Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4731 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 21/02/2020), n.4731

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21703-2017 proposto da:

B.L., BO.LU., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA G. P. DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato

LUCIANA PIRRONGELLI, che li rappresenta e difende giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

EDIL DMC COSTRUZIONI SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3553/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/10/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

A seguito del decesso di B.L., succedevano nella proprietà dell’immobile in Tivoli alla (OMISSIS), i figli R., B. e C..

Alla morte di R. subentravano nella comunione i figli Lu. e L. e la moglie V.L. (a sua volta deceduta), e nelle more decedeva anche B.B., la quale attribuiva la sua quota alla nipote Bo.Lu..

Nel 1995 era dichiarato il fallimento dell’altra condividente B.C. e nell’ambito della procedura fallimentare veniva alienata alla società intimata la quota di un terzo vantata dalla fallita, società che instaurava il presente giudizio al fine di procedere allo scioglimento della comunione.

Si costituivano i convenuti, odierni ricorrenti, i quali in via riconvenzionale si dolevano che la curatela non avesse loro consentito di esercitare il diritto di prelazione di cui all’art. 732 c.c., che chiedevano che fosse loro riconosciuto.

In ogni caso deducevano che il bene non era comodamente divisibile, sicchè instavano per l’attribuzione dell’intero.

Il Tribunale di Tivoli con la sentenza n. 553 del 5 giugno 2012 disattendeva la domanda di riscatto proposta in via riconvenzionale, e, stante la non comoda divisibilità del bene comune, lo attribuiva per intero ai convenuti previo versamento dell’eccedenza determinata nell’importo di Euro 247.204,90, oltre spese di aggiudicazione.

A seguito di appello dei convenuti, la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 3553 del 26 maggio 2017 confermava l’impossibilità di esercitare il diritto di riscatto nonchè il valore della quota che era stata attribuita ai B. ex art. 720 c.c., riformando la decisione di prime cure solo nella parte in cui aveva posto a carico degli appellanti anche le spese di aggiudicazione, in quanto non vi era alcun titolo che giustificasse tale previsione e mancando una richiesta della società attrice.

Quanto al mancato riconoscimento del diritto di prelazione di cui all’art. 732 c.c., i giudici di appello richiamavano la costante giurisprudenza di legittimità che aveva escluso che il diritto de quo potesse essere vantato nel caso di vendita disposta all’esito di una procedura concorsuale o comunque in ogni caso di vendita coattiva, dovendo prevalere l’esigenza di tutela della par condicio creditorum sul contrastante interesse dei coeredi.

Quanto invece alla stima della quota attribuita ai convenuti, la decisione di appello rilevava che il Tribunale aveva determinato il valore dell’intero avvalendosi degli esiti della CTU, ma sebbene in motivazione avesse manifestato l’intento di procedere ad una maggiorazione della stima del 10 %, in realtà aveva effettuato una maggiorazione sostanzialmente irrisoria (inferiore quindi anche alla percentuale suggerita dall’ausiliario del 5 %) il che escludeva che fosse fondata la censura mossa dagli appellanti.

Avverso tale sentenza propongono ricorso Bo.Lu. e B.L. sulla base di due motivi.

L’intimata non ha svolto difese in questa fase.

Il primo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 732 e 113 c.c., assumendo l’applicabilità della prelazione legale e del diritto potestativo di riscatto anche alla fattispecie in esame, di vendita disposta nell’ambito di una procedura fallimentare.

Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c. atteso che il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, senza che l’esame dei motivi offra elementi per mutare il proprio orientamento.

In tal senso la censura, nel sottoporre a critica la soluzione dei giudici di appello, oltre ad erroneamente affermare che si sarebbe fatto richiamo ad un solo precedente di legittimità contrario alla tesi dei ricorrenti (il che non esclude che anche un solo precedente, in assenza di elementi per discostarsene, possa consentire di addivenire alla declaratoria di inammissibilità di cui alla norma citata) mira a sottovalutare le esigenze anche pubblicistiche sottese alla procedura concorsuale, e tipiche del fallimento (non potendosi a tal fine utilmente invocare diversi precedenti riferiti alla procedura del concordato preventivo), senza però addurre argomenti idonei ad indurre il Collegio a discostarsi dall’orientamento fatto proprio dai giudici di merito del quale è appunto espressiva Cass. n. 7056/1999, a mente della quale la prelazione ereditaria – che, come ogni altro diritto di prelazione (urbana o agraria), non trova applicazione quando gli atti di alienazione non sono riconducibili ad una libera determinazione del proprietario – non si applica in sede di vendita fallimentare, alla quale risultano essersi conformate anche Cass. n. 17523/2003 e Cass. n. 17524/2004, essendo quindi possibile sostenere che si tratti ormai di un orientamento del tutto pacifico.

Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per carenza di motivazione in merito alla quantificazione della somma dovuta a titolo di conguaglio, con violazione delle norme di attività, del principio dispositivo, degli artt. 112 e 115 c.p.c. e del principio dell’onere di contestazione.

Assumono i ricorrenti che la quantificazione dell’ammontare del conguaglio operata dal giudice di primo grado (e poi condivisa dal giudice di appello) è avvenuta discostandosi dalle indicazioni dello stesso CTU.

Inoltre, si sarebbe provveduto ad un incremento di valore anche in misura superiore alla percentuale del 5 % suggerita dall’ausiliario, senza tenere conto che si trattava di attribuzione di quota indivisa.

Anche tale motivo non può trovare accoglimento.

Al riguardo si segnala che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 7059/2002) la stima dei beni da dividere e la scelta del criterio da adottare per la determinazione del valore di tali beni, con riguardo a natura, ubicazione, consistenza, possibile utilizzazione e condizioni di mercato, rientrano nel potere discrezionale ed esclusivo del giudice del merito; tali valutazioni sono insindacabili in sede di legittimità, se sostenute da adeguate e razionale motivazione.

Trattasi peraltro di orientamento che è stato ribadito anche per le ipotesi di ricorso promosso avverso sentenze pubblicate in data successiva all’11 settembre 2012, essendosi affermato che (Cass. n. 18546/2017), le valutazioni rese in proposito dal giudice sono insindacabili in sede di legittimità, anche a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, se sostenute da adeguata e razionale motivazione.

Nella fattispecie, entrambi i giudici di merito hanno mostrato in motivazione di volersi conformare, con una lievissima modifica in incremento, peraltro giustificata dallo stesso ausiliario per le peculiari condizioni dell’immobile, alla stima del CTU, dovendosi quindi escludere che la sentenza impugnata sia affetta da una nullità della motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c., soddisfacendo viceversa il requisito del minimo costituzionale della motivazione, così come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. nn. 8053 ed 8054 del 2014).

Nè, trattandosi all’evidenza di un’ipotesi di cd. doppia conforme, sarebbe deducibile ai sensi dell’ultimo dell’art. 348 ter c.p.c., applicabile ratione temporis, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il che impedisce di poter convertire in tale censura le doglianze formulate dai ricorrenti.

Anzi, i giudici di appello hanno sottolineato come, pur a fronte di un’affermazione del Tribunale secondo cui la stima effettuata dal CTU andasse incrementata di una percentuale del 10 %, in realtà l’aumento operato, e giustificato dalla qualità superiore e dalla finitura elevata dell’immobile, era risultato del tutto irrisorio, ed anzi inferiore anche alla percentuale suggerita dallo stesso consulente d’ufficio.

Trattasi di affermazioni che denotano come la valutazione del valore del bene sia frutto di adeguata e logica motivazione ed ancorata ai dati offerti dall’elaborato peritale, non potendo per converso accedersi alla tesi di parte ricorrente, secondo cui nella stima dovrebbe tenersi conto del fatto che viene ad essere trasferita una quota indivisa (che avrebbe di norma valore inferiore), la quale, oltre a fondarsi su di un presupposto di fatto non sempre corrispondente all’effettivo andamento delle quotazioni del mercato immobiliare, non tiene conto della circostanza che si tratta di attribuzione di quota che non si esaurisce nel trasferimento della proprietà indivisa (effettivamente sottoposta a restrizioni quanto alle modalità di godimento e di fruizione), ma che assicura ai ricorrenti, titolari delle restanti quote, di acquisire la proprietà esclusiva del bene comune.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nulla per le spese atteso che l’intimata non ha svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato per il ricorso principale a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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