Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4725 del 10/03/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4725 Anno 2016
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: COSENTINO ANTONELLO

SENTENZA

sul ricorso 5256-2012 proposto da:
MICHELETTI CRISTINA MCHCST64T50G843P, RIELLI GIUSEPPE
RLLGPP58A15L850P, BALDINI REBECCA BLDRCC75L42G843J,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE REGINA
MARGHERITA 290 presso lo studio dell’avvocato
ALESSANDRO NIGRO, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –

2016
contro

62

BANCA D’ITALIA 00997670583 in persona del Governatore
p.t. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAZIONALE
91,
A

presso

lo

studio

dell’avvocato

RAFFAELE

Data pubblicazione: 10/03/2016

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D’AMBROSIO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato NICOLA DE GIORGI;
– controricorrente incidentale nonchè contro

RIELLI

GIUSEPPE

RLLGPP58A15L850P,

elettivamente

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO NIGRO, che
lo rappresenta e difende;
– controricorrente all’incidentale –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositate il 21/07/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/01/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO
COSENTINO;
udito l’Avvocato NIGRO Alessandro, difensore dei
ricorrenti che si riporta agli atti depositati;
udito l’Avvocato DE GIORGI Nicola, difensore del
resistente che si riporta agli atti depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUISA DE RENZIS che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 290,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I sigg. ri Giuseppe Rielli, Rebecca Baldini e Cristina Micheletti ricorrono contro la Banca d’Italia per la
cassazione del decreto con cui la Corte di appello di Roma ha rigettato la loro opposizione ex art. 145
D.Lgs. 385/93 (di seguito: T.U.B.) avverso la delibera n. 854 del 10.12.09 con cui il Direttorio della Banca
d’Italia aveva irrogato nei loro confronti sanzioni amministrative pecuniarie (di € 30.000 per i sigg. Rielli e
Baldini e di

e 7.500 per la sig.ra Micheletti) per illeciti che essi avrebbero commesso nella cessata qualità

Il ricorso per cassazione si articola su cinque motivi con i quali si lamenta:

con il primo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., dell’ articolo 14 I. 689/81, dell’art.
145 T.U.B. e dell’art. 24 I. 262/05, nonché il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della
controversia;
con il secondo ed il terzo, sotto diversi profili, la violazione dell’art. 24 I. 262/05;
con il quarto, la violazione degli articoli 3 e 23 della legge 689/81 e dell’articolo 2697 cc;

con il quinto motivo, la insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della
controversia.

La Banca d’Italia si è costituita con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale con un solo motivo,
promiscuamenté riferito alla violazione dell’articolo 52 D.Làs.vo n. 385/93 e al vizio di motivazione,
avverso la stattlizione del decreto che aveva escluso la tardività della comunicazione, effettuata dal collegio
sindacale all’Organo di vigilanza in data 30.9.08, in relazione ad anomalie gestionali rilevate dal medesimo
collegio sindacale il 16.9.08.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 15.1.16, per la quale i ricorrenti hanno depositato
memoria e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale, riferito promiscuamente ai numeri 3 e 5 dell’ articolo 360 cpc,
si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., dell’ articolo 14 1. 689/81, dell’art. 145
T.U.B. e dell’art. 24 I. 262/05, oltre che l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.
I ricorrenti – premesso che nel. loro atto di opposizione avevano lamentato, da un lato, la genericità della
contestazione loro originariamente rivolta dalla Banca d’Italia e, d’altro lato, il fatto che detta contestazione
era stata riformulata nel corso del procedimento (e, precisamente, dopo che essi avevano svolto le loro
osservazioni, cosicché la Commissione per l’esame delle irregolarità aveva espresso il proprio parere al
Direttorio, e quest’ultimo aveva applicato la sanzione, su capi di incolpazione nuovi rispetto al tenore della
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di componenti del collegio sindacale della Banca di Bientina Credito cooperativo s.c.a r.l.

originaria lettera di contestazione) – deducono che il decreto gravato sarebbe afflitto dai vizi denunciati
perché la Corte d’appello:
1) da un lato, avrebbe omesso di pronunciarsi sulla doglianza concernente la modifica del l’ incolpazione
in itinere;
2) d’altro lato, avrebbe erroneamente ritenuto sufficiente, per integrare un’adeguata contestazione, la
mera descrizione di elementi di criticità della organizzazione o della gestione dei soggetti vigilati,
pur in assenza di una precisa individuazione delle condotte contestate e delle norme che da tali

Osserva al riguardo il Collegio che tanto l’eccezione relativa alla genericità delle contestazioni quanto quella
relativa mutamento in itinere della stessa sono state disattese dalla Corte territoriale, che la ha trattate
congiuntamente, sulla scorta del giudizio (di fatto) che in concreto gli opponenti sarebbero stati “posti in
condizione, mediante la contestazione, di conoscere adeguatamente i fatti loro ascritti” e del giudizio (di
diritto) che, ai fini del soddisfacimento dell’onere di contestazione gravante sull’autorità procedente, la
qualificazione giuridica dei fatti sarebbe irrilevante, ove risulti “prospettato l’accadimento materiale posto in
essere dall’incolpato “.
Ciò posto, si deve innanzi tutto rilevare che la censura di cui al precedente punto 1), secondo la quale la
Corte di appello non avrebbe risposto alla doglianza dei ricorrenti relativa al mutamento della contestazione
in itinere, si palesa infondata; posto, infatti, che nel ricorso per cassazione non si deduce che la formulazione
delle incolpazioni sottoposte al Direttorio contemplasse fatti materiali diversi da quelli di cui alla lettera di
contestazione, ma solo il riaccorpamento dei rilievi ispettivi in capi specifici (vedi pag 6, rigo 3, del
ricorso, ove si lamenta che la Commissione per l’esame delle irregolarità avrebbe provveduto a “riformulare
ab imis gli addebiti, riaccorpando i rilievi ispettivi (già oggetto della contestazione formale) in specifici capi
di imputazione”),

la motivazione del rigetto della suddetta doglianza risulta implicita nell’affermazione

della Corte di appello secondo la quale, ai fini del soddisfacimento dell’onere di contestazione, sarebbe
sufficiente l’indicazione dei fatti, a prescindere dalla relativa qualificazione giuridica.
Quanto alla censura di cui al precedente punto 2), secondo la quale la Corte di appello avrebbe errato nel
disconoscere la genericità della contestazione, il Collegio rileva che:
a) per un verso, la censura non attinge il giudizio di fatto secondo cui gli opponenti sarebbero stati
“posti in condizione, mediante la contestazione, di conoscere adeguatamente i fatti loro ascritti”;
tale giudizio – non sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione
(cfr., sul punto, Cass. 9790/11) – non è stato specificamente e motivatamente censurato nel mezzo di
ricorso in esame;
b) per altro verso, la suddetta censura va giudicata infondata laddove attinge l’affermazione in diritto
del decreto impugnato secondo cui, ai fini del soddisfacimento dell’onere di contestazione, la
qualificazione giuridica dei fatti sarebbe irrilevante, ove risulti “prospettato I ‘accadimento materiale
posto in essere dall’incolpato “; tale affermazione è infatti conforme alla giurisprudenza di questa
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condotte risulterebbero violate.

Sezione, che il Collegio condivide, la quale ha chiarito che, in tema di sanzioni amministrative, il
mutamento dei termini della contestazione non è causa di illegittimità del provvedimento
sanzionatorio qualora riguardi soltanto la qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’accertamento,
sulla base della quale l’ente irrogatore della sanzione ritenga di passare dalla contestazione di un
illecito ad un altro, purché a fondamento dell’ addebito rettificato non sia posto alcun fatto nuovo; in
questa ipotesi, infatti, non si verifica alcuna violazione del diritto di difesa, mantenendo il
trasgressore la possibilità di contestare l’addebito in relazione all’unico fatto materiale accertato nel

si richiamano i “principi, più volte espressi da questa stessa corte di legittimità, a mente dei quali il

contraddittorio – e il diritto di difesa – nella fase amministrativa prodromica all’emanazione
dell’ordinanza-ingiunzione resta incentrata sul fatto, individuato in tutte le circostanze concrete che
valgano a caratterizzarlo e siano rilevanti ai fini della pronuncia del provvedimento finale”.
Il primo mezzo di ricorso va quindi rigettato.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 24 I. 262/05 il cui la Corte di appello
sarebbe incorsa negando che il diritto dei ricorrenti al contraddittorio sia stato violato dalla mancata
comunicazione ai medesimi della proposta conclusiva formulata al Direttorio dalla Commissione per
l’esame delle irregolarità; secondo i ricorrenti la Corte di appello avrebbe errato nell’applicare anche in tema
di contraddittorio nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia un
principio – secondo cui, ai fini del rispetto del diritto al contraddittorio, sarebbe sufficiente che, prima
dell’adozione della sanzione, venga effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali
controdeduzioni dell’interessato – elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte (SSUU 20935/09) con
riguardo al procedimento per l’applicazione delle sanzioni irrogate dalla CONSOB e, peraltro, conferinativo
di un indirizzo formatosi in relazione a fattispecie anteriori alla legge 262/05.
Osserva il Collegio che la questione della compatibilità con il principio del contraddittorio della mancata
comunicazione agli interessati della proposta conclusiva formulata al Direttorio della Banca d’Italia dalla
Commissione per l’esame delle irregolarità è stata affrontata da questa Corte con la sentenza n. 27038/13,

rispetto delle garanzie del contraddittorio (così sent. n. 6638/07; in termini, SSUU 20935/09, laddove

che ha negato che tale mancata comunicazione integrasse alcuna lesione del diritto al contraddittorio. A tale
conclusione – ancora di recente ribadita da questa Sezione con la sentenza n. 25141/15 ed alla quale la
decisione della Corte territoriale risulta perfettamente allineata – la sentenza n. 27038/13 perviene
valorizzando il già citato precedente delle Sezioni Unite n. 20935/09 (5.2, pag. 35), ove – in tema di
sanzioni irrogate dalla CONSOB ai sensi dell’articolo 187 septies T.U.F. (ma sulla scorta del precedente
arresto n. 6307/03, reso in materia di sanzioni irrogate clan< Ministero del Tesoro, in fattispecie anteriore alla legge n. 262/05) - si è appunto affermato che, ai fini del rispetto del principio del contraddittorio, è sufficiente che venga effettuata la contestazione dell'addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell'interessato; con la precisazione che i precetti costituzionali riguardanti il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e 3 (27 il giusto processo (art. 111 Cost.) riguardano espressamente e solo il giudizio, ossia il procedimento giurisdizionale che si svolge avanti al giudice e non il procedimento amministrativo, ancorché finalizzato all'emanazione di provvedimenti incidenti su diritti soggettivi; cosicché l'incompleta equiparazione del procedimento amministrativo a quello giurisdizionale non viola in alcun modo la Costituzione. Il Collegio ritiene - in conformità con la citata sentenza n. 25141/15, alla quale si intende dare seguito che le suddette conclusioni siano da condividere e vadano mantenute ferme, nonostante le indicazioni offerte dalla Corte EDU con la sentenza 4.3.14 Grande Stevens c. Italia con riferimento al procedimento Con detta pronuncia, come è noto, la Corte EDU - premesso che la sanzione amministrativa prevista dall'articolo 187 ter, primo comma, T.U.F. deve considerarsi appartenente alla "materia penale", con la conseguenza che il procedimento per la relativa irrogazione deve conformarsi al disposto dell'articolo 6 della Convenzione EDU - ha affermato che il procedimento seguito dalla CONSOB per l'applicazione di tale sanzione ai ricorrenti contrastava con i principi fissati dal suddetto articolo 6 della Convenzione "soprattutto per quanto riguarda la parità delle armi Ira accusa difesa ed il mancato svolgimento di una udienza pubblica che permettesse un confronto orale" (punto 123); ciò in quanto, da un lato, il documento che conteneva le conclusioni dell'ufficio sanzioni, destinato a servire poi da base alla decisone della Commissione, non era stato comunicato ai ricorrenti (punto 117) e, d'altro lato, questi ultimi non avevano avuto la possibilità di partecipare all'unica riunione tenuta dalla Commissione, alla quale non erano ammessi (punto 118). Nella medesima sentenza tuttavia, sulla scorta della pregressa giurisprudenza della stessa Corte EDU, si precisa che le carenze di tutela del contraddittorio che caratterizzino un procedimento amministrativo sanzionatorio non consentono di ritenere violato l'articolo 6 della Convenzione EDU quando il provvedimento sanzionatorio sia impugnabile davanti ad un giudice indipendente ed imparziale, che sia dotato di giurisdizione piena e che conosca dell'opposizione in un procedimento che garantisca il pieno dispiegamento del contraddittorio delle parti (punti 138 e 139). In sostanza, conformemente ad una opinione sostenuta in dottrina (e che trova riscontro nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, cfr. sent. n. 1596/15), deve affermarsi che - in materia di irrogazione di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano, alla stregua dei criteri elaborati dalla Corte EDU, natura sostanzialmente penale - gli Stati possono scegliere se realizzare le garanzie del giusto processo di cui all'articolo 6 della Convenzione EDU già nella fase amministrativa (nel qual caso, nella logica di tale Convenzione, una fase giurisdizionale non sarebbe nemmeno necessaria) o mediante l'assoggettamento del provvedimento sanzionatorio applicato dall'autorità amministrativa (all'esito di un procedimento non connotato da quelle garanzie) ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva, attuato attraverso un procedimento conforme alle prescrizioni dell'articolo 6 della Convenzione. Nel secondo caso, non può ritenersi che il procedimento amministrativo sia illegittimo, in relazione ai parametri fissati dell'articolo 6 della Convenzione, e che la successiva fase giurisdizionale determini una sorta di sanatoria di tale originaria illegittimità; al contrario, il procedimento amministrativo, pur non offrendo esso stesso le 4 dettato dall'articolo 187 septies T.U.F. per la irrogazione delle sanzioni applicate dalla CONSOB. garanzie di cui all'articolo 6 della Convenzione, risulta ab origine conforme alle prescrizioni di detto articolo, proprio perché è destinato a concludersi con un provvedimento suscettibile di un sindacato giurisdizionale pieno, nell'ambito di un giudizio che assicura le garanzie del giusto processo. Tanto premesso - impregiudicata la questione della riconducibilità delle sanzioni previste dal T.U.B. alla "materia penale", secondo i parametri elaborati dalla Corte EDU con la sentenza Engel de 118/6/76 - risulta preliminare ed assorbente il rilievo che le delibere sanzionatorie adottate dalla Banca d'Italia sono impugnabili davanti alla Corte di appello di Roma e che non è dubitabile che tale Corte debba essere riferimento al profilo della "full giurisidiction", dalla sentenza 27.9.11 Menarini Diagnostics c. Italia), un giudice indipendente ed imparziale, dotato di giurisdizione piena e davanti al quale, nonostante il rito camerale, è garantita la pienezza del contraddittorio. A quest'ultimo proposito va sottolineato, per un verso, che il diritto al contraddittorio è garantito dal disposto del comma 6 dell'articolo 145 T.U.B. (nel testo introdotto dall'art. 34 D.Lgs. 342/99), il quale, nel disciplinare il procedimento di opposizione alle sanzioni irrogate dalla Banca d'Italia, prevede la fissazione di termini "per presentazione di memorie e documenti", nonché "per consentire l'audizione anche personale delle parti": per altro verso, che la stessa Corte EDU ha chiarito che la prescrizione di pubblicità dell'udienza di cui all'articolo 6 della Convenzione non è assoluta (cfr. sent. Grande Stevens, punto 119, in principio) e, che, comunque, nel mezzo di ricorso non si prospetta alcuna lesione del diritto di difesa ipoteticamente derivata alle parti private dalla mancanza di pubblicità dell'udienza davanti alla Corte d'appello. Alla stregua delle esposte considerazioni deve dunque escludersi che la lamentata mancanza di comunicazione agli interessati della proposta conclusiva formulata al Direttorio dalla Commissione per l'esame delle irregolarità possa anche astrattamente costituire violazione dei principi di cui all'articolo 6 della Convenzione EDU. Né, sotto altro aspetto, meritano adesione le considerazioni svolte nella memoria illustrativa dei ricorrenti secondo cui l'assunto della illegittimità del procedimento sanzionatorio della Banca d'Italia (e, conseguentemente, della delibera sanzionatoria emessa all'esito di tale procedimento e impugnata nel presente giudizio) risulterebbe confermato dalle affermazioni svolte nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1596/15, già sopra citata, in ordine alla illegittimità del procedimento sanzionatorio della CONSOB in relazione al disposto dell'articolo 187 septies T.U.F. Nella parte motiva di tale sentenza il Consiglio di Stato - dopo aver escluso che il procedimento sanzionatorio della CONSOB (nel testo anteriore alle modifiche al medesimo recate con la delibera della stessa CONSOB n. 29158 del 29.5.15 ed alle modifiche apportate all'articolo 187 septies T.U.F. dall'art. 5 d.lgs. n. 72 del 12.5.2015) presentasse profili di illegittimità in riferimento all'articolo 6 della Convenzione EDU ed agli articoli 24 e 111 della Costituzione - afferma che il medesimo procedimento risulterebbe tuttavia illegittimo con riguardo al disposto degli articoli 187 septies e 195 T.U.F., giacché esso non assicurerebbe il rispetto dei principi del contraddittorio e della piena conoscenza degli atti, in tali disposizioni espressamente menzionati. Osserva al riguardo il Collegio che - a 5 considerata, alla stregua dei parametri indicati dalla stessa sentenza Grande Stevens (nonché, con specifico prescindere da qualunque vaglio sulla intrinseca condivisibilità delle suddette valutazioni (peraltro non tradottesi in alcuna statuizione di annullamento del regolamento contenente la previgente disciplina del procedimento sanzionatorio CONSOB, giacché il decisimi della sentenza CdS n. 1596/15 si risolve in una declaratoria di inammissibilità del ricorso delle parti private, per carenza di interesse) ed anche ritenendo che le stesse siano spendibili nell'analisi della legittimità del procedimento sanzionatorio applicato dalla Banca d'Italia, con riferimento al disposto dell'articolo 24, primo comma, I. 262/05 (il quale, anche per i procedimenti della Banca d'Italia, richiama espressamente il principio del questa sede non è impugnato il regolamento che disciplina il procedimento sanzionatorio della Banca d'Italia, ma è impugnato un provvedimento sanzionatorio e che nella impugnativa di tale provvedimento i ricorrenti non hanno dedotto alcuna concreta lesione che al loro diritto di difesa sarebbe derivato dalla mancata comunicazione della proposta conclusiva formulata al Direttorio dalla Commissione per l'esame delle irregolarità. A tal proposito va qui ribadito il principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la più volte citata sentenza n. 20935/09 (in tema, si ripete, di contraddittorio nel procedimento per l'applicazione delle sanzioni irrogate dalla CONSOB), che la doglianza relativa alla violazione del diritto al contraddittorio presuppone la deduzione di una lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa specificamente conculcato o compresso nel procedimento sanzionatorio. Detto principio, ripreso in tema di contraddittorio nel procedimento per l'applicazione delle sanzioni irrogate dalla Banca d'Italia dalla già menzionata sentenza n. 27038/13, è condiviso dal Collegio e si colloca nella medesima prospettiva ermeneutica ancora di recente indicata dalle medesime Sezioni Unite con la sentenza n. 24823/15, ove, in tema di contraddittorio nel procedimento tributario, si è affermato che "la violazione del diritto al contraddittorio comporta l'invalidità dell'atto purché il contribuente abbia assolto all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere". Tale affermazione privilegia una lettura sostanzialistica (della tutela del) del diritto al contraddittorio, che il Collegio condivide perché richiama il pragmatico canone giuspubblicistico della strumentalità delle forme e risulta in piena sintonia con il diritto dell'Unione europea e, in particolare, con gli approdi della giurisprudenza elaborata dalla Corte di giustizia sull'articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali (cfr. CGEU sentt. 3.7.2014, Kamino International Logistics, ove si afferma che la violazione dei diritti di difesa, in particolare del diritto ad essere sentiti prima dell'adozione di provvedimento lesivo, determina l'annullamento dell'atto adottato al termine del procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, detto procedimento "avrebbe potuto comportare un risultato diverso"; nello stesso senso, si veda anche la sentenza 26.9.2013, Texdata Software). La doglianza dei ricorrenti sulla violazione del loro diritto al contraddittorio risulta dunque insuscettibile di accoglimento, in mancanza di qualunque specificazione in ordine al concreto vu/nus che tale lesione avrebbe arrecato alla possibilità di far valere le proprie ragioni nel procedimento sanzionatorio a loro carico. 6 contraddittorio, non menzionato dall'articolo 145 T.U.B.) - risulta assorbente la considerazione che in Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti - premesso che nel loro atto di opposizione avevano lamentato, da un lato, che il provvedimento sanzionatorio impugnato era motivato per relationem alla proposta della Commissione per l'esame delle irregolarità e, d'altro lato, che la motivazione di quest'ultima proposta era a propria volta carente - deducono che la Corte di appello, disattendendo entrambe tali doglianze, sarebbe incorsa nella violazione dell'ad. 24 I. 262/05 e nel vizio di omessa motivazione. In particolare, nel mezzo di ricorso si lamenta che il decreto gravato avrebbe ignorato la seconda doglianza e, quanto alla prima, avrebbe giudicato la motivazione per relationem legittima in base ad una Osserva al riguardo il Collegio che la censura relativa al rigetto dell'eccezione di nullità della delibera sanzionatoria, perché motivata per relationem alla proposta della Commissione per l'esame delle irregolarità, è infondata, in quanto la Corte territoriale si è correttamente attenuta alla giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, che reiteratamente ha affermato la legittimità della motivazione per relationem delle delibere sanzionatorie della Banca d'Italia (sentì. nn. 53598/07 e 27038/13, quest'ultima resa su fattispecie posteriore alla legge n. 262/05). D'altra parte, l'assunto dei ricorrenti secondo cui il terzo comma dell'articolo 3 della legge n. 241/90 rappresenterebbe la fonte del principio della legittimità della motivazione per relationem degli atti amministrativi, cosicché il suo mancato richiamo nell'articolo 24 della legge n. 262/05 manifesterebbe la volontà del legislatore di escludere la possibilità di motivare per relationem i provvedimenti delle Autorità ivi menzionate, non è persuasivo. Al riguardo va in primo luogo osservato che la motivazione degli atti amministrativi per relationem era ritenuta generalmente legittima anche prima della legge sul procedimento amministrativo n. 241/90, cosicché deve ritenersi che l'articolo 3, terzo comma, di detta legge abbia codificato - precisandone i termini con l'esplicitazione del dovere della pubblica amministrazione di indicare e rendere disponibile l'atto di riferimento - principi già immanenti nell'ordinamento e riconosciuti dalla giurisprudenza amministrativa (si veda, ad esempio, CdS 24.5.89 n. 197: "l'atto amministrativo può essere motivato per relationem, con riferimento ad una motivazione contenuta in un parere. ne' è necessario che tale parere sia comunicalo in allegato all'atto; nonché, con riguardo, alla conoscenza o conoscibilità dell'atto di riferimento. CdS, 24.9.83 n. 690: "non è idonea ad integrare la motivazione "per relationem" del provvedimento impugnato l'enunciazione di considerazioni incidentali contenute in un atto anteriore, ad esso non connesso sul piano procedimentale e funzionale, ne' espressamente indicato, ne' facilmente individuabile o conoscibile dagli interessati"). In secondo luogo va evidenziato che proprio la portata di principio generale da riconoscere al disposto dell'articolo 3, terzo comma, della legge n. 241/90 (cfr. CdS il. 1948/13: "La motivazione ai un provvedimento è da ritenere sufficiente quando essa sia completa e logica in virtù degli elementi contenuti in altro atto che, in ragione del rinvio, diviene parte integrante del primo a termini dell'art. 3 della legge n. 241/1990, norma di principio generale al riguardo") impone di ritenere tale norma applicabile, senza 7 giurisprudenza di legittimità relativa a fattispecie anteriori alla legge 262/05. necessità di un espresso richiamo, ai procedimenti amministrativi sanzionatori della Banca d'Italia disciplinati dagli articoli 145 T.U.B. e 24 I. 262/05, non essendo tale applicazione impedita da disposizioni espresse o da specifici profili di incompatibilità. Non può, in particolare, condividersi l'assunto dei ricorrenti secondo cui la motivazione per relationem sarebbe incompatibile con la distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie prevista dall'articolo 24, primo comma, I. 262/05, giacché il fatto che l'organo decidente faccia propria la motivazione della proposta formulata dall'organo istruttore non significa che il primo non formuli una propria valutazione autonoma, ma manifesta soltanto che tale autonoma valutazione si risolve Del tutto inconferente, infine, è il richiamo della memoria dei ricorrenti alla sentenza del Consiglio di Stato n. 657/15, che, con riferimento alla procedura di scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche di cui all'articolo 70 T.U.B., ha ritenuto illegittimo il decreto del Ministro deeLonomia e delle Finanze che rinvii puramente e semplicemente agli atti ispettivi della Banca d'Italia, senza averne preliminarmente esaminato in modo analitico il contenuto; a prescindere dalle evidenti differenze tra il procedimento sanzionatorio oggetto del presente giudizio ed il procedimento ex art. 70 T.U.B., è sufficiente rilevare che anche in quest'ultimo, secondo la stessa sentenza invocata dai ricorrenti, la necessità che il Ministro derEconomia e delle Finanze operi una esplicita valutazione degli elementi posti a fondamento delle risultanze della Banca d'Italia non implica l'illegittimità della motivazione oh reknionem del decreto che dispone l'amministrazione straordinaria. Passando poi all'esame della censura con cui i ricorrenti lamentano che la Corte d'appello avrebbe ignorato la loro doglianza sulla dedotta carenza motivazionale dell'atto a cui si riferiva la motivazione dell'impugnata delibera sanzionatoria, ossia la proposta formulata al Direttorio dalla Commissione per l'esame delle irregolarità, è sufficiente rilevare tale doglianza (che in sostanza, deducendo la carenza motivazionale dell'atto di riferimento, si risolve nella deduzione di una insufficienza motivazionale dell'atto sanzionatorio impugnato)risulta implicitamente rigettata dalla Corte d'appello e tale rigetto è perfettamente in linea con il principio di diritto, più volte espresso da questa Corte (sent. SSUU n. 1786/2010, Sez. Il n. 11280/10, nonché, con specifico riferimento ai provvedimenti sanzionatori emessi dalla Banca d'Italia, Sez. I n. 17799/14), che l'eventuale inadeguatezza motivazionale non è causa di nullità di un provvedimento sanzionatorio, in quanto l' oggetto dell'opposizione a tale provvedimento non è il provvedimento in sé considerato, bensì il rapporto sanzionatorio ad esso sotteso. Anche il terzo motivo risulta dunque infondato. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono la violazione degli articoli 3 e 23 della legge 689/81, nonché dell'articolo 2697 c.c., il cui la Corte di appello sarebbe incorsa perché: a) per un verso, avrebbe attribuito efficacia probatoria sostanziale agli atti del procedimento depositati dalla Banca d'Italia (atto di contestazione, proposta della Commissione), nonché al rapporto ispettivo anche per le parti valutative ivi contenute; nella condivisione delle motivazioni della proposta del primo. b) per altro verso - in relazione alla contestazione relativa al mancato rispetto del requisito patrimoniale minimo, alla contestazione relativa all'asserita carenza di controlli ed alla contestazione relativa alle posizioni ad andamento anomalo ed alle previsioni di perdite non segnalata all'organo di vigilanza avrebbe addossato ai ricorrenti l'onere di provare l'infondatezza degli addebiti loro ascritti. invece che alla Banca d'Italia l'onere di provarne la fondatezza. Il motivo va disatteso perché il giudice territoriale non ha operato alcuna inversione dell'onere della prova, ma ha ritenuto che la Banca d'Italia avesse provato i fatti integrativi degli illeciti contestati e che gli di una censura di violazione di legge, contesta l'apprezzamento delle risultanze istruttorie operato dal giudice di merito e pertanto non può trovare ingresso in questa sede. Con il Quinto motivo si deduce il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Secondo i ricorrenti il decreto impugnato sarebbe contraddittorio laddove la Corte d'appello - pur ritenendo infondato l'addebito relativo alla tardiva segnalazione di irregolarità all'autorità di vigilanza - giudica tuttavia fondato l'addebito circa l'asserita carenza di controlli. Il decreto gravato sarebbe altresì illogico e incongruente laddove stigmatizza l'inesistenza di un efficace sistema di controllo preventivo con riferimento ad organi dirigenziali i quali, nello stesso decreto, vengono qualificati come apicali (e dunque, secondo l'argomentazione dei ricorrenti, dotati di una sfera di autonomia in relazione alla quale non sarebbero nemmeno ipotizzabili strumenti di controllo preventivo continuo). Le doglianze non possono trovare accoglimento, perché nessuna contraddittorietà è ravvisabile tra l'affermazione della esistenza di una carenza di controlli e l'affermazione che. in relazione a quei controlli che sono stati svolti, non ci sono stati ritardi nella segnalazione dei relativi esiti all'Organo di vigilanza; né vi è contraddittorietà tra l'affermazione relativa alla carenza di controlli preventivi e quella relativa alla natura apicale degli organi soggetti a controllo; in sostanza anche con questa doglianza i ricorrenti tentano di riproporre questioni di merito in sede di legittimità, non individuando reali vizi motivazionali nella sentenza gravata, ma contrapponendo la loro valutazione del materiale istruttorio a quella della Corte territoriale. Sotto altro profilo nel mezzo di ricorso in esame si deduce l'incongruità del decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto fondate le contestazioni mosse agli ex sindaci in ordine al mancato rispetto del requisito patrimoniale minimo ed alla violazione della normativa in materia di concentrazione del rischio; incongruità derivante, secondo i ricorrenti, dal rilievo che la stessa Corte di appello, con decreto del 16 giugno - 1 settembre del 2011, aveva giudicato infondate quelle medesime contestazioni mosse nei confronti di due ex amministratori. La censura è palesemente infondata. avendo questa Corte già avuto modo di chiarire, nella sentenza n. 2498/94 che il vizio di contraddittorietà della motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., deve essere intrinseco alla medesima pronuncia e non può essere riferito ad altra pronuncia dello stesso giudice. 9 • cì opponenti non avessero offerto idonee prove contrarie. Il motivo in esame, in sostanza, sotto la formulazione Anche il quinto motivo dei ricorso principale va quindi rigettato. Passando all'esame del ricorso incidentale, si rileva che, con l'unico motivo che lo sorregge, la Banca d'Italia denuncia la violazione dell'articolo 52 T.U.B., nonché il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, in cui la Corte di appello sarebbe incorsa negando che i sindaci avessero violato l'obbligo di informare "senza indugio" la Banca d'Italia dei fatti costituenti irregolarità gestionale, facendo passare 14 giorni dal momento in cui essi si erano avveduti delle irregolarità relative alla gestione della posizione del necessità di "acquisire tutti gli elementi idonei a consentire che la segnalazione fisse quanto mai completa". La censura non può trovare accoglimento. E' vero che il riferimento della Corte territoriale alla necessità di una segnalazione "quanto mai completa" non trova riscontro nel disposto dell'articolo 52 T.U.B., che pone in capo al collegio sindacale l'obbligo di informare "senza indugio la Banca d'Italia di tutti gli atti o i limi, di cui venga a conoscenza nell'esercizio dei propri compiti". Ma, al di là della formulazione letterale del passaggio motivazionale in esame, è evidente che la statuizione gravata non si fonda su una lettura dell'articolo 52 T.U.B. che differisca all'esito di una completa istruttoria l'insorgenza dell'obbligo di segnalazione alla Vigilanza, bensì sull' apprezzamento di fatto, rientrante nei poteri del giudice di merito e non validamente censurato nel ricorso incidentale, relativo alla congruità dell'arco temporale di 14 giorni per acquisire gli elementi informativi necessari per poter formulare una segnalazione adeguatamente circostanziata, in un contesto di non collaborazione o addirittura di doloso ostruzionismo dell'organo amministrativo della banca. In definitiva devono rigettarsi tanto il ricorso principale quanto quello incidentale. Le spese si compensano in ragione della soccombenza reciproca delle parti. PQM La Corte rigetta i ricorsi principale ed incidentale e compensa le spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma il 15 gennaio 2016 Il Cons. estensore Il Presidente gruppo Covarelli al momento in cui ne avevano informato l'Organo di vigilanza; ciò sull'argomento della

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