Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4730 del 28/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 4730 Anno 2018
Presidente: GIANCOLA MARIA CRISTINA
Relatore: MARULLI MARCO

sul ricorso 11014/2013 proposto da:

2C

Impresa C.G.M. – Costruzioni Generali Meridionali s.r.I., nella
qualità di capogruppo mandataria dell’A.T.I. costituita con l’Impresa
Notaro Michele, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, Via A. Secchi n.9, presso lo
studio dell’avvocato Zimatore Valerio, che la rappresenta e difende
unitamente agli avvocati Palasciano Alessandro, Zimatore Attilio,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

i 606
2pi

Data pubblicazione: 28/02/2018

Sorical – Societa’ Risorse Idriche Calabresi – S.p.a. in liquidazione,
in persona dei liquidatori pro tempore, elettivamente domiciliata in
Roma, Via Virginio Orsini n.19, presso lo studio dell’avvocato Gentile
Domenico, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine
del controricorso;

avverso la sentenza n. 5385/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 29/10/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/12/2017 dal cons. MARULLI MARCO.
FATTI DI CAUSA
1.1. Con il ricorso epigrafato la G.C.M.- Costruzioni Generali
Meridionali s.r.l. insta questa Corte per la cassazione della sentenza
con la quale la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento
dell’impugnativa dispiegata dalla S.O.R.I.C.A.L. – Società Risorse
Idriche Calabresi s.p.a. in liquidazione, ha provveduto a dichiarare la
nullità, tra l’altro, del lodo arbitrale sottoscritto il 14.2.2011, che, in
merito alla controversia promossa dalla G.C.M. in relazione
all’appalto inerente i lavori ad una rete locale di acquedotti, aveva
ritenuto fondate le riserve formulate dell’impresa ed aveva
condannato la stazione appaltante al pagamento della somma di
euro 488.047,08 a titolo di ristoro del pregiudizio inferto.
1.2. Il giudice dell’impugnazione, rilevato previamente in fatto che le
riserve sub iudice non erano state iscritte sui documenti contabili
dell’appalto, risultando esse da lettere o da atti equivalenti a lettere
e che le riserve risultanti dal verbale di consegna dei lavori
afferivano a fatti accaduti antecedentemente al contratto, ha
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Est. Cons. Marulli

– controricorrente –

motivato il proprio convincimento sull’assunto che la clausola
compromissoria figurante all’art. 15 del contratto

inter partes

concluso il 25.7.2008 («qualora l’impresa iscrive riserve sui
documenti contabili che possano far valere in maniera sostanziale
l’importo del contratto, in ogni caso non inferiore al dieci per cento

dell’art. 240 D.Ivo 163/2006 promuove la costituzione di apposita
commissione, perché formuli, acquisita la relazione riservata del
direttore dei lavori e, ove costituito, dell’organo di collaudo, entro
novanta giorni dall’apposizione dell’ultima delle riserve proposta
motivata di accordo bonario sulla quale si pronunciano, nei
successivi trenta giorni, l’appaltatore e la stazione appaltante.
Decorso tale termine è in facoltà dell’appaltatore avvalersi del
disposto dell’art. 241 D.Ivo 163/2006 …») legittimi la cognizione
arbitrale in relazione alle sole riserve iscritte sui documenti contabili
ufficiali dell’appalto, in tal senso deponendo, oltre alla lettera della
clausola («il significato della clausola è chiaro. Alla procedura
arbitrale si può fare ricorso soltanto nel caso di riserve “iscritte in
documenti contabili”»), anche la volontà delle parti («l’articolato
testo della clausola contrattuale rende manifesta la volontà delle
parti di devolvere agli arbitri soltanto una parte delle controversie
prefigurate dal citato art. 241»), non risultando per contro decisivo il
fatto che la stazione appaltante non avesse nella specie proceduto
all’istituzione dei documenti contabili («entrambe le parti … erano in
grado di capire che subordinando il ricorso al giudizio arbitrale
all’iscrizione di rituale riserva avrebbero lasciato alla stazione
appaltante la possibilità di sottrarsi al giudizio degli arbitri evitando
di istituire la contabilità obbligatoria dell’appalto»).

E

dunque,

dovendo l’interpretazione della clausola ispirarsi a criteri rigorosi e
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Est. Coris. Marulli

dell’importo contrattuale, il responsabile del procedimento ai sensi

fin’anche «restrittivi», ne discende che il lodo impugnato è stato
pronunciato fuori dai limiti della convenzione di arbitrato.
1.3. Il mezzo proposto si vale di due motivi, ai quali resiste l’intimata
con controricorso.
Memoria della ricorrente ai sensi dell’art. 380-bis1 cod. proc. civ.

2.1. Con il primo motivo di ricorso la G.C.M. deduce violazione di
legge – nella specie degli artt. 191 d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 e
240 e 241 D.Igs. 12 aprile 2006, n. 163 -, nonché vizio di «omessa
motivazione su un fatto decisivo della controversia», risultando la
decisione impugnata affetta da un duplice errore di giudizio,
generato, l’uno, dalla convinzione che il ristoro preteso concernesse i
danni antecedenti alla stipulazione del contratto, l’altro, dalla
convinzione che la riserva spiegata con riferimento ai danni
successivi fosse irregolare in quanto iscritta solo sul libro giornale.
Più in dettaglio, mentre il primo errore era comprovato dal tenore
del quesito sottoposto agli arbitri, dalla riserva iscritta nel verbale di
consegna dei lavori e nel giornale dei lavori, nonché dalla denuncia a
cui l’impresa aveva proceduto con lettera raccomandata, in cui si
faceva «chiaro riferimento ai danni subendi» ovvero ai danni
successivi al contratto che non si erano ancora verificati, ma che
erano prevedibili in conseguenza dei fatti occorsi, il secondo errore
era frutto di un ragionamento che «non convince», vero, da un lato,
che il rilievo in esso accordato all’espressione “documenti contabili”
quale manifestazione della volontà delle parti di circoscrivere la
cognizione arbitrale non si accordava con il fatto che la clausola era
«la pura e semplice riproduzione» del dettato dell’art. 240 D.Igs.
163/2006 e, dall’altro, che la mancata istituzione dei “documenti
Est. Cons. Marulli

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(

RAGIONI DELLA DECISIONE

contabili” non era affatto un fatto neutro, avuto riguardo alla
diversità esistenti tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione
amministrativa, alla facoltativià dell’arbitrato che veniva in tal modo
ripristinata e al fatto che la volontà delle parti non divergesse da
quella del legislatore.

2.3. A miglior intelligenza del quadro di riferimento delineato dalla
decisione impugnata, è bene, dare previamente atto che il
ragionamento decisorio messo in opera dal giudice d’appello segue
un itinerario preciso che prende corpo nelle seguenti affermazioni: la
controversia oggetto di causa «riguarda soltanto la fase dell’appalto
successiva alla consegna dei lavori»; la soluzione del problema da
essa posto «passa unicamente attraverso l’interpretazione della
clausola negoziale di arbitrato»; non è controverso che «nella specie
nessun documento contabile è stato istituito dalla stazione
appaltante e presentato all’appaltatrice per la firma».
2.4. E’ dunque inizialmente chiaro che la censura di cui si fa
portavoce il primo degli errori che si rimprovera alla sentenza
impugnata non colga affatto nel segno, dal momento che, del tutto
lungi dal credere che la controversia davanti a sé non riguardasse i
danni lamentati dalla ricorrente successivamente alla conclusione del
contratto, il decidente ha invece esattamente inteso che oggetto
della lite erano propriamente quei danni. Onde la censura illogica,
poiché smentita dal prosieguo della motivazione – altrimenti
superflua in quanto le doglianze relative ai danni anteatti erano state
disattese dal collegio arbitrale, dichiarando con statuizione non
censurata su di essi il difetto della propria giurisdizione – urta, in
diritto, contro il fondamentale postulato secondo cui «la
proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di
Est. Con»\ Marulli

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2.2. Il motivo è affetto da plurime ragioni di inammissibilità.

specifiche attinenze al

“decisum”

della sentenza impugnata è

assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art.
366 numero 4 cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del
ricorso, rilevabile anche d’ufficio» (Cass., Sez. III, 7/11/2005, n.
21490).

bastando all’uopo ricordare che la riformulazione dell’art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno
2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alla
specie ratione temporis, alla luce dei canoni ermeneutici dettati
dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale”
del sindacato di legittimità sulla motivazione, esclude la rilevanza del
semplice difetto motivazionale qualunque ne sia la veste, potendo
esso essere dedotto – laddove esso non si tramuti in violazione di
legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza
della motivazione in sé, a condizione che il vizio risulti dal testo
della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le
risultanze processuali – nel solo caso di omesso esame di un “fatto
storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia
“decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.
Ed essendo stato quello in atti sollevato con un occhio al passato,
doverosa n’è la sua espunzione al giudizio.
2.6.1. Con ciò il campo di indagine si restringe al solo errore
nell’interpretazione della clausola compromissoria ed ai soli profili
evidenzianti il preteso errore che il giudice d’appello avrebbe
commesso nel dare rilevanza dirimente. ai “documenti contabili”.
Ma anche così il motivo non si sottrae alla sorte dichiarata in
premessa.
Est. Clìs. Marulli

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2.5. Non miglior fortuna si guadagna la doglianza motivazionale

2.6.2. Va invero ribadito il concetto che «il vizio di violazione o falsa
applicazione di norme di diritto – deducibile come motivo di ricorso
per cassazione osservando il principio dell’indicazione analitica dei
motivi di doglianza – si risolve in un giudizio sul fatto contemplato
dalla norma di diritto applicabile al caso concreto e la relativa

della sentenza impugnata che si assumono essere in contrasto con le
norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse
fornita dalla giurisprudenza e/o dalla dottrina prevalente» (Cass.,
Sez. III, 18/05/2005, n. 10835). In breve il vincolo tra specificità
della censura e statuizione impugnata quale ineludibile viatico del
giudizio a critica vincolata obbliga il deducente, allorché alleghi il
vizio di violazione o di falsa applicazione di legge, ad un onere di
conferenza tra oggetto della denuncia ed errore denunciato che non
può essere minimamente eluso, diversamente discendendone
l’inammissibilità del ricorso per contrasto con l’art. 366, comma 1, n.
4, cod. proc. civ.
Ciò a cui va incontro la censura in discorso, primamente, perché il
ricorrente – che pur indica nella rubrica del motivo la violazione degli
artt. 191 d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 e 240 e 241 D.Igs. 12 aprile
2006, n. 163 – nell’illustrazione di esso omette di chiarire il quomodo
ed il quando della denunciata violazione di esse da parte del
decidente, né dette circostanze, rilevanti

ut supra,

risultano

altrimenti escerpibili, non essendo infatti possibile apprezzare la
congruenza delle norme di cui si denuncia la violazione nella specie
rispetto al tenore del decisum, e ciò perché, mentre questo è frutto
di un ragionamento che pone al centro l’interpretazione della
clausola, le norme qui richiamate integrano, in disparte dagli aspetti
temporali che ne influenzano l’applicabilità, temi palesemente
Est. Cons. Marulli

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denunzia deve avvenire mediante la specifica indicazione dei punti

estranei alla materia del contendere, non discutendosi e non
essendosi perciò il giudicante pronunciatosi né sulla «forma e
contenuto delle riserve» (art. 191 d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207), né
sull’ «accordo bonario». (art. 240 Digs. 12 aprile 2006, n. 163) né
sull’«arbitrato» (art. 241 D.Igs. 12 aprile 2006, n. 163).

percorso argomentativo che, pur se in sintonia con il ragionamento
decisorio in quanto inteso a censurarne l’esito interpretativo sotto il
duplice profilo della tassatività del dettato letterale della clausola e
della pretesa neutralità del fatto che nella specie non fossero stati
istituiti i documenti contabili, risulta privo di un elemento essenziale
costituito dall’indicazione delle norme violate, di tutta evidenza
constando che quelle di cui si lamenta nella specie l’inosservanza,
oltre ad essere estranee a quanto deciso dalla Corte d’Appello, non si
accordano con il contenuto della censura. E, dunque, anche qui
configurandosi un’aperta violazione del precetto di cui sopra, il
ricorso manifesta senza riserve la sua inammissibilità, bastando
ricordare che la mancata od erronea indicazione delle disposizioni di
legge non comporta l’inammissibilità del gravame solo «ove gli
argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso,
consentano di individuare le norme o i principi di diritto che si
assumono violati e rendano possibile la delimitazione del

“quid

disputandum”» (Cass., Sez. III, 4/06/2007, n. 19929), condizione
che qui palesemente difetta.
2.6.4. Quand’anche poi fosse possibile ignorare l’ostacolo e la
doglianza risultasse, ad onta del silenzio del ricorrente sui parametri
violati, in qualche misura scrutinabile in ragione del suo intrinseco
contenuto, non sarebbe per questo possibile sfuggire alla
considerazione che il motivo persegue più scopertamente la finalità,
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Est. Co. Marulli

i

2.6.3. D’altro canto, l’illustrazione del motivo mostra di seguire un

parimenti preclusiva, di indurre questa Corte ad una rinnovazione del
giudizio fattuale esperito dal giudice di merito, postulando che
mediante una nuova valutazione delle risultanze processuali al suo
cospetto, la Corte sostituisca a quello del giudice di merito il proprio
giudizio nell’auspicio che esso risulti più favorevole e possa così

fini istituzionali del sindacato di legittimità che l’ordinamento affida al
giudizio di cassazione.
3.1. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 6
CEDU nella parte in cui esso prevede il diritto di ogni persona ad un
processo equo, pubblico, entro un termine ragionevole ed avanti ad
un giudice terzo, mentre nel caso di specie l’assoluta illogicità ed
incongruità delle motivazioni poste a base della sentenza oggetto
dell’odierno ricorso è frutto di una assoluta mancanza di equità nella
valutazione delle circostanze oggetto di causa.
3.2. Il motivo è inammissibile.
Esso integra una postulazione che, in disparte dalla sua intrinseca
inattendibilità, atteso che non consta che nelle fasi pregresse la
trattazione della controversia sia avvenuta senza il rispetto delle
garanzie previste dall’art. 6 CEDU, non concreta alcuna censura
provvista di giuridico spessore, risolvendosi ancora una volta, specie
ove addebita alla sentenza impugnata «un’assoluta mancanza di
equità nella valutazione delle circostanze oggetto di causa», in una
generica perorazione di revisione del giudizio fattuale del giudice di
merito, come tale incorrendo nuovamente nella preclusione, come
già si è detto, discendente dai limiti propri del giudizio di legittimità.
4. Il ricorso va conclusivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza
Est.

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arulli

ribaltare l’esito della lite, compito che, notoriamente, non rientra nei

Ricorrono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro

generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n.
115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il
giorno 19.12.2017

7500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese

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