Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4727 del 28/02/2018


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Cassazione civile, sez. I, 28/02/2018, (ud. 04/12/2017, dep.28/02/2018),  n. 4727

Fatto

Con sentenza del 21.12.2011 la Corte d’Appello di Milano, riformando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da V.L. ed C.E. avente ad oggetto il risarcimento del danno quantificato in Euro 230.687,57, oltre interessi legali, per la perdita del capitale investito in obbligazioni (OMISSIS), azionata nei confronti della Banca Popolare di Milano.

Il Tribunale di Lecco aveva rilevato che la banca aveva tenuto un comportamento contrario alle regole previste dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 in relazione agli obblighi informativi su di essa incombenti e che il danno era legato da un nesso di regolarità causale con l’illecito contrattuale accertato.

La Corte d’appello, al contrario, ha escluso la sussistenza del nesso causale tra l’inadempimento della banca e il danno patito dagli appellati, affermando che, dalla prova testimoniale espletata, era risultato che l’eventuale violazione degli obblighi informativi non avrebbe comunque inciso sulla decisione dell’investitore orientato da un intento speculativo. Infatti, già nella fase antecedente la conclusione del contratto di compravendita di strumenti finanziari la sig.ra C. era stata avvisata dei rischi connessi all’investimento in titoli obbligazionari ma aveva comunque preferito le obbligazioni (OMISSIS) in considerazione della maggior rendita garantita. Inoltre nel 2001, a distanza di un anno dall’acquisto dei titoli obbligazionari, la funzionaria della banca aveva avvertito l’investitrice che la situazione del mercato finanziario era mutata e che i titoli (OMISSIS) erano privi di rating. In definitiva, ritiene la Corte territoriale che le informazioni fornite dalla banca nel 2001 abbiano assunto efficacia interruttiva del nesso di causalità e, per altro verso, che il danno debba essere ascritto a fatto proprio dei danneggiati che, pur informati sull’aggravamento delle condizioni del mercato, avevano deciso di mantenere l’investimento.

Avverso questa pronuncia propongono ricorso per cassazione V.L. ed C.E. sulla base di tre motivi cui resiste con controricorso Banca popolare di Milano s.c.a.r.l.

La causa è stata avviata alla trattazione camerale ex art. 380 bis. c.p.c., comma 1. Le parti ricorrenti hanno altresì depositato memoria.

Nel primo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e 23 e gli artt. 26, 28, 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998 per non avere la Corte d’Appello correttamente applicato i principi che disciplinano il nesso causale e non averne ritenuto la sussistenza sull’erroneo presupposto che l’eventuale violazione degli obblighi informativi non avrebbe inciso sulla decisione del cliente. La Corte avrebbe dovuto innanzitutto verificare se l’intermediario avesse violato gli obblighi informativi, avendo omesso di acquisire quella conoscenza qualificata del prodotto finanziario (il titolo (OMISSIS)) richiesta dalla legge a tutela degli investitori. Ad avviso dei ricorrenti è irrilevante, oltre che generica, l’indicazione successiva all’investimento, in quanto relativa soltanto al rischio di una flessione della quotazione del titolo, non al default dovuto al fallimento dal quale è conseguita la perdita del capitale investito.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 28 e 30 del Reg. Consob n. 11522 del 1998. L’intermediario non ha assolto agli obblighi informativi indicati nelle norme citate, anche sotto il profilo delle informazioni da richiedere ai fini della definizione del profilo di rischio dell’investitore. Viene sottolineato che i ricorrenti hanno prima sottoscritto l’ordine di acquisto e successivamente il contratto quadro, elemento che indica il deficit di acquisizione di informazioni richiesto dalle disposizioni regolamentari.

Nel terzo motivo viene dedotto il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, nella versione ratione temporis applicabile, in ordine all’accertamento relativo alla mancanza del nesso di causalità. L’affermazione relativa alla non inferenza delle informazioni rispetto alla decisione d’investimento è ritenuta priva di motivazione adeguata, non essendo rilevanti al riguardo le informazioni fornite nel 2001 dal momento che anch’esse furono del tutto insufficienti.

Le censure, legate da un nesso logico, devono essere affrontate unitariamente.

In materia di obblighi informativi, nei contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, questa Corte ha in più occasioni chiarito che l’intermediario finanziario ha l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente (Cass. n. 17340/2008, n. 22147/2010) e che, quindi, l’assolvimento di tale obbligo implica la formulazione, da parte dell’intermediario medesimo, di indicazioni idonee a descrivere la natura, la quantità e la qualità dei prodotti finanziari ed a rappresentarne la specifica rischiosità (Cass. n. 8089/2016 e 16861/2017; cfr. pure Cass. n. 1376/2016, n. 2535/2016). L’onere della prova dell’assolvimento dell’obbligo informativo è a carico dell’intermediario, e non corrisponde alla mera assenza di negligenza, ma deve concretizzarsi nella prova positiva della diligenza, mentre l’investitore è tenuto ad allegare specificamente il deficit informativo ed a fornire la prova dell’esistenza di un pregiudizio patrimoniale dovuto all’investimento od agli investimenti eseguiti. In ordine al nesso causale l’investitore deve allegare e provare che la perdita patrimoniale è eziologicamente riconducibile, anche in via non esclusiva, (la concorrenza di altri fattori o della condotta del creditore determinerà effetti sulla attribuzione della responsabilità per intero o parziariamente) alle caratteristiche di rischiosità del prodotto non conosciute. Ne consegue che la prova del nesso causale non può dirsi eliminata dal mero rilievo del profilo “speculativo” dell’investitore, ovvero dalla sua elevata propensione al rischio, dovendo escludersi che quest’ultimo possa accettare anche i profili di rischiosità del prodotto finanziario che gli sono ignoti e dei quali alleghi la conoscenza o la prevedibilità in capo all’intermediario, contrattualmente obbligato ad essere preventivamente informato.

La Corte territoriale, al contrario, ha ritenuto di inferire l’insussistenza della prova del nesso causale dal profilo “speculativo” del cliente, dedotto, peraltro, da informazioni, del tutto parziali, rispetto alle omissioni allegate, fornite soltanto dopo l’esecuzione dell’investimento quando lo spostamento patrimoniale si era già verificato e le scelte dell’investitore non potevano che essere condizionate da tale sopravvenuto fattore.

Le informazioni rese nel 2001, consistenti sostanzialmente nella mancanza di rating, riguardano caratteristiche originarie del prodotto, come precisato nel ricorso, che ne connotano la peculiare rischiosità. La Corte territoriale non ha ritenuto rilevante che l’intermediario non abbia fornito alcuna prova contraria in ordine a tale allegazione specifica nè relativa alla preventiva conoscenza da parte dell’investitore di tale profilo del prodotto, direttamente incidente sulla sua concreta rischiosità, nè in ordine alla oggettiva mancanza dei dedotti elementi di rischio, rivelatisi eziologicamente produttivi della perdita del capitale investito.

Così operando, ha omesso di considerare che le fattispecie contrattuali descritte nel D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 1 sono governate da una rete di norme imperative relative a requisiti di validità e ad obblighi cogenti riguardanti le prestazioni dovute, in particolare dall’intermediario, che conformano il regolamento d’interessi tipizzato dal legislatore, limitando la flessibilità endocontrattuale sia nel momento genetico che in quello attuativo del contratto. All’investitore è rimesso il potere decisionale di stabilire il grado di aleatorietà dell’investimento che intende sostenere ma soltanto a condizione che l’investimento corrisponda al suo profilo personale, desumibile dalle informazioni assunte sulla tipologia di propensione all’investimento finanziario e soprattutto sia frutto di una scelta informata e consapevole in concreto del rapporto rischio rendimento, in relazione alla peculiarità del prodotto e alla sua effettiva rischiosità, con particolare riferimento al pericolo della perdita del capitale investito. Tale ultima informazione deriva da un complesso di fattori specifici e non soltanto in generale dalla categoria di prodotti finanziari negoziati o che compongono una gestione patrimoniale. Queste prescrizioni derivanti dal sistema integrato costituito dall’art. 21 T.U.F. e dagli artt. 26 – 28 del Reg. Consob n. 11522 del 1998, si completano con il regime giuridico, anch’esso imperativo, dell’onere della prova in sede di azione risarcitoria. A tale riguardo è imposto all’intermediario un obbligo positivo specifico di provare il puntuale adempimento degli obblighi informativi. Tale obbligo sarebbe sostanzialmente vanificato se si ritenesse che verso l’investitore cd. “speculativo” (ma l’attributo è del tutto improprio per un investitore retail) l’intermediario non sia tenuto a fornire le informazioni relative al grado di rischio di perdita del capitale derivante dalla tipologia specifica del prodotto proposto ed acquistato. Al contrario si deve ritenere che il grado di rischio sia direttamente proporzionale al livello di puntualità delle informazioni. L’esclusione del nesso causale desunta dalla Corte territoriale dalla cd. prova controfattuale – ovvero dal convincimento relativo all’ininfluenza del comportamento giuridicamente imposto rispetto alla scelta dell’investimento – integra la violazione del richiamato sistema integrato di protezione dell’investitore che permea la disciplina normativa dalla fase precontrattuale fino alle conseguenze dannose dell’esecuzione degli ordini d’investimento, prescrivendo una rigida conformazione delle prestazioni di carattere informativo a carico dell’intermediario, in ordine alle quali deve indefettibilmente essere fornita la prova positiva per evitare le conseguenze risarcitorie (o solutorie) dell’inadempimento.

Al riguardo, il Collegio ritiene di dare continuità all’orientamento espresso nella sentenza n. 12544 del 2017 in ordine ai principi regolatori dell’onus probandi e art. 23 T.U.F. e di ravvisare la violazione di legge nella diversa conformazione della sua distribuzione, diversamente da quanto ritenuto nella più recente pronuncia n. 25335 del 2017.

La circolarità dei rimedi previsti dal legislatore per colmare l’asimmetria informativa che caratterizza la posizione delle parti contraenti nell’intermediazione finanziaria è stata ampiamente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., n. 5089/2016, par. 2.2.; Cass. 26191/2017, n. 22605/2017). L’intermediario che sia rimasto inadempiente agli specifichi obblighi informativi previsti dalla legge non può neanche invocare l’attenuazione della sua responsabilità, ex art. 1227 c.c., per non avere l’investitore condiviso i suggerimenti (nella specie, ad alleggerire la posizione creditoria o ad uscire dall’investimento) da lui ricevuti dopo l’esecuzione dell’ordine di acquisto ed entro il termine di scadenza dell’investimento, atteso che tale condotta non comporta un’esposizione volontaria ad un rischio, nè viola una regola di comune prudenza (Cass. n. 17333 del 31/08/2015).

Infine, al riscontro dell’inadempimento degli obblighi di corretta informazione consegue, secondo l’orientamento prevalente di questa Corte, l’accertamento in via presuntiva del nesso di causalità tra il detto inadempimento e il danno patito dall’investitore (Cass. n. 23417/2016, n. 12544/2017); presunzione che spetta all’intermediario vincere attraverso la prova di aver correttamente adempiuto. Occorre, peraltro ribadire, quanto al rapporto fra violazione degli obblighi informativi e produzione del danno, che nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi, ed il cliente non rientri in alcuna delle categorie di investitore qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non è configurabile alcun concorso di colpa di quest’ultimo nella produzione del danno (Cass. n. 26064/2017, par. 17), nè, a fortiori, può ascriversi efficacia interruttiva del nesso di causalità alle sue scelte.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto nei limiti indicati in motivazione. Ne consegue la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra richiamati e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2018

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