Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4727 del 23/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/02/2017, (ud. 09/12/2016, dep.23/02/2017),  n. 4727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 3103-2015 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

M.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6710/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ACIERNO MARIA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

E’ stata depositata la seguente relazione in ordine al procedimento recante il numero di R.G. 3103 del 2015.

“Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 6040 del 2013, ha riconosciuto lo status di apolide a M.S., nata a (OMISSIS) da cittadina jugoslava (non essendo stata riconosciuta dal padre). La Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello introdotto dal Ministero dell’Interno.

Ricorre per cassazione ancora il Ministero dell’Interno, non si è costituita M.S..

Il ricorrente contesta innanzitutto la violazione di legge perchè, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della Convenzione di New York del 28 settembre 1954, come resa esecutiva in Italia con L. n. 306 del 1962, può considerarsi apolide “la persona che nessuno Stato, sulla base del proprio ordinamento giuridico, considera come suo cittadino”. In conseguenza, secondo il Ministero, occorre che il richiedente il riconoscimento dello status di apolide dimostri almeno di aver domandato il riconoscimento della cittadinanza a quegli Stati con i quali presenta una ragione di stretto collegamento (ad es.: Stato di nascita, di residenza, di cittadinanza dei genitori). I Giudici dell’appello, invece, pur affermando che M.S. “è pacifico che sia nata in Italia da genitrice cittadina della ex Jugoslavia”, e precisamente originaria della attuale Serbia hanno ritenuto sufficiente la dimostrazione da parte della istante che ella non è iscritta nei registri dell’anagrafe “dello Stato di nascita proprio o dei genitori, in alternativa a quello di stabile residenza”, ed hanno affermato che, secondo l’opinione del Collegio, “la legge postula unicamente l’accertamento circa il mancato possesso della cittadinanza che il richiedente potrebbe in concreto possedere”.

Il Ministero ricorrente ha quindi provveduto a ricostruire lo stato della legislazione serba in materia per concludere che, a suo parere, non vi è nessuna ragione che impedisca alla M. il conseguimento della cittadinanza serba.

La valutazione espressa dalla Corte di merito non merita condivisione. Può essere opportuno precisare che l’art. 1, comma 1, della citata Convenzione di New York prevede che debba considerarsi apolide “una persona che nessuno Stato considera come propria cittadina in base alla sua legislazione”. Il dettato normativo appare chiaro, e non considera apolide colui che non sia iscritto nei registri di anagrafe di alcuno Stato, bensì colui che non ha diritto a conseguire la cittadinanza in base alla legislazione vigente negli Stati con cui presenta una significativa ragione di collegamento. Tale interpretazione appare consolidata nella giurisprudenza di legittimità, e la Cassazione ha già avuto modo di precisare che “lo stato di apolidia, di cui alla Convenzione di New York del 28 settembre 1954 ed al D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 57, art. 17 è riconoscibile a coloro che siano privi della cittadinanza degli Stati con i quali intrattengono o abbiano intrattenuto rapporti rilevanti tali da dar vita ad un collegamento effettivo, e presuppone, pertanto, un accertamento dello stato di cittadinanza in base alle normative di quegli Stati, la violazione delle quali integra vizio di Violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed è censurabile in cassazione… a nulla rilevando la mancata iscrizione” (Cass. sez. 1, sent. 21.6.2013, n. 15679) del richiedente nei registri dell’anagrafe di uno Stato sovrano.

Questa Corte ha anche avuto modo di precisare che, per quanto “l’onere della prova a carico del ricorrente lo status di apolide deve ritenersi attenuato… in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa vigente”, occorre pur sempre accertare che il richiedente non abbia titolo per conseguire la cittadinanza di uno Stato con il quale presenti un significativo collegamento, anche se “eventuali lacune o necessità d’integrazione istruttoria possono essere colmate con l’esercizio di poteri/doveri istruttori officiosi da parte del giudice, realizzabili mediante la richiesta d’informazioni o di documentazione alle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano o dello Stato d’origine” (Cass. sez. 6 – 1, ord. Dep. 3.3.2015, n. 4262).

In effetti la Corte d’Appello di Roma ha rigettato il gravame proposto dal Ministero sebbene l’interessata non avesse provato di non poter conseguire la cittadinanza serba e, invero, la donna neppure ha provato di avere richiesto questa cittadinanza. La Corte di merito avrebbe a questo punto potuto attivarsi per verificare d’ufficio se, in base alla legislazione straniera, dovesse ritenersi che la donna avrebbe incontrato ostacolo nel conseguimento della cittadinanza serba, ma neppure a questo adempimento si è provveduto. La Corte d’Appello si è limitata a ritenere sufficiente l’accertamento che la interessata non possedesse la cittadinanza di alcuno Stato al fine di riconoscerle lo status di apolide. Questa valutazione, in assenza di 4 prova che la donna si sia almeno attivata per conseguire la cittadinanza della madre, non può essere condivisa.

Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e, se l’impostazione della presente relazione sarà condivisa dal Collegio, per l’accoglimento del ricorso e la cassazione con rinvio della decisione impugnata”.

Il Collegio ritiene che il ricorso debba essere trattato in pubblica udienza.

PQM

Dispone la trattazione del ricorso in pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2017

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