Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4730 del 14/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 14/02/2022, (ud. 23/11/2021, dep. 14/02/2022), n.4730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26377-2016 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

1, presso lo studio dell’avvocato MALANDRINO GIANLUIGI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ AMISSIMA ASSICURAZIONI S.P.A. (già CARIGE ASSICURAZIONI

SPA), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio

dell’avvocato RIZZO ANTONIO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CALLONI DANIELE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1846/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/06/2016 R.G.N. 1043/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/11/2021 dal Consigliere Dott. PAGETTA ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. il giudice di primo grado, in parziale accoglimento delle domande di cui ai ricorsi riuniti proposti da F.A. e della domanda riconvenzionale di Carige Assicurazioni s.p.a. (già Levante Norditalia Assicurazioni s.p.a., già Norditalia Assicurazioni s.p.a.) ha condannato la società a corrispondere ad F.A., in relazione al rapporto di agenzia instaurato tra le parti, la somma complessiva di Euro 260.124,97 oltre accessori e condannato F.A. a corrispondere alla società la somma di Euro 64.891,59, oltre accessori;

2. la Corte d’appello di Bari, rigettato l’appello incidentale della F., in parziale riforma della sentenza di primo grado, nel resto confermata, ha rideterminato in Euro 29.614,08 la somma complessivamente spettante all’ex agente;

2.1. la Corte distrettuale, esclusa la tardività dell’appello principale della società, ha ritenuto che le gravi irregolarità commesse dall’agente, ripetute in più anni e relative ad un gran numero di polizze, giustificavano il recesso per giusta causa intimato in data 8 maggio 2000 dalla preponente Levante Norditalia Assicurazioni s.p.a. ai sensi dell’art. 12 lett. e) dell’Accordo nazionale all’epoca vigente; richiamati gli esiti degli accordi inter partes in data 16 maggio 2000 ed in data 3 agosto 2000 ha ritenuto il rapporto di agenzia definitivamente cessato alla data dell’8 maggio 2000; in merito alle singole pretese azionate dalla F. ha osservato che: a) non spettavano le provvigioni sul contributo al SSN; b) non spettavano le provvigioni sulle polizze ingiustificatamente disdette; c) in relazione alle somme pretese a titolo di incentivo provvigionale non erano dovute le somme pretese per gli anni 1997 e 1998 in quanto già corrisposte dalla società e non spettavano quelle relative all’anno 1999 essendosi la società preponente avvalsa della facoltà prevista dall’appendice n. 8 al contratto di agenzia di sospendere il versamento dell’incentivazione per tale anno a causa delle gravi irregolarità tecnico – amministrative riscontrate nella gestione agenziale; d) non spettava la somma di L. 25.000.000 a titolo di incentivazione provvigionale per gli anni 1997, 1998 e 1999, essendo la stessa condizionata al fatto che in ciascun esercizio di riferimento il rapporto sinistri- premi fosse stato inferiore al 55%, circostanza non verificatasi alla luce di quanto accertato dal consulente tecnico d’ufficio; d) la somma reclamata a titolo di contributo apertura sinistri relativa al triennio 1997-1999 era dovuta nella misura di Euro 2.530,64; e) non era dovuta la somma reclamata a titolo di incentivazione straordinaria prevista dal punto 4.3. dell’accordo 18.11.1998 essendo la relativa erogazione “subordinata alla perfetta regolarità amministrativa “, in concreto insussistente; f) non erano dovute le somme reclamate a titolo di indennità sull’incremento monte premi rami di cui all’art. 24, di indennità in base agli incassi dei rami di cui all’art. 24, di indennità in base alle provvigioni di cui all’art. 24, di indennità sostitutiva del preavviso ed ex art. 12 bis in ragione della legittimità del recesso della preponente; g) spettava invece all’agente la somma di Euro 10.001,52 a titolo di indennità di scioglimento del contratto e per provvigioni dei rami in base alle previsioni ANA, come integrate dall’accordo del 18 novembre 1998, punto 2 (in quanto dovute anche in caso di recesso dell’impresa per giusta causa); h) la giusta causa del recesso rendeva infondata la domanda di risarcimento del danno per ingiustificata perdita del mandato agenziale; i) spettava a titolo di provvigioni relative al periodo gennaio 2000/24 marzo 2001, la complessiva somma di Euro 12.795,00). La Corte ha inoltre confermato sulla base della disposta consulenza tecnica d’ufficio le somme spettanti alla società preponente;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso F.A. sulla base di nove motivi, illustrati con memorie (depositate sia in relazione all’adunanza camerale del 21 gennaio 2021 sia in relazione alla adunanza camerale del 23 novembre 2021, alla quale la causa era stata rinviata); la parte intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente censura la sentenza impugnata per avere escluso la tardività dell’appello della società – depositato il 9 febbraio 2010 -, appello che assume essere stato proposto decorsi trenta giorni dalla notifica della sentenza di primo grado avvenuta il 28 dicembre 2009 e non, come sostenuto dalla società, l’11 gennaio 2010; rappresenta che una serie di anomalie riscontrabili nella copia dell’atto notificato ed in particolare l’assenza di timbro e firma dell’ufficiale giudiziario, il quale solo in un secondo momento aveva attestato la avvenuta consegna della sentenza in data 11 gennaio 2010, determinavano la inesistenza della copia notificata del provvedimento prodotta da controparte e che tanto rendeva non necessaria la proposizione della querela di falso, come viceversa affermato in sentenza. Dichiara, in ogni caso, di proporre rituale querela di falso (sottoscritta in ricorso personalmente dalla parte) nei confronti della copia notificata prodotta da controparte;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218,1453 e 1455 c.c. in relazione alla risoluzione dell’accordo con il quale le parti avevano definito la questione connessa al recesso della preponente con la liberalizzazione del portafoglio; in particolare deduce insussistenza dell’inadempimento da parte della F. all’accordo del 3.8.2000 e, in ogni caso, prevalenza rispetto ad esso dell’inadempimento della Carige Assicurazioni (già Levante Norditalia Assicurazioni s.p.a., già Norditalia Assicurazioni s.p.a.); in ogni caso, denunzia la scarsa importanza, ove ravvisabile, dell’inadempimento contestato all’agente e pertanto l’insussistenza dei presupposti per la risoluzione dell’accordo di liberalizzazione del 3.8.2000. Afferma che nella relativa valutazione il giudice di merito non si era attenuto ai criteri di proporzionalità della risoluzione e comparazione dei reciproci inadempimenti;

3. con il terzo motivo (che in ricorso è contrassegnato con il n. 1) parte ricorrente deduce violazione dell’art. 1453 c.c. per omesso riconoscimento del risarcimento del danno a favore di F.A. e a carico della preponente, violazione degli artt. 1362,1366,1367 e 1370 c.c. in relazione all’art. 1355 c.c. rispetto alla interpretazione e validità della clausola di cui al punto 7 dell’Accordo 3.8.2000; richiamata l’affermazione della sentenza impugnata circa la raccomandata con la quale la F. aveva addebitato alla società il mancato rispetto dell’accordo dell’agosto 2000 sostiene che il giudice di appello aveva interpretato l’accordo in termini antitetici a quella che era stata la volontà delle parti contraenti; osserva in particolare che la clausola contenuta al punto 7 dell’accordo in questione non poteva essere letta nel senso che anche l’inadempimento della compagnia assicurativa, consistente nel mancato pagamento alla F. della prima rata di L. 20.000.000, facesse rivivere la precedente revoca del mandato agenziale in quanto ciò avrebbe connotato come meramente potestativa e quindi invalida la clausola in oggetto;

4. con il quarto motivo di ricorso (contrassegnato in ricorso con il n. 2) deduce violazione dell’art. 2119 c.c. censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto la condotta dell’agente giustificativa della risoluzione del rapporto pur in assenza dei necessari requisiti di gravità dei fatti contestati, di tempestività degli addebiti e per non avere considerato che le parti medesime con la loro condotta avevano dimostrato che il rapporto tra loro poteva proseguire;

5. con il quinto motivo (contrassegnato in ricorso con il n. 3) deduce violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. per avere la Corte di appello invertito la regola del riparto dell’onere probatorio e per avere posto a base della decisione fatti e circostanze non provati dalla parte onerata e per i quali, anzi, risultava dimostrato il contrario di quanto ritenuto in sentenza; in particolare si duole che le irregolarità ascritte all’agente non fossero sorrette da prova documentale;

6. con il sesto motivo di ricorso (contrassegnato in ricorso con il n. 4), si deduce omesso esame di uno o più fatti decisivi dibattuti fra le parti, rappresentato dal provvedimento adottato dall’ISVAP, a seguito di procedimento disciplinare, che aveva accertato l’assenza di elementi a sostegno dei fatti addotti dalla preponente quale base del recesso, nonché della identica deduzione formulata dal consulente tecnico d’ufficio nominato in primo grado;

7. con il settimo motivo (contrassegnato in ricorso con il n. 5) si deduce omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla circostanza che i ritardi rilevati nel verbale ispettivo in ordine ai bonifici richiesti alla Banca erano in realtà tutti eseguiti con la corretta valuta a favore del beneficiario;

8. con l’ottavo motivo (contrassegnato in ricorso con il n. 6) deduce violazione dell’art. 2119 c.c. per difetto di tempestività del recesso rispetto al fatto contestato;

9. con il nono motivo di ricorso (contrassegnato in ricorso con il n. 7) si deduce errata interpretazione dell’appendice n. 8 al contratto e omesso esame di un fatto decisivo, in relazione al mancato riconoscimento del credito per raggiunto piano di incentivazione per l’anno 1999; si deduce in particolare la errata interpretazione dell’appendice n. 8 del contratto di agenzia la quale contemplava: a) il riconoscimento di un’incentivazione provvigionale straordinaria dell’8% in caso di raggiungimento dell’incremento premi imponibili incassati di L. 350.000.000, soglia che si assume essere stata ampiamente superata; b) il riconoscimento di un’ ulteriore incentivazione straordinaria in presenza di determinati presupposti, rappresentati dal verificarsi, a fronte del piano produttivo indicato al punto 1 del contratto, della condizione per la quale il rapporto sinistri premi generale dell’Agenzia sarebbe stato considerato al termine di ciascun esercizio inferiore al 55%; la Corte inoltre aveva errato nel ritenere in facoltà della società di sospendere le erogazioni dovute in via retroattiva;

10. il primo motivo di ricorso è infondato;

10.1. la Corte distrettuale ha respinto la eccezione di tardività dell’appello, eccezione motivata con il fatto che l’impugnazione era stata proposta in data 9 febbraio 2010 e quindi oltre il 30 giorno dalla data di notifica della sentenza di primo grado avvenuta il 28 dicembre 2009, osservando che la relata dell’ufficiale giudiziario in calce alla copia notificata della sentenza impugnata riportava la data dell’11 gennaio 2010 e che vertendosi in ipotesi di conflitto tra due atti pubblici, entrambi aventi piena efficacia probatoria, suscettibile di essere eliminata dalla querela di falso, nello specifico non proposta, il conflitto andava risolto in senso sfavorevole non già al destinatario della notificazione ma a colui che aveva eccepito la decadenza dall’impugnazione;

10.2. le censure che contestano la qualificazione come atto pubblico della copia notificata della sentenza di primo grado prodotta dalla società, censure fondate su asserite “anomalie” dell’atto, sono inammissibili sia in quanto intese ad inficiare un apprezzamento rimesso al giudice di merito sia in quanto si sostanziano nella prospettazione, rispetto a quella fatta propria dalla sentenza impugnata, di una diversa valutazione circa la esistenza e validità come atto pubblico della copia notificata prodotta dalla società, contrapposizione non veicolata, in violazione del principio di tassatività dei motivi di ricorso per cassazione, dalla deduzione di censure riconducibili all’ambito dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c.;

10.4. in punto di diritto la decisione di secondo grado è corretta siccome coerente con l’indirizzo della Suprema Corte secondo il quale l’accertato conflitto tra i due atti pubblici, dotati entrambi di piena efficacia probatoria, può essere risolto solo sulla base di querela di falso il cui onere è a carico del soggetto che eccepisce la decadenza (Cass. n. 14781/2017, Cass. n. 27722/2019), vale a dire nello specifico la F. la quale, per come pacifico, non ha assolto a tale onere;

10.5. la querela di falso proposta dall’odierna ricorrente con il ricorso per cassazione è inammissibile alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale nel giudizio di cassazione, la querela di falso è proponibile limitatamente ad atti del relativo procedimento, come il ricorso o il controricorso, ovvero a documenti producibili ai sensi dell’art. 372 c.p.c., mentre non può riguardare atti e documenti che il giudice di merito abbia posto fondamento della sentenza impugnata, in quanto la loro eventuale falsità, se definitivamente accertata nella sede competente, può essere fatta valere come motivo di revocazione. Pertanto, essa può riguardare anche la nullità della sentenza impugnata, con riferimento ai soli vizi della sentenza stessa per mancanza dei suoi requisiti essenziali, di sostanza o di forma, e non anche ove essa sia originata, in via mediata e riflessa, da vizi del procedimento, ovvero dalla eventuale falsità dei documenti posti a base della decisione del giudice di merito (Cass. n. 2343/2019, Cass. n. 25856/2006);

11. il secondo motivo di ricorso è inammissibile

11.1. la Corte di merito ha premesso che dopo un primo accordo in data 16 maggio 2000, seguito al recesso della preponente del 9 maggio 2000, accordo non onorato dalla F., la società, con raccomandata dell’11 luglio 2000 aveva confermato il recesso del 9 maggio 2000; le parti in data 3 agosto 2000 avevano quindi stipulato un nuovo contratto che prevedeva a fronte dell’accordo di liberalizzazione sottoscritto dall’agente l’impegno della società a corrispondere alcuni importi con la previsione che al venir meno, per qualsiasi ragione, del contratto o dell’accordo di liberalizzazione, il recesso dal rapporto si sarebbe inteso quale ripristinato; in seguito ad accertamento ispettivo – i cui esiti avevano trovato conferma in sede testimoniale – erano emerse a carico della F. una serie di irregolarità ed in conseguenza la società aveva intimato una diffida ad adempiere e, decorso il termine di 20 giorni, si era avvalsa della clausola risolutiva espressa; la Corte ha, inoltre, osservato che la F. medesima nella raccomandata inviata alla preponente nell’addebitare a quest’ultima il mancato rispetto dell’accordo aveva dichiarato che la convenzione e l’accordo erano da ritenersi annullati a tutti gli effetti;

11.2. le censure articolate con il motivo in esame non sono pertinenti alle ragioni alla base della decisione; in particolare, l’accertamento relativo alla avvenuta risoluzione dell’accordo dell’agosto 2000 non scaturisce, come sembra ritenere parte ricorrente, dalla verifica giudiziale della gravità dell’inadempimento dell’agente ai sensi dell’art. 1453 c.c. ma dal fatto che la società aveva deciso di avvalersi della clausola risolutiva prevista nell’accordo, in conformità del meccanismo prefigurato dall’art. 1456 c.c.; tanto precludeva al giudice di merito ogni valutazione sulla gravità dell’inadempimento dell’agente (v. da ultimo, Cass. n. 23879/2021) a fronte del presupposto, al quale era ancorata la possibilità di avvalersi della clausola risolutiva espressa, specificamente accertato dalla sentenza impugnata, rappresentato dalla sussistenza di una serie di irregolarità gestionali ascrivibili alla F. (sentenza, pag. 13);

12. il terzo motivo di ricorso è inammissibile;

12.1. parte ricorrente si duole in sintesi della interpretazione dell’accordo del 3 agosto 2000 ma la relativa deduzione non è sorretta, come richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, dalla trascrizione o esposizione per riassunto del documento della cui interpretazione la ricorrente si duole (Cass. n. 2560/2007, Cass. n. 24461/2005): a tal fine non è sufficiente la sola trascrizione del punto 7 dell’accordo in oggetto; tale clausola, alla stregua delle medesime allegazioni della ricorrente, si inseriva infatti nell’ambito di un articolato programma negoziale per cui si imponeva una lettura sistematica della stessa con riferimento anche alle altre clausole regolanti il rapporto tra le parti;

12.2. la deduzione di violazione dei criteri legali di interpretazione non è articolata in conformità dell’indicazioni del giudice di legittimità il quale, premesso che l’interpretazione dei contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione, ha chiarito che ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato mentre la denuncia del vizio di motivazione dev’essere, invece, effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza; in questa prospettiva è stato puntualizzato che per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. n. 9461/2021, Cass. n. 19044/2010, Cass. n. 15604/2007, in motivazione, Cass. n. 4178/2007), dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. n. 11254/2018, Cass. n. 14318/2013, Cass. n. 23635/2010);

12.3. parte ricorrente non ha osservato gli oneri prescritti in quanto si è limitata a proporre in termini assertivi e con prospettazione meramente contrappositiva una diversa ed a sé più favorevole interpretazione della clausola in oggetto;

13. il quarto motivo di ricorso è inammissibile;

13.1. premesso che costituisce ius receptum l’affermazione secondo la quale nel contratto di agenzia, per stabilire se lo scioglimento del contratto stesso sia avvenuto o meno per un fatto imputabile al preponente o all’agente, tale da impedire la possibilità di prosecuzione anche temporanea del rapporto, può essere utilizzato per analogia il concetto di giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., previsto per il lavoro subordinato, e che il giudizio sulla sussistenza di una giusta causa di recesso costituisce valutazione rimessa al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità ove correttamente ed adeguatamente motivata (Cass. n. 3896/2011, Cass. n. 3595/2011), si rileva che in linea di principio la denunzia di violazione di norma di diritto in relazione all’art. 2119 c.c., che costituisce norma cd. elastica (Cass. n. 29290/2019), richiede la deduzione di non conformità dell’attività di integrazione del precetto ad opera del giudice di merito ai valori ed agli standard presenti nell’ordinamento; solo in questi limiti la valutazione di sussistenza della giusta causa di recesso è validamente censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 13534/2019, Cass. n. 31155/2018);

13.2. le doglianze articolate da parte ricorrente non sono coerenti con le richiamate prescrizioni in quanto non investono la conformità al precetto dell’art. 2119 c.c. del concreto parametro al quale è stata ancorata la valutazione della ” giusta causa ” di recesso ma si sostanziano nella diretta richiesta di una rivisitazione nel merito della valutazione del giudice di appello sollecitando un sindacato non consentito al giudice di legittimità alla luce dei richiamati arresti giurisprudenziali;

14. il quinto motivo di ricorso deve essere respinto;

14.1. la sentenza impugnata ha ritenuto dimostrato dalla prova testimoniale che la F. avesse commesso le irregolarità amministrative alla base del recesso intimato dalla preponente;

14.2. tale accertamento non è validamente incrinato né dalla deduzione di violazione dell’art. 2697 c.c. né dalla deduzione di violazione dell’art. 115 c.p.c. articolate dalla ricorrente;

14.3. invero la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107/ 2013, Cass. n. 13395/ 2018), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio in relazione alla esistenza della giusta causa di recesso, onere che è stato ritenuto assolto dalla preponente sulla quale lo stesso ricadeva;

14.4. in relazione alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre rimarcare che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (tra le altre v. Cass. n. 23940/ 2017, Cass. n. 4699 e 26769 del 2018, Cass. n. 1229/ 2019, Cass. n. 24395/2020) e quindi attraverso la deduzione di omesso esame di fatto controverso e decisivo, neppure formalmente denunziata dall’odierna ricorrente; come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione Cass. n. 1229/2019, Cass. n. 27000/2016), questioni estranee al motivo in esame per come concretamente articolato, inteso essenzialmente ad una revisione nel merito della valutazione del giudice di secondo grado;

15. il sesto motivo è inammissibile sia per difetto di decisività del fatto evocato come asseritamente omesso dal giudice di merito rappresentato dal provvedimento ISVAP, la cui valutazione, come intuibile, non può condizionare l’ampiezza del sindacato giurisdizionale sui presupposti della giusta causa di recesso, sia per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per mancata trascrizione o esposizione per riassunto del documento e mancata indicazione della sede di relativa produzione nell’ambito del giudizio di merito (vedi, tra le più recenti, Cass. n. 18695/2021, Cass. n. 28184/2020, Cass. Sez. Un. 34469/2019);

16. il settimo motivo di ricorso è inammissibile sia per difetto di decisività dei fatti rispetto ai quali si assume omesso esame, sia perché detti fatti sono evocati senza il rispetto delle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. n. 19987/2017, Casse Sez. Un. 8053/2014), sia per essere le censure articolate intese nella sostanza ad un riesame nel merito delle circostanze integranti giusta causa per cui valgono le considerazioni espresse al paragrafo 13.1.;

17. l’ottavo motivo di ricorso è inammissibile;

il profilo relativo alla tardività del recesso intimato dalla preponente non risulta effettivamente trattato in sentenza, per cui, a fronte di ciò, onde impedire una valutazione di novità della questione, era onere della ricorrente allegare l’avvenuta deduzione di esso innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. n. 20694/2018, Cass. n. 15430/2018, Cass. n. 23675/2013″ come viceversa non è avvenuto;

18. il nono motivo di ricorso è anch’esso inammissibile;

18.1. la Corte di merito ha ritenuto in relazione alle somme pretese a titolo di incentivo provvigionale, non dovute quelle relative agli anni 1997 e 1998 in quanto già corrisposte dalla società e non spettanti quelle relative all’anno 1999 essendosi la società preponente avvalsa della facoltà prevista dall’appendice n. 8 al contratto di agenzia di sospendere il versamento dell’incentivazione per tale anno a causa delle gravi irregolarità tecnico – amministrative riscontrate nella gestione agenziale; ha ritenuto non spettare la somma di L. 25.000.000 a titolo di incentivazione provvigionale per gli anni 1997,1998 e 1999 la quale era condizionata al fatto che in ciascun esercizio di riferimento il rapporto sinistri- premi fosse stato inferiore al 55%, circostanza non verificatasi alla luce di quanto accertato dal consulente tecnico di ufficio;

18.2. la critica alla interpretazione dell’appendice n. 8 allegata al contratto di agenzia è inidonea alla valida censura della decisione sia per difetto di integrale trascrizione del documento alla base delle censure articolate (per cui v. paragrafo 15. e la giurisprudenza ivi richiamata), anche quelle che concernono la contestata facoltà di sospensione delle erogazioni da parte della società, sia per le modalità di deduzione della violazione dei criteri legali di interpretazione non coerenti con le prescrizioni della Suprema Corte (come richiamate al paragrafo 12.2.); inammissibili le ulteriori deduzioni intese direttamente ad una diversa rivalutazione nel merito delle circostanze dedotte che non risultano evocate nel rispetto delle indicazioni rivenienti dal disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6;

19. al rigetto del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese di lite;

20. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA