Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4724 del 27/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 4724 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA
sul ricorso 21192-2011 proposto da:
BANCA MONTE DEI pAseni

DI SIENA S.P.A.

c.f.

00884060526, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO
25/5, presso lo studio PESSI E ASSOCIATI,
rappresentata e difesa dagli avvocati GIAMMARIA
2014
28

FRANCESCO, SERRANI TIZIANA, giusta procura speciale
notarile in atti;
– ricorrente contro

DI

CARLO

CARLO

C.F.

DCRCRL61S09H501D,

già

Data pubblicazione: 27/02/2014

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN MARTINO
DELLA BATTAGLIA 15, presso lo studio dell’avvocato
PISACANE MICAELA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato CECCHINI ANTONELLO, giusta
delega in atti e da ultimo domiciliato presso LA

– contrari corrente –

avverso la sentenza n. 9527/2010 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/03/2011 R.G.N.
8299/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/01/2014 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato SERRANfflI TIZIANA;
udito l’Avvocato CECCHINI ANTONELLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

■I

,

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in sede di rinvio del 11.3.2011, la Corte di appello di Roma dichiarava
l’illegittimità del licenziamento intimato a Carlo Di Carlo il 29.4.2004 e condannava la s.p.a.
Banca Monte Paschi di Siena a reintegrare il predetto nel posto di lavoro ed a risarcirgli il
danno commisurato alle retribuzioni globali di fatto dal recesso alla reintegra, con
detrazione dell'”aliunde perceptum” pari ad euro 21.855,41. Rilevava la Corte del merito
pervenire alla contestazione di addebito disciplinare per avere il Di Carlo assunto, quale
Direttore di Filiale, arbitrarie iniziative che avevano contribuito a determinare la
progressiva lievitazione delle esposizioni, con conseguenze dannose e rischio per l’istituto
— iniziata il 17.6.2003 e conclusasi il 15.7.2003 con verbale ispettivo ultimato il 19.9.2003,
inoltrato dall’Ispettorato alla Direzione Generale, e pervenuto il 2.10.2003, per le
conseguenti valutazioni e l’adozione dei provvedimenti ritenuti opportuni, solo in data
2.1.2004 era stata seguita dall’ invio, da parte del Dipartimento Risorse Umane, della
contestazione disciplinare, pervenuta all’interessato il 12 gennaio. Dal momento in cui la
Direzione Generale aveva avuto a disposizione le risultanze dell’Ispezione a quello in cui il
soggetto deputato aveva inviato la contestazione erano trascorsi circa tre mesi e l’entità
delle articolazioni della struttura aziendale non poteva rilevare se non ai fini del giudizio di
complessità delle indagini, dovendo tale ragione ritenersi inidonea a giustificare il lasso di
tempo intercorso tra il ricevimento del verbale ispettivo e la contestazione, in
considerazione dei principi enunciati dalla Corte di Cassazione in sede di rinvio, con
pronunzia n. 13167/2009. Non risultava che la Banca avesse dato seguito ad ulteriori
accertamenti, onde il lasso di tempo indicato doveva ritenersi ingiustificato e la
contestazione tardiva.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Banca, affidando l’impugnazione a due
motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Resiste, con controricorso, il Di Carlo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la società ricorrente denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, n. 5,
c.p.c., assumendo che la Corte territoriale non ha tenuto minimamente conto del fatto che
la Direzione Generale non avrebbe potuto in alcun modo formalizzare la contestazione
1

che era incontestato che l’ispezione disposta dalla Banca – che aveva consentito di

disciplinare immediatamente dopo avere ricevuto la relazione ispettiva, avendo bisogno di
un fisiologico spatium deliberandi per valutare nella loro oggettività i fatti accertati in sede
ispettiva per verificare, all’esito della valutazione, la sussistenza di elementi tali da
determinare la necessità di apertura del procedimento disciplinare, per ottenere la relativa
delibera e redigere la lettera di contestazione. Rileva la ponderosa mole della relazione e
dei documenti a sostegno di essa tale da non potere all’evidenza dare luogo ad
organi aziendali deputati ad assumere le deliberazioni del caso ed alla predisposizione
della complessa lettera di contestazione (riferita ad accensione di rapporti intestati a
nominativi con pregiudizievoli, creazione di esposizioni notevoli attraverso la concessione
di numerosi sconfinamenti o utilizzi in assenza di linee di credito, mancata istruttoria e
mancata richiesta di garanzie per i rapporti affidati). Descrive tutte le operazioni oggetto di
verifica e rileva che l’Azienda non aveva tenuto un comportamento inerte, avendo
allontanato il dipendente dall’agenzia e privato lo stesso del ruolo di Direttore ricoperto
nelle more dell’ispezione e dell’apertura del procedimento disciplinare e denotando tale
comportamento la volontà datoriale di irrogare la sanzione del licenziamento e di valutare
la rilevanza disciplinare del comportamento tenuto dal dipendente. Non aveva, in
conclusione, la Corte tenuto conto della estrema complessità della vicenda fattuale, della
estrema complessità dell’iter di apertura del procedimento disciplinare, del comportamento
complessivo dell’azienda, dell’esigenza del pieno dispiegarsi del diritto di difesa del Di
Carlo.
Con il secondo motivo, denunzia ugualmente un vizio motivazionale circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 1227
c. c., ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., sostenendo come inadeguata la motivazione a
sostegno della decisione di condannare la Banca al pagamento di un risarcimento
commisurato ad un intervallo temporale di ben sette anni ed evidenziando la mancanza di
ogni indagine diretta a verificare il comportamento colposo del Di Carlo, che aveva
aggravato i danni economici conseguenti al licenziamento intimatogli, non essendosi
attivato per la ricerca di un nuovo impiego.
Il ricorso è infondato.
,
.

Quanto al primo dei motivi di impugnazione, rileva il collegio che la tempestività della
contestazione di cui all’art. 7, secondo comma, legge n. 300 del 1970, va valutata in
relazione al momento in cui i fatti a carico del lavoratore, costituenti illecito disciplinare,
2

un’immediata contestazione senza una preventiva e ponderata valutazione da parte degli

appaiono ragionevolmente sussistenti. Quando il fatto costituente illecito disciplinare ha
anche rilevanza penale, il principio dell’immediatezza della contestazione non può
considerarsi violato ove il datore di lavoro, in assenza di elementi che rendano
ragionevolmente certa la commissione del fatto da parte del dipendente, porti la vicenda
all’esame del giudice penale, sempre che lo stesso si attivi non appena la comunicazione
dell’esito delle indagini svolte in sede penale gli faccia ritenere ragionevolmente
penale (cfr. Cass. 27.3.2008 n. 7983). Giova, poi, al riguardo, anche osservare, con
riferimento ai requisiti che qualificano la tempestivita’ della contestazione e della sanzione
disciplinare, come questa Suprema Corte abbia ribadito che il principio tanto
dell’immediatezza della contestazione dell’addebito, quanto della tempestivita’ del
recesso, la cui ratio riflette l’esigenza del rispetto della regola della buona fede e
correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, oltre che dei principi di certezza del
diritto e di tutela dell’affidamento del lavoratore incolpato, deve essere inteso in senso
relativo, potendo essere compatibile con un intervallo necessario, in relazione al caso
concreto e alla complessita’ dell’organizzazione del datore di lavoro, ad una adeguata
valutazione della gravita’ dell’addebito mosso al dipendente e delle giustificazioni da lui
fornite. Piu’ in particolare, si e’ affermato che, nel valutare l’immediatezza della
contestazione ai fini dell’intimazione del licenziamento disciplinare, occorre tener conto dei
contrapposti interessi del datore di lavoro a non avviare procedimenti senza aver acquisito
i dati essenziali della vicenda e del lavoratore a vedersi contestati i fatti in un ragionevole
lasso di tempo dalla loro commissione; con la conseguenza che l’aver presentato a carico
di un lavoratore denuncia per un fatto penalmente rilevante, connesso con la prestazione
di lavoro, non consente al datore di lavoro di attendere gli esiti del procedimento penale
prima di procedere alla contestazione dell’addebito, dovendosi valutare la tempestivita’ di
tale contestazione in relazione al momento in cui i fatti a carico del lavoratore medesimo
appaiono ragionevolmente sussistenti (v. ad es. Cass. n. 1101/2007; Cass. n. 4502/2008).
Il che, se conferma la relativita’ che riveste il criterio di immediatezza e il rilievo che
assume, al riguardo, il sindacato del giudice di merito, porta, al tempo stesso, a
riconoscere che un bilanciamento coerente degli interessi sottesi al procedimento di
disciplina non consente di individuare nella potenziale rilevanza penale dei fatti accertati e
nella conseguente denuncia all’autorita’ inquirente circostanze di per se’ sole esonerative
dall’obbligo di immediata contestazione, in considerazione della rilevanza che tale obbligo
assume rispetto alla tutela dell’affidamento e del diritto di difesa del lavoratore incolpato,
3

sussistente l’illecito disciplinare, non dovendo egli attendere la conclusione del processo

sempre che i fatti riscontrati facciano emergere, in termini di ragionevole certezza,
significativi elementi di responsabilita’ a carico del lavoratore. E quindi, in altri termini, solo
se l’intervallo di tempo trascorso sia giustificato non dalla necessita’ di un accertamento
integrale e compiuto del fatto, ma dall’esigenza per il datore di lavoro di acquisire
conoscenza della riferibilita’ del fatto, nelle sue linee essenziali, al lavoratore medesimo
(cfr., in tali termini, Cass. 7409/2010).

principio di tempestività e quindi tardiva la contestazione disciplinare inviata dal
Dipartimento Risorse Umane e pervenuta al Di Carlo soltanto il 12.1.2004, quando il
verbale ispettivo era stato ultimato 11 19.9.2003 ed era pervenuto alla Direzione Generale il
2.10.2003. Ed invero, posto che l’ispezione era iniziata 11 17.6.2003, non poteva ritenersi
giustificata una contestazione effettuata dopo un lasso di tempo non idoneo a garantire
un’efficace esplicazione del diritto di difesa dell’interessato, in considerazione dell’epoca
risalente di commissione dei fatti addebitati.
Deve ritenersi, poi, che gravi sul datore di lavoro l’onere di provare, con puntualita’, le
circostanze che, sulla base del caso concreto, giustificano il tempo trascorso fra
l’accadimento dei fatti rilevanti e la loro contestazione, e che, quindi, evidenzino in
concreto la tempestivita’ dell’esercizio del potere disciplinare (v. sul punto anche Cass. n.
1101/2007; Cass. n. 2023/2006.
Nel caso considerato, il giudice d’appello ha dato congruamente conto della eccessiva
protrazione temporale della vicenda disciplinare, non giustificata neanche dall’esigenza di
attesa dello svolgimento di un processo penale, non essendo stato dimostrato che la
struttura dell’azienda fosse tale, per le sue dimensioni e per l’articolazione delle procedure
interne in materia disciplinare, da giustificare l’attesa di tempi tecnici adeguati e comunque
non potendo difficoltà o carenze organizzative pregiudicare il diritto del lavoratore ad una
pronta effettiva difesa, senza considerare il giusto affidamento del prestatore, nel caso di
ritardo nella contestazione, che il fatto incriminabile possa non avere rivestito una
connotazione < disciplinare>, non essendo l’esercizio del potere disciplinare un obbligo
ma una facoltà (cfr. Cass. 13167/2009).
La seconda censura che si fonda sull’assunto della mancata valutazione del
comportamento negligente del prestatore che avrebbe dovuto mantenere un
comportamento diverso da quello inerte tenuto nel periodo intercorrente tra il
4

Nella fattispecie all’esame, correttamente la Corte del merito ha ritenuto in violazione del

licenziamento illegittimo e la sentenza di annullamento del medesimo, deve essere
ritenuta ugualmente priva di giuridico fondamento, posto che grava sul datore di lavoro la
prova del fatto che il lavoratore licenziato abbia assunto nel frattempo una nuova
occupazione ed abbia percepito importi idonei a ridurre l’entità del danno. Tale principio è
stato reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini
della sottrazione dell”aliunde perceptum” dalle retribuzioni dovute, occorre che il datore di
occupazione, o che comunque risulti, da qualsiasi parte venga la prova, che il lavoratore
ha trovato una nuova occupazione e quanto egli ne abbia percepito, tale essendo il fatto
idoneo a ridurre l’entità del danno risarcibile (cfr. Cass. 10 aprile 2012 n. 5676, Cass. 26
ottobre 2010 n. 21919). Più specificamente, in tema di entità del danno conseguente
all’illegittimità del licenziamento, è stato ribadito che, in tema di licenziamento illegittimo, il
datore di lavoro che contesti la richiesta risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è onerato,
pur con l’ausilio di presunzioni semplici, della prova dell”aliunde perceptum” o dell’
“aliunde percipiendum”, a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata
collaborazione del dipendente estromesso dall’azienda, dovendosi escludere che il
lavoratore abbia l’onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova
assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito.
Alle esposte considerazione consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della società ricorrente e si
liquidano come da dispositivo, con attribuzione in favore del difensore che ha dichiarato di
averle anticipate. Non sussistono i presupposti per la responsabilità processuale
aggravata della ricorrente, ex art. 96 c.p.c., ai fini dell’ulteriore risarcimento del danno.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 4500,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge, con distrazione in favore dell’avv. Micaela
Pisacane .
Così deciso in ROMA, in data 8.1.2014

lavoro dimostri quantomeno la negligenza del lavoratore nella ricerca di altra proficua

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