Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4730 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 21/02/2020), n.4730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20091-2017 proposto da:

A.D.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO

180, presso lo studio dell’avvocato CATIA DI CESARE, rappresentato e

difeso dall’avvocato SALVATORE STELITANO giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

V.R., V.I., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIALE LIEGI 2, presso lo studio dell’avvocato MARIO ROSATI, che le

rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di CIVITAVECCHIA, depositata il

07/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/10/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

A seguito del decesso di M.C., il coniuge A.D.S. e, in subordine ex art. 572 c.c., R. e V.I. (quali uniche parenti entro il sesto grado), venivano chiamati all’eredità. Queste ultime dopo aver tentato, invano, di contattare il coniuge superstite – che da oltre cinque anni aveva interrotto i rapporti con la moglie e si era allontanato dalla casa coniugale, trasferendo la residenza a Roma ed abitando a Verona, senza lasciare recapiti – chiedevano al Tribunale di Civitavecchia la fissazione del termine di cui all’art. 481 c.c., che accoglieva la richiesta con ordinanza n. 12888/2014, fissando la data del 15 maggio 2015 entro cui A.D.S. avrebbe dovuto accettare l’eredità.

L’ordinanza veniva notificata tra il 18 e il 26 agosto del 2014, e solo in data 29 marzo 2016 A.D.S., proponeva al Tribunale di Civitavecchia reclamo ex art. 739 c.p.c., comma 2 e art. 749 c.p.c., comma 3, per ottenere l’annullamento di tale ordinanza, con fissazione di un nuovo termine per procedere alla dichiarazione di accettazione dell’eredità.

Ritualmente costituitesi, le sorelle V. eccepivano l’inammissibilità del reclamo, in quanto tardivo, e la sua infondatezza in fatto e in diritto.

Con ordinanza del 7 marzo 2017 il Tribunale di Civitavecchia dichiarava inammissibile il ricorso poichè le ragioni addotte dal ricorrente non giustificavano “un’invalidità della notifica ex art. 143 c.p.c. dell’ordinanza reclamata”.

Poichè aveva ammesso di aver lasciato senza giustificazione la casa coniugale e di aver spostato la residenza a Roma, senza tuttavia comunicare i propri spostamenti, il reclamante si era volontariamente assunto i rischi derivanti da un’eventuale irreperibilità.

Avverso tale ordinanza propone ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, sulla base di un unico motivo di ricorso con cui lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, per non essere stata riconosciuta la rimessione in termini per la proposizione del reclamo ex art. 739 c.p.c., comma 2 e art. 749 c.p.c., comma 3, a soggetto evocato in giudizio con actio interrogatoria ex art. 481 c.c., benchè questi sia stato nell’impossibilità oggettiva di venire a conoscenza del procedimento che lo riguardava”.

Resistono con controricorso R. e V.I..

Sostiene parte ricorrente che ritenere come colpevole la situazione di irreperibilità della parte, sulla base esclusiva dell’applicazione letterale dell’art. 143 c.p.c., senza considerare le concrete condizioni di fatto e di diritto in cui versava, comporterebbe un’irrimediabile lesione delle proprie legittime ragioni successorie. La motivazione del Tribunale di Civitavecchia sarebbe retta da apodittiche affermazioni, volte a evidenziare la colpa nella decisione del ricorrente di trasferirsi da Roma a Verona, ed a negare l’applicazione di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2.

Con la conferma di tali conclusioni, pertanto, si perverrebbe ad un’erronea applicazione dei principi generali processuali che, se non rimossa, impedirebbe definitivamente al ricorrente di esercitare il diritto ad accettare l’eredità della moglie defunta.

Il ricorso è da dichiararsi inammissibile.

Questa Corte, richiamando un principio ormai consolidato, deve ribadire nuovamente che un provvedimento adottato dal tribunale, adito ex art. 749 c.p.c., non ha contenuto decisorio, non incidendo in via definitiva su posizioni di diritto soggettivo in conflitto e, pertanto, non è impugnabile con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (v. Cass. n. 14202/2017 con riferimento al provvedimento di revoca al legatario del termine ex art. 749 c.c. entro il quale assolvere all’onere testamentario; nonchè Cass. n. 5460/2017, 13820/2016 e 20132/2014, con cui si è affermato che in tema di accettazione beneficiata dell’eredità, il provvedimento che decide sul reclamo proposto avverso i provvedimenti emessi a seguito di istanza di modifica del decreto di autorizzazione alla redazione dell’inventario, pur riguardando posizioni di diritto soggettivo, chiude un procedimento non contenzioso, privo di vero e proprio contraddittorio, senza statuire su dette posizioni in via decisoria e definitiva, attesa la sua revocabilità e modificabilità alla stregua dell’art. 742 c.p.c., sicchè non è impugnabile col ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto riconducibile, al pari del decreto di cui all’art. 769 c.p.c., alla giurisdizione volontaria e, pertanto, privo del carattere della decisorietà e della idoneità al passaggio in giudicato).

Tale indirizzo, peraltro, non contrasta con l’opposto orientamento affermato dalle Sezioni Unite n. 1521/2005, dal momento che – diversamente da quanto accade nella controversia oggi pendente – in quella sede la revoca della proroga del termine assegnato ex art. 500 c.c. all’erede accettante con beneficio di inventario per liquidare le attività ereditarie e formare lo stato di graduazione, costituiva un provvedimento effettivamente idoneo a incidere su posizioni sostanziali di diritto soggettivo dell’erede medesimo (per la previsione, in particolare, della decadenza dal beneficio di inventario conseguente al mancato compimento, nel termine stabilito, delle menzionate operazioni), in contrapposizione ai creditori del defunto e legatari.

Nel caso di specie, al contrario, il provvedimento impugnato non riveste i caratteri di decisorietà e definitività, poichè emesso in sede di giurisdizione volontaria, in cui la funzione del giudice è quella di garantire il controllo di legalità sul compimento di atti relativi al patrimonio caduto in successione, essendo del tutto estraneo a tale tutela l’accertamento di diritti o la risoluzione di conflitti fra pretese contrapposte.

Peraltro resta impregiudicata la possibilità per la parte interessata, sebbene sia risultata infruttuosa la strada della tutela in sede di volontaria giurisdizione, di conseguire in sede contenziosa ordinaria l’accertamento circa l’effettiva perdita del diritto di accettare l’eredità a seguito della decadenza correlata al mancato rispetto del termine di cui all’art. 481 c.c..

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore delle controricorrenti che liquida in complessivi Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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