Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4730 del 25/02/2011

Cassazione civile sez. II, 25/02/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 25/02/2011), n.4730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16342/2005 proposto da:

COSMAC SRL P.IVA (OMISSIS) in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO SOGLIANO

70, presso lo Studio dell’avvocato BERETTA Emilio Battista, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

G.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1220/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 04/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato BERETTA Emilio Battista, difensore del ricorrente

che deposita fax di ricevuta cartolina di notifica del ricorso e

chiede il suo rinvio per il deposito dell’originale in subordine

chiede accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata ex art. 140 c.p.c., in data 15.12.1994 Cos.Ma.C. srl conveniva davanti al Tribunale di Monza G. R., assumendo che, nel corso del 1987. l’attrice era stata incaricata dalla convenuta della progettazione di alcune villette a schiera a sorgere in (OMISSIS) nonchè della direzione dei lavori. Assumeva di aver maturato un credito di L. 29.000.000 per cui ne chiedeva il pagamento.

La convenuta deduceva l’inesistenza di alcun rapporto professionale:

le attività svolte erano di competenza di un tecnico iscritto all’albo dei geometri o degli ingegneri e non di una società di capitali, aveva avuto rapporti nel 1988 col geom. M.D., progettista di una villa familiare con grave imperizia professionale.

Escussi testi, prodotti documenti ed espletata ctu, con sentenza 19.12.2000 il Tribunale respingeva la domanda, decisione confermata dalla Corte di appello di Milano con sentenza 1220/04, che, conformemente alla prima decisione, deduceva che le prestazioni indicate consistenti in verifiche catastali, progettazione di un ristorante ed una villetta, attengono ad attività rimesse a professionisti iscritti agli albi e, pertanto, il contratto stipulato era nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, ed in contrasto con la L. n. 1815 del 1999, art. 2, trattandosi di attività riservate a professionisti iscritti all’albo e non ricorreva l’esercizio in forma associata dell’attività professionale.

La Corte territoriale richiamava il carattere fiduciario del rapporto tra cliente e professionista e riteneva superfluo l’esame delle richieste istruttorie.

Ricorre Cos.Ma.C. srl con tre motivi, non svolge difese controparte.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente si da atto che la ricorrente ha dato prova della notifica del ricorso, per cui si può passare all’esame del merito.

Col primo e col secondo motivo si lamenta violazione di norme di diritto, rispettivamente indicate nell’art. 1720 c.c., perchè in veste di mandataria la società aveva chiesto il pagamento delle proprie spettanze e nell’art. 112 c.p.c., perchè la Corte avrebbe ritenuto il negozio inter partes sottratto alla disciplina dell’art. 1720 c.c., integrando un contratto di prestazione d’opera intellettuale.

Quale che sia la formulazione dei capitoli di prova, è compito del Giudice interpretare la domanda e la Corte è incorsa in palese violazione dell’art. 112 c.p.c..

Col terzo motivo si lamentano vizi di motivazione in ordine alla errata qualificazione giuridica del negozio inter partes, per avere la sentenza dedotto che la nullità opera in qualsiasi caso in cui la prestazione sia effettuata da soggetto non iscritto all’albo.

Le censure non meritano accoglimento.

In ordine alla prima si ripropone il primo motivo di appello sul quale la sentenza impugnata ha esaurientemente spiegato che la doglianza non aveva pregio attesa la nullità del contratto, deducendo che l’azione era stata promossa da soggetto che non ha titolo alcuno nè per stipulare contratti di prestazione intellettuale nè per eseguirne le prestazioni ed aggiungendo che la stessa società escludeva la configurabilità di un contratto di mandato ad eligendum, avendo chiesto di provare di aver ricevuto l’incarico di effettuare lavori di progettazione e direzione.

Comunque non è espressamente impugnata la statuizione che non c’è mandato ad eligendum se la domanda riguarda il compenso per l’incarico di progettazione e direzione di lavori.

In ordine alla seconda, come ripetutamente evidenziato da questa Corte, l’omessa pronunzia, quale vizio della sentenza, dev’essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e non già con la denunzia della violazione di differenti norme di diritto processuale o di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 22.11.06 n. 24856, 14.2.06 n. 3190, 19.5.06 n. 11844, 27.01.06 n. 1755, magia 24.6.02 n. 9159, 11.1.02 n. 317, 27.9.00 n. 12790, 28.8.00 n. 11260, 10.4.00 n. 4496, 6.11.99 n. 12366).

Perchè, poi, possa utilmente dedursi il detto vizio, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del giudizio di secondo grado nel quale l’una o l’altra erano state proposte o riproposte, onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività della proposizione nel giudizio a quo ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi; ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 c.p.c., ciò che configura un’ipotesi di errar in procedendo per il quale questa Corte è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere- dovere del giudice di legittimità d’esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. 19.3.07 n. 6361, 28.7.05 n. 15781 SS.UU., 23.9.02 n. 13833, 11.1.02 n. 317, 10.5.01 n. 6502).

In ordine alla terza va osservato che la censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere intesa a far valere, a pena d’inammissibilità comminata dall’art. 366 c.p.c., n. 4, in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si può con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’è, appunto, per quello in esame – in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Nè può imputarsi al detto giudice d’aver omesse l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza d’adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti – come è dato, appunto, rilevare nel caso di specie – da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo; in altri termini, perchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.

Nella specie, per converso, le esaminate argomentazioni non risultano intese, nè nel loro complesso nè nelle singole considerazioni, a censurare le rationes decidendi dell’impugnata sentenza sulle questioni de quibus, bensì a supportare una generica contestazione con una valutazione degli elementi di giudizio in fatto difforme da quella effettuata dal giudice a qua e più rispondente agli scopi perseguiti dalla parte, ciò che non soddisfa affatto alla prescrizione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto si traduce nella prospettazione d’un’istanza di revisione il cui oggetto è estraneo all’ambito dei poteri di sindacato sulle sentenze di merito attribuiti al giudice della legittimità, onde le argomentazioni stesse sono inammissibili, secondo quanto esposto nella prima parte delle svolte considerazioni.

In definitiva il ricorso va rigettato, senza pronunzia sulle spese, attesa la mancata costituzione di controparte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2011

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