Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4733 del 22/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/02/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 22/02/2021), n.4733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso per conflitto di competenza, iscritto al n. rg.

12186/2020 sollevato dal Tribunale di Napoli con ordinanza n. rg.

2625/2019 del 12/02/2020 nel procedimento vertente tra:

F.A., da una parte, F.O., dall’altra:

– ricorrenti –

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale, Dott. DE RENZIS LUISA, che, visti

gli artt. 45,47 e 380-ter c.p.c., chiede alla Corte di cassazione,

riunita in camera di consiglio, di determinare la competenza della

Corte di Appello di Napoli a conoscere del procedimento iscritto al

n. 2625/2019 del ruolo Generale degli Affari Contenziosi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.A. propose reclamo, ex art. 720-bis c.p.c., comma 2, innanzi alla Corte di appello di Napoli, avverso il provvedimento del giudice tutelare di quella stessa città reiettivo della richiesta, formulata dallo stesso F., di estendere al padre O., nei cui confronti era stata disposta la misura di protezione dell’amministrazione di sostegno, il divieto di contrarre nozze ex art. 85 c.c..

1.1. La corte adita, ritenendo questo provvedimento di natura “gestoria” e non “decisoria”, così da rendere ad esso applicabile il regime impugnatorio previsto dall’art. 739 c.p.c., si dichiarò incompetente a conoscere di detto reclamo, che, a suo dire, si sarebbe dovuto promuovere innanzi al tribunale partenopeo.

2. F.A., pertanto, ha riassunto il corrispondente giudizio innanzi al menzionato tribunale, esponendo che il padre, affetto da disturbo paranoide di personalità, voleva contrarre nozze con qualunque persona lo avvicinasse, atteso lo stato di estrema fragilità e frustrazione in cui versava, derivante dalla misura di protezione emessa nei suoi confronti, che egli avvertiva come una restrizione.

2.1. Costituitosi in giudizio, F.O. ha dedotto che non erano state prospettate dall’istante, nè erano state provate, le gravi ragioni che avrebbero consentito l’estensione nei suoi confronti del divieto di contrarre matrimonio.

2.2. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 12 febbraio 2020, ha sollevato il conflitto negativo di competenza nei confronti della Corte di appello di Napoli, assumendo che, diversamente da quanto opinato da quest’ultima, all’impugnato decreto doveva riconoscersi natura “decisoria”, sicchè la cognizione del proposto reclamo doveva attribuirsi “ratione materiae” al giudice di secondo grado.

3. F.A. e F.O. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

3.1. Il Pubblico Ministero ha concluso per la declaratoria di competenza della Corte di appello di Napoli a conoscere del reclamo suddetto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’odierno regolamento è certamente ammissibile avendo questa Corte già ripetutamente chiarito (cfr. Cass. n. 32071 del 2018; Cass. 13 giugno 2019, n. 15925 del 2019; Cass. n. 17833 del 2020) che, a differenza del regolamento di competenza ad istanza di parte, quello d’ufficio è strutturato non già come un mezzo d’impugnazione, ma come uno strumento volto a sollecitare l’individuazione del giudice naturale precostituito per legge al quale compete la trattazione dell’affare, onde non si richiede che l’atto che vi abbia dato luogo sia impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. o con il regolamento ad istanza di parte. Esso è pertanto compatibile anche con il procedimento di cui all’art. 720-bis c.p.c. (cfr. Cass. n. 17833 del 2020).

2. Giova premettere, poi, che appare priva di concreto rilievo, ai fini della decisione di questo procedimento, la risoluzione della questione – recentemente rimessa all’attenzione delle Sezioni Unite di questa Corte con l’ordinanza interlocutoria resa da Cass. n. 17833 del 2020 – “se la competenza della corte d’appello sul reclamo, prevista dall’art. 720-bis c.p.c. sussista per qualsiasi provvedimento pronunciato dal giudice tutelare con riguardo alla misura dell’amministrazione di sostegno, in deroga all’art. 739 c.p.c., oppure se tale speciale competenza per l’impugnazione sussista unicamente per i provvedimenti del giudice tutelare aventi natura decisoria, ferma restando la competenza del tribunale, alla stregua della disposizione comune predetta”.

2.1. Infatti, l’appena descritta rimessione è stata dovuta al contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità per essersi contrapposto all’orientamento ivi consolidatosi nel corso di un decennio (secondo cui la previsione della corte d’appello quale giudice competente a decidere l’impugnazione avverso i decreti del giudice tutelare, ai sensi dell’art. 720-bis c.p.c., deve ritenersi limitata ai provvedimenti a natura decisoria e, dunque, idonei ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, in ogni altro caso, vale a dire per tutti i provvedimenti di natura meramente ordinatoria ed amministrativa, assai più numerosi, che attengono alla gestione concreta e che sono, per definizione, sempre modificabili e revocabili in base ad una rinnovata valutazione degli elementi acquisiti, resta la competenza generale del tribunale in composizione collegiale per il procedimento di reclamo, ai sensi dell’art. 739 c.p.c.. Cfr. Cass. n. 32071 del 2018; Cass. n. 22693 del 2017; Cass. n. 784 del 2017; Cass. n. 18634 del 2012), un diverso indirizzo interpretativo (a tenore del quale, ai fini dell’applicazione della speciale competenza della corte d’appello stabilita dall’art. 720-bis c.p.c., comma 2, non assume alcun rilievo la distinzione, sopra esposta, tra provvedimenti decisori e provvedimenti ordinatori assunti dal giudice tutelare nella materia dell’amministrazione di sostegno. Tale distinzione, invero, sarebbe da confinare al problema della ricorribilità in Cassazione, ex art. 111 Cost., comma 6, dei provvedimenti del giudice tutelare; laddove, quanto al diverso profilo del giudice competente per il reclamo, l’art. 720-bis c.p.c., comma 2, si atteggia come norma speciale rispetto all’art. 739 c.p.c. e dal chiaro tenore letterale, prevedendo espressamente che il reclamo debba essere proposto innanzi alla corte d’appello e non al tribunale, in qualsiasi caso. Cfr. Cass. n. 32409 del 2019).

2.2. Le ragioni della ritenuta irrilevanza, in questa sede, del riportato conflitto interpretativo si rinvengono nel duplice fatto che: i) entrambe le opinioni ivi contrappostesi assegnano comunque alla corte di appello, ex art. 720-bis c.p.c., comma 2, la competenza a conoscere del reclamo avverso un provvedimento del giudice tutelare, reso nell’ambito di una procedura di amministrazione di sostegno, che rivesta carattere “decisorio”, divergendo esse, invece, solo con riguardo all’individuazione del giudice competente a conoscere di analogo reclamo (la corte di appello ai sensi della citata norma, oppure il tribunale giusta l’art. 739 c.p.c., comma 1) allorquando il provvedimento impugnato abbia natura meramente “gestoria” o amministrativa; ii) nella concreta vicenda in esame, è innegabile che il provvedimento impugnato rivesta carattere decisorio per le ragioni di cui appresso.

2.3. E’ noto (cfr., ex aliis, Cass. n. 12460 del 2018; Cass. n. 11536 del 2017) che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno non acquista lo status di incapace e, dunque, non possono essergli applicate tout court le norme limitative previste per l’interdetto (si pensi, specificamente, al divieto di contrarre matrimonio sancito dall’art. 85 c.c., comma 1) o l’inabilitato. Di guisa che “tutto ciò che il giudice tutelare, nell’atto di nomina o in successivo provvedimento, non affida all’amministratore di sostegno, in vista della cura complessiva della persona del beneficiario, resta nella completa disponibilità di quest’ultimo” (cfr. Corte Cost., sent. 10 maggio 2019, n. 114).

2.3.1. Ciò deriva non solo dalle finalità della legge – di valorizzare le capacità residue e di sostenere, più che limitare -, ma anche dall’intento del legislatore di mantenere volontariamente sfumati i contorni tra capacità ed incapacità di agire, in quanto l’assolutezza di tale dicotomia non appare più adeguata a spiegare le innumerevoli situazioni che conducono all’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno.

2.3.2. Esistono, peraltro, decisivi riferimenti normativi che confermano la correttezza di tale interpretazione. In primis, l’art. 412 c.c. il quale, prevedendo l’annullabilità dei soli atti che siano stati compiuti dal beneficiario in violazione delle disposizioni contenute nel decreto, fa salvi tutti gli atti per i quali non sia stata prevista esplicitamente la limitazione di capacità del beneficiario; ancora, in questa prospettiva può essere letto il dettato dell’art. 404 c.c., che non si esprime più in termini di incapacità a curarsi dei propri interessi, bensì di impossibilità. La disposizione certamente più significativa è, tuttavia, quella contenuta nella norma di cui all’art. 411 c.c., laddove è detto che il beneficiario conserva la capacità in relazione a tutti gli atti per i quali nel decreto non è prevista alcuna limitazione.

2.3.3. La prospettiva per cui la capacità è la regola e l’incapacità l’eccezione è corroborata, poi, dalla previsione di una generale capacità in capo al beneficiario sancita dalla L. 22 dicembre 2017, n. 219, in materia di consenso informato, la quale, all’art. 3, stabilisce che “nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere”. Il legislatore, dunque, ha confermato un traguardo della dottrina e della giurisprudenza nel prevedere che il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario. Si evince dalla lettura a contrario della disposizione che, allorchè il decreto non includa le scelte sanitare tra i poteri rappresentativi o di assistenza dell’amministratore, la capacità rimane intatta in capo al soggetto beneficiario di amministratore di sostegno.

2.3.4. In definitiva, quest’ultimo è pienamente capace in relazione agli atti per i quali non è prevista una specifica incapacità, e la sua condizione giuridica è differenziata da quella dell’interdetto, cosicchè ne deve essere tenuta distinta la posizione, salvo nel caso in cui il giudice non compia una valutazione ad hoc in ordine alla necessità di assimilarne la tutela. Dalla considerazione per la quale il beneficiario non è un “incapace” discende, dunque, che non possano essergli applicate in via interpretativa (e, quindi, a prescindere da una valutazione giudiziale) le limitazioni previste dalla legge per tale categoria di soggetti, così come quelle che si riferiscono ad interdetti ed inabilitati. Sempre che non si tratti di norme che disciplinano i rapporti per i quali il beneficiario, nel decreto, ha subito una specifica limitazione e relativamente ai quali è, dunque, incapace; queste ultime trovano senz’altro applicazione nell’ambito dell’amministrazione di sostegno anche indipendentemente da uno specifico richiamo nel decreto.

2.4. Questa Corte, poi, ha già opinato (cfr. Cass. n. 11536 del 2017; Cass. n. 18634 del 2012) che “in ragione delle significative di erenze che intercorrono tra l’amministrazione di sostegno (diretta a valorizzare le residue capacità del soggetto debole) e l’interdizione (volta a limitare la sfera d’azione di quel soggetto in relazione all’esigenza di salvaguardia del suo patrimonio nell’interesse dei suoi familiari), il divieto di contrarre matrimonio, previsto dall’art. 85 c.c. per l’interdetto, non trova generale applicazione nei confronti del beneficiario dell’amministrazione di sostegno ma può essere disposto dal giudice tutelare solo in circostanze di eccezionale gravità, quando sia conforme all’interesse dell’amministrato. In tali casi, il matrimonio contratto da quest’ultimo può essere impugnato da lui stesso ex art. 120 c.c. o dall’amministratore di sostegno ex art. 412 c.c., comma 2, non anche dai terzi ex art. 119 c.c., non potendosi richiamare la disciplina dell’interdizione”. Risulta chiaramente affermato, pertanto, il principio che ciascun soggetto, anche il beneficiario di amministratore di sostegno, è titolare del diritto personalissimo di autodeteminarsi con riguardo al proprio matrimonio, sicchè l’apertura dell’amministrazione di sostegno e la richiesta di limitare tale diritto non solo si rivelano tra loro legate ma, soprattutto, riguardano profili strettamente inerenti la persona. Ad essi, pertanto, non può attribuirsi natura semplicemente gestoria da parte del giudice tutelare (cfr. Cass. n. 18634 del 2012) proprio perchè direttamente incidenti su diritti fondamentali della persona, in coerenza con i principi fondamentali ed indeclinabili di identità e libertà della persona stessa di cui agli artt. 2 e 13 Cost..

2.4.1. In altri termini, la situazione giuridica in questione (diritto di autodeterminarsi con riguardo al proprio matrimonio), assume il rango di diritto personalissimo ed ogni provvedimento giurisdizionale che vi incida possiede in re ipsa una dimensione decisoria.

2.5. Il carattere decisorio e definitivo (sia pure rebus sic stantibus) del provvedimento giurisdizionale emesso nell’ambito del procedimento di amministrazione di sostegno fonda indiscutibilmente la competenza della Corte d’appello a conoscere del relativo reclamo. E necessariamente rientra in tale ambito la statuizione con cui il giudice tutelare rigetti o accolga l’istanza – formulata in sede di apertura della procedura di amministrazione di sostegno o anche successivamente – diretta ad ottenere l’estensione al beneficiario del divieto di contrarre matrimonio sancito dall’art. 85 c.c., in quanto concernente un diritto fondamentale personalissimo potenzialmente suscettibile di essere compresso, nel procedimento di cui si tratta, dal provvedimento del giudice.

2.5. In definiva, va affermata la competenza della Corte di appello di Napoli a conoscere del reclamo di F.A., perchè la invocata limitazione del diritto di F.O., beneficiario della misura di protezione dell’amministrazione di sostegno, discenderebbe, se del caso, da uno specifico provvedimento del giudice tutelare e prevalendo l’art. 720-bis c.p.c., in considerazione della sua specialità, sulle disposizioni di carattere generale contenute nell’art. 739 c.p.c. e nell’art. 45 disp. att. c.p.c. (cfr. Cass. n. 18634 del 2012; Cass. n. 14158 del 2017 dove si è stabilito analogo principio in tema di autorizzazione alla negazione del consenso alle terapie trasfusionali).

P.Q.M.

La Corte dichiara la competenza della Corte di appello di Napoli a conoscere del reclamo di F.A..

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2021

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