Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4734 del 23/02/2017
Cassazione civile, sez. VI, 23/02/2017, (ud. 11/11/2016, dep.23/02/2017), n. 4734
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
D.M.F., elettivamente domiciliato in Roma, via Francesco
Siacci 38, presso lo studio dell’avv. Silvio Tonazzi che, lo
rappresenta e difende, per mandato in calce al ricorso, – unitamente
ai nuovi difensori aggiunti, avv.ti Luigi Liberti e Vincenzo Guerra,
costituiti in virtù di procure dell’11 ottobre 2016, per notar
B.A. di Trani, anche essi domiciliati in Roma, via Siacci
38, presso lo studio Tonazzi, dotati di p.e.c. avv.libertijr.pec
giuffre.it e vincenzoguerra.pec.giuffre.it e di fax (OMISSIS) e che
indica, per le comunicazioni relative al processo, il fax n.
06/8085115 e la p.e.c. silviotonazzi.ordineavvocatiroma.org;
– ricorrente –
nei confronti di:
S.M., elettivamente domiciliata in Roma, viale Mazzini
6, presso l’avv. Renato Macro, rappresentata e difesa dall’avv.
Giovanni Franzese (p.e.c.
giovanni.franzese.pec.ordineavvocatitrani.it, fax (OMISSIS));
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 776/13 della Corte di appello di Bari, emessa
il 4 luglio 2013 e depositata l’11 luglio 2013, n. R.G. 332/11;
Fatto
FATTO E DIRITTO
Rilevato che in data 10 agosto 2015 è stata depositata relazione ex art. 380 bis c.p.c. che qui si riporta:
Rilevato che:
1. Il Tribunale di Trani, con sentenza del 23 novembre 2010, ha accolto la domanda di assegno di divorzio proposta da S.M. nei confronti di D.M.F. e ha quantificato l’assegno mensile in 1.000 Euro.
2. Ha proposto appello il D.M. chiedendo la revoca della statuizione o la riduzione dell’ammontare dell’assegno.
3. La Corte di appello di Bari, con sentenza n. 776/13, ha dichiarato l’inammissibilità, per tardività, dell’appello, proposto con atto depositato e iscritto a ruolo in data 8 marzo 2011 avverso la sentenza del Tribunale di Trani del 23 novembre 2010. Ha rilevato la Corte distrettuale che, sebbene sia ammissibile la proposizione dell’appello avverso la sentenza di divorzio con citazione anzichè, come pacifico in giurisprudenza, con ricorso, tuttavia deve essere rispettato, a pena di inammissibilità, il termine di 30 giorni, dalla notificazione della sentenza di primo grado, per il deposito in cancelleria dell’atto introduttivo e l’iscrizione a ruolo.
4. Ricorre per cassazione D.M.F. deducendo nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del diritto di difesa; violazione degli artt. 156 e 159 c.p.c. e art. 40 c.p.c., comma 5. Sostiene il ricorrente di essere incorso in una decadenza incolpevole attribuibile ad ausiliario del difensore e rileva che dopo l’introduzione dell’art. 40 codice di rito, comma 5, deve ritenersi la piena equipollenza fra ricorso e citazione con la conseguente pendenza del giudizio al momento del perfezionamento della notifica.
Ritenuto che:
5. Il ricorso è inammissibile essendo la statuizione della Corte distrettuale di Bari conforme alla costante giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. sez. 1, n. 21161 del 13 ottobre 2011, n. 17645 del 10 agosto 2007, nonchè Cass. civ. sez. 1, n. 19002 del 10 settembre 2014 e n. 6855 del 24 marzo 2014).
6. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
La Corte condivide tale relazione;
rileva che la inammissibilità dell’appello ha determinato il passaggio in giudicato della sentenza definitiva di primo grado del 27 novembre 2010 del Tribunale di Trani, mentre la sentenza non definitiva di cessazione degli effetti civili del 23 maggio 2006 non risulta essere stata impugnata ed è quindi passata in giudicato precedentemente;
ritiene che pertanto la richiesta, formulata dai nuovi difensori aggiunti del D.M., di dichiarazione di cessazione della materia del contendere, a seguito della delibazione, da parte della Corte di appello di Bari, con sentenza del 9/23 novembre 2015, della sentenza ecclesiastica che ha dichiarato la nullità del matrimonio, è infondata;
ritenuto che pertanto il ricorso va respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 3.100 Euro di cui 100 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2017