizzi interpretativi (di cui sopra si è dato conto); d)
non ha inciso su situazioni giuridiche definitivamente acquisite, non ravvisabili in mancanza di una

Tribunale di Bari del 21.5.2007, rigettava la domanda attorea compensando le spese di giudizio.
Il Divella aveva adito il Tribunale chiedendo la riliquidazione della pensione in godimento, con il
criterio del salario medio degli operai agricoli a tempo determinato pubblicato con decreto

consolidata giurisprudenza dei giudici nazionali. Non è sostenibile, dunque, che la disposizione de qua
abbia inteso realizzare una illecita ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia, allo
scopo d’influenzare la risoluzione di controversie. Essa, in realtà, ha fatto propria una soluzione già
individuata dalla più recente giurisprudenza di legittimità, nell’esercizio di un potere discrezionale in via
di principio spettante al legislatore e nel quale non è dato ravvisare profili di irragionevolezza. La finalità
di superare un conclamato contrasto di giurisprudenza, essendo diretta a perseguire un obiettivo
d’indubbio interesse generale qual è la certezza del diritto, è configurabile come ragione idonea a
giustificare l’intervento interpretativo del legislatore.

ribadire: in tema di pensione di vecchiaia degli operai agricoli a tempo determinato, la retribuzione
pensionabile per gli ultimi anni di lavoro va calcolata applicando il D.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 28
e, dunque, in forza della determinazione operata anno per anno da d.m. sulla media delle
retribuzioni fissate dalla contrattazione provinciale nell’anno precedente, ciò trovando conferma – oltre
che nella impossibilità di rinvenire un diverso e più funzionale sistema di calcolo, che non pregiudichi
l’equilibrio stesso della gestione previdenziale di settore – anche nella disposizione di cui alla L. 17
maggio 1999, n. 144, art. 45, comma 21, che, nell’interpretare autenticamente la L. 8 agosto 1972, n.
457, art. 3, concernente le prestazioni temporanee in favore dei lavoratori agricoli, ha inteso estendere ai
lavoratori agricoli a tempo determinato l’applicazione della media della
retribuzione prevista dai contratti collettivi provinciali vigenti al 30 ottobre dell’anno precedente
prevista per i salariati fissi, così da ricondurre l’intero sistema ad uniformità, facendo operare, ai fini del
calcolo di tutte le prestazioni, le retribuzioni dell’anno precedente.
Così stando le cose, il ricorso è manifestamente infondato e va respinto.
Le spese del giudizio vanno interamente compensate in considerazione del recente consolidamento
della giurisprudenza in materia.
P.Q.M.
LA CORTE
Rigetta il ricorso.
Compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2013

La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione del seguente principio di diritto, che si intende

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