Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4729 del 25/02/2011

Cassazione civile sez. II, 25/02/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 25/02/2011), n.4729

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. FALSCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14123/2005 proposto da:

F.N. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA RADICOFANI 140, presso lo studio dell’avvocato LOVELLO

ORNELLA, rappresentata e difesa dall’avvocato SANTILLI Enrico;

– ricorrente –

contro

Z.N. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANGELO BARGONI 78 SC 0/P 8P, presso lo studio dell’avvocato

VITTORIO ATTOLINO, rappresentato e difeso dall’avvocato GERMANO

Pasquale;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 89/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato SANTILLI ENRICO difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato VITTORIO ATTOLINO difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 15-2-1999 F.N. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il coniuge Z.N., da cui era separata, chiedendo dichiararsi che una porzione di immobile sito in (OMISSIS), acquistato dal marito il 23-9-1976, era da considerarsi in comunione tra i coniugi nella quota del 50% per ciascuno di essi; l’attrice deduceva che, contratto matrimonio nell’anno 1966, nel 1982 i coniugi avevano aderito al regime di separazione dei beni, e che tuttavia, risalendo l’acquisto del suddetto immobile ad epoca anteriore al 1982 e successivamente all’entrata in vigore della nuova normativa in materia di diritto di famiglia, il bene era in comunione.

Costituendosi in giudizio il convenuto contestava la domanda attrice assumendo che con l’atto di separazione i coniugi avevano disciplinato il regime di proprietà dei singoli beni dando atto che gli immobili intestati a ciascuno dei coniugi erano stati acquistati con denaro proprio del singolo compratore.

Il Tribunale adito con sentenza del 10-10-2000 rigettava la domanda attrice.

Proposta impugnazione da parte della F. cui resisteva lo Z. la Corte di Appello di Roma con sentenza del 12-1-2005 ha rigettato il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza la F. ha proposto un ricorso articolato in due motivi cui lo Z. ha resistito con controricorso; la ricorrente successivamente ha depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 708 e 711 c.p.c., in relazione agli artt. 158 e 1372 c.c., per travisamento dei fatti e per erronea omessa o insufficiente motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto decisiva la circostanza che la F., che reclamava la comproprietà dell’immobile per cui è causa, aveva invece sottoscritto il ricorso proposto al Tribunale per la separazione personale dei coniugi riconoscendo in capo allo Z. la proprietà esclusiva del bene medesimo: essa rileva che nella specie i coniugi avevano congiuntamente depositato un ricorso nel quale era previsto il trasferimento del 50% dell’immobile predetto al marito, e che successivamente, in sede di comparizione all’udienza dinanzi al Presidente del Tribunale, avevano riformulato la domanda congiunta escludendo la clausola inerente la definizione dei rapporti patrimoniali, cosicchè era innegabile che nelle more tra il deposito del ricorso e la predetta udienza era venuto meno il consenso dell’esponente alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi alle condizioni riportate nel ricorso congiunto, e che conseguentemente le condizioni stesse erano state integralmente riscritte in udienza e successivamente omologate dal Tribunale.

La ricorrente sostiene quindi la piena revocabilità del consenso riconducibile al mancato perfezionamento dell’accordo, dovendosi riconoscere all’omologazione valore di accertamento costitutivo;

pertanto il negozio di separazione, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, doveva essere qualificato come un accordo in senso stretto – non equiparabile ad un atto contrattuale di diritto privato ove l’incontro delle volontà rende irrevocabile il consenso prestato – con conseguente inapplicabilità dell’art. 1372 c.c.;

inoltre non era irrilevante il fatto che la clausola contenuta nel ricorso avente ad oggetto il riconoscimento da parte della moglie della proprietà esclusiva dell’immobile per cui è causa in favore del marito non era stata riportata nel verbale d’udienza, avendo essa natura non già ricognitiva, come ritenuto dalla sentenza impugnata, bensì attributiva.

Con il secondo motivo la F., deducendo violazione dell’art. 1350 c.c., ed omessa ed insufficiente motivazione, assume che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la volontà di entrambi i coniugi si era risolutamente manifestata nel ricorso, attesa la revocabilità del consenso prestato al momento della sottoscrizione del ricorso congiunto fino al decreto di omologazione;

inoltre era erroneo anche il richiamo della sentenza impugnata all’art. 1350 c.c., sia perchè, come già esposto in precedenza, il contenuto pattizio del ricorso congiunto aveva natura di accordo in senso stretto non equiparabile ad un atto contrattuale, sia soprattutto perchè la clausola in questione non aveva valenza ricognitiva della proprietà ma, ove contenuta nel decreto di omologazione, natura attributiva.

Le enunciate censure, da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondate.

La Corte territoriale, dopo aver premesso che l’immobile per cui è causa, acquistato il 23-9-1976 dallo Z. con relativa intestazione solo a quest’ultimo, ricadeva in comunione, atteso che all’epoca era vigente il nuovo regime matrimoniale introdotto dalla L. 19 maggio 1975, n. 151 e che la moglie non era stata presente all’atto ai sensi dell’art. 179 c.c., ha rilevato che i suddetti coniugi avevano presentato al Tribunale di Roma un ricorso per la loro separazione personale nel quale si davano reciprocamente atto che gli immobili acquisiti in costanza di matrimonio erano stati realmente acquistati dal coniuge intestatario nell’atto di compravendita con denaro proprio, e quindi erano di proprietà esclusiva di colui che risultava intestatario del bene stesso; ha quindi osservato che la F., sottoscrivendo il ricorso proposto al Tribunale, aveva riconosciuto la proprietà esclusiva in capo allo Z. dell’immobile per cui è causa, con un atto non pubblico ma che costituiva piena ricognizione di proprietà nonchè piena confessione di quanto dichiarato e da lei sottoscritto; il giudice di appello al riguardo ha precisato che non era indispensabile che tale volontà espressa dalla F. fosse poi trasfusa nel verbale avente natura di atto pubblico, in quanto era necessario solo il requisito della forma scritta.

Orbene alla luce di tali premesse è rilevante osservare che la ricorrente, nello svolgere le sue censure, muove dal presupposto della natura attributiva della dichiarazione da lei rilasciata e sottoscritta nel suddetto ricorso per la separazione personale dei coniugi, contestando solo genericamente ed apoditticamente, e dunque inammissibilmente, il diverso assunto in ordine alla natura ricognitiva di tale dichiarazione sostenuto dalla sentenza impugnata sulla base dell’esame del contenuto del ricorso stesso; tale rilievo è fondamentale, in quanto le argomentazioni espresse dalla F. sono incentrate, come si è visto, su una circostanza estranea alla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte territoriale, ovvero la previsione del trasferimento del 50% della proprietà dell’immobile per cui è causa dalla moglie al marito, con i conseguenti richiami in tale ottica agli artt. 1372 e 1350 c.c..

Deve comunque aggiungersi che l’assunto della ricorrente circa l’inefficacia delle pattuizioni contenute in un ricorso per la separazione personale dei coniugi non riportate nel verbale poi oggetto del decreto di omologazione merita un chiarimento; invero, se di regola in base all’art. 711 c.p.c e art. 158 c.c., il regolamento concordato tra i coniugi, pur trovando la sua fonte nel loro accordo, acquista efficacia soltanto in seguito al provvedimento di omologazione, nondimeno, nel quadro di una tendenza finalizzata a valorizzare l’autonomia negoziale dei coniugi, è possibile, nell’ambito di un accordo destinato a disciplinare una separazione consensuale, l’inserimento di una convenzione avente una sua autonomia, in quanto non immediatamente riferibile nè collegata al contenuto necessario del regime di separazione e non interferente con esso perchè riguardante un aspetto non disciplinato nell’accordo formale e con questo compatibile (Cass. 18-9-1997 n. 9287; Cass. 20/10/2005 n. 20290; Cass. 8-11-2006 n. 23801; Cass. 9-4-2008 n. 9174), come tale quindi valida ed efficace anche se non contenuta nel verbale oggetto del decreto di omologazione.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 6000,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2011

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