Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4722 del 27/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 4722 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 18073-2008 proposto da:
RAI

RADIOTELEVISIONE

ITALIANA

S.P.A.,

C.F.

06382641006, quale successore a titolo universale
della RAI
Azioni

RADIOTELEVISIONE ITALIANA Societa per
in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO
2014

VITTORIO EMANUELE 326, presso lo studio degli
avvocati SCOGNAMIGLIO CLAUDIO E SCOGNAMIGLIO RENATO,

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che la rappresentano e difendo unitamente
all’Avvocato RUBENS ESPOSITO, giusta delega in atti;
– ricorrente 0

Data pubblicazione: 27/02/2014

contro

CUMANI MONICA C.F. CMNMNC63P66L219V, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo
studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato VITALE

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 713/2007 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 29/06/2007 R.G.N. 1772/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/01/2014 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato PORCELLI VINCENZO per delega
SCOGNAMIGLIO RENATO;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

ALIDA, giusta delega in atti;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 29.6.2007, la Corte di appello di Torino, in parziale accoglimento del

gravame proposto da Cumani Monica, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto
decorrente dal’11.12.1992 e la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo

indeterminato dalla stessa data, condannando la RAI s.p.a. alla riammissione in servizio

della lavoratrice ed al pagamento delle retribuzioni dal 2.5.2005, data della messa in mora.
del lavoratore assunto richiesto dall’art. 1 lett. e) della I. 230/62 e che, in definitiva, il primo
dei ventitre contratti stipulati tra le parti non rispettava il criterio della specificità stabilito
dall’art. 1, comma 2, lett e), della legge 230/62. Non poteva, poi, essere configurabile
nella fattispecie la dedotta risoluzione del rapporto per mutuo consenso ed anche la
qualifica contrattuale cui erano state rapportate le retribuzioni doveva ritenersi
correttamente individuata, posto che la figura di assistente alla regia era compresa sia nel
quinto che nel quarto livello, laddove nell’atto introduttivo non era stato evidenziato alcun
elemento idoneo ad far desumere che le mansioni svolte fossero rapportabili
all’inquadramento superiore.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la RAI con quattro motivi, illustrati nella
memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste, con controricorso, la Cumani, che espone ulteriormente le proprie difese in
memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la RAI s.p.a. denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 1, co. 2,
lett e), I. 230/62, assumendo la necessità di rimeditazione dell’orientamento
giurisprudenziale che conforta le conclusioni della Corte d’appello quanto al problema
della prova e del contenuto del vincolo di necessità diretta tra assunzione e programma,
tenuto conto di un’evoluzione normativa tesa a mitigare il rigorismo interpretativo di norme
che ipotizzavano come eccezionale il contratto di lavoro a termine. Rileva che la tendenza
ad escludere ogni rilievo al profilo soggettivo avallata dalla I. 266/77 impone di interpretare

la norma nel senso di ritenere che un profilo o momento di rilevanza della qualificazione
soggettiva del lavoratore non può essere considerato come un dato sotteso o immanente
alla disciplina legislativa delle condizioni di legittimità delle assunzioni a termine. Deve,

secondo la ricorrente, ritenersi che siano sufficienti la temporaneità dell’occasione di
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Rilevava che non sussisteva il nesso tra la specificità del programma e l’apporto creativo

lavoro e la specificità del programma o spettacolo e che nella specie le mansioni di
assistente alla regia, giudicate dallo stesso giudice del merito professionalmente elevate,
erano di per sé idonee ad integrare la specificità rispetto ai compiti già espletati dai
lavoratori di pari qualifica assunti a tempo indeterminato. Con specifico quesito, la
ricorrente domanda se l’art. 1, co. 2°, lett. e), I. 230/62 ed, in particolare, il requisito della
specificità del programma o spettacolo debbano o meno essere interpretati, con
senso che il datore sia tenuto a provare, al fine di dimostrare la validità del termine, che il
lavoratore sia in grado di apportare un contributo particolare diverso ed ulteriore rispetto a
quello desumibile dal contenuto delle mansioni da lui espletate e nel senso che le
mansioni svolte non siano sostituibili con le prestazioni del personale a tempo
indeterminato.
Con il secondo motivo, la società lamenta carenza o contraddittorietà della motivazione in
ordine ad un fatto controverso e decisivo, rilevando che le allegazioni della Rai in ordine al
contenuto delle mansioni svolte dalla Cumani assumevano un rilievo decisivo, quanto
meno rispetto al profilo, negato in sentenza, dell’apporto qualificante della ricorrente alla
realizzazione dell’attività produttiva della RAI e della professionalità ed elevatezza delle
stesse in quanto caratterizzate da un apporto individuale e distintivo, escluso, invece, dalla
Corte di appello.
Con il terzo motivo, ascrive alla sentenza impugnata violazione o falsa applicazione
dell’art. 1372 c. c., anche in relazione all’art. 2697 c. c., con riguardo al valore da attribuire
alla dichiarazione di cessazione anticipata del rapporto di lavoro a tempo determinato, sia
pure per anticipata cessazione dello spettacolo o programma, dichiarazione sottoscritta
per accettazione dal lavoratore ed idonea a sostanziare un contegno concludente di mutuo
dissenso di un rapporto in precedenza creatosi.
Con il quarto motivo, la ricorrente si duole della carenza o contraddittorietà della
motivazione su un fatto controverso e decisivo, con riguardo alla accettazione della
comunicazione di porre fine al rapporto ed all’accettazione da parte della lavoratrice di
altra occupazione lavorativa, non avendo la Corte del merito ascritto rilevanza al contegno
concludente del quale era stata ritenuta in astratto la rilevanza potenziale.
I primi due motivi sono infondati, non essendovi ragione perche la Corte si discosti
dall’orientamento consolidato (tra le tante Cass. n. 8385 del 11/04/2006) per cui “Con
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riferimento all’ipotesi di fatto di un lavoratore con qualifica di assistente alla regia, nel

riferimento alla fattispecie disciplinata dall’art. I lett. E), della legge 18 aprile 1962, n. 230,
che – nel testo sostituito dalla legge 23 maggio 1977, n. 266 – permette l’assunzione a
termine di personale per specifici spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, il
prescritto requisito della specificità non ne implica la straordinarietà o la occasionalità, ma
richiede che lo spettacolo o il programma siano destinati a sopperire ad una temporanea
necessità, siano caratterizzati dall’appartenenza ad una “species” di un certo “genus”,
peculiare contributo professionale, tecnico o artistico, che non possa essere assicurato dai
dipendenti assunti in pianta stabile; la prova relativa alla sussistenza del requisito della
specificità consente di ritenere assolto, da parte del datore di lavoro, l’onere probatorio in
ordine alla ricorrenza delle condizioni previste per la stipulazione di un contratto di lavoro a
tempo determinato”.
La Corte del merito ha, pertanto, fatto corretta applicazione di tali principi ad una
fattispecie regolata dalla suddetta normativa, avendo rilevato la insussistenza della
dimostrazione, da parte della RAI, della temporaneità e specificità dello spettacolo e
dell’esigenza lavorativa che il contratto era diretto a soddisfare. In particolare, era
richiesto a) che il rapporto si riferisse ad una esigenza di carattere temporaneo della
programmazione televisiva o radiofonica, da intendersi non nel senso della straordinarietà
o occasionalità dello spettacolo (che ben può esse anche diviso in più puntate e ripetuto
nel tempo), bensì nel senso che lo stesso abbia una durata limitata nell’arco di tempo della
complessiva programmazione fissata dall’azienda, per cui, essendo destinato ad esaurirsi,
non consente lo stabile inserimento del lavoratore nell’impresa; b) che il programma, oltre
ad essere temporaneo nel senso sopra precisato, fosse anche caratterizzato dalla atipicità
e singolarità rispetto ad ogni altro evento organizzato dall’azienda nell’ambito della propria
ordinaria attività radiofonica e televisiva, per cui, essendo dotato di caratteristiche idonee
ad attribuirgli una propria individualità ed unicità (quale species di un certo genus) lo
stesso fosse configurabile come un momento episodico dell’attività imprenditoriale, e,
come tale rispondente anche al requisito della temporaneità; c) che, infine, l’assunzione
riguardasse soggetti il cui apporto lavorativo si inserisse, con vincolo di necessità diretta,
anche se complementare e strumentale, nello specifico spettacolo o programma. Non
può, invero, ritenersi sufficiente a giustificare l’apposizione del termine la semplice
qualifica tecnica o artistica del personale, richiedendosi che l’apporto del peculiare
contributo professionale, tecnico o artistico del lavoratore sia indispensabile per la buona
realizzazione dello spettacolo, in quanto non sostituibile con le prestazioni del personale di
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siano individuati, determinati e nominati e tali da rendere essenziale l’apporto di un

ruolo dell’azienda (ex multis, Cass. n. 17053/2008; Cass. n. 8385/2006 cit.; Cass., n.
129112006).
Come già osservato da questa Corte, l’interpretazione della norma di legge adottata dalla
giurisprudenza “appare corrispondere appieno al ragionevole equilibrio tra esigenze di
garanzia di stabilità del rapporto di lavoro ed esigenze, anche culturali, della produzione di
spettacoli e programmi radiotelevisivi perseguito dal legislatore dell’epoca, alla luce delle
nel caso considerato resiste alla rivisitazione tentata dalla difesa della società ricorrente, la
quale propone una lettura della norma di legge, che anticipa e addirittura supera i futuri
sviluppi della disciplina del contratto a tempo determinato, tuttora qualificato dalla legge
come ipotesi derogatoria rispetto alla regola del contratto di lavoro a tempo indeterminato
e sopravvaluta il significato della modifica apportata alla L. n. 230 del 1962, art. 1, comma
2, lett. e) dalla L. n. 266 del 1977, limitato, viceversa, ad una semplice estensione, rispetto
allo schema originario, dell’istituto, senza che da tale estensione si possano trarre
conclusioni relativamente ad eventuali stravolgimenti di quest’ultimo (v. Cass. 3308/2012
cit.)
Così ribadita l’interpretazione della norma di legge in esame, cui appare opportuno
attenersi, anche in ossequio alla funzione nomofilattica della Corte e in assenza di
sufficienti motivi per rimetterla in discussione alla luce delle argomentazioni del ricorso, va
infine ricordato che l’accertamento della sussistenza in concreto dei requisiti di legittimità
dell’apposizione del termine nell’ipotesi considerata costituisce giudizio di merito, che la
Corte territoriale ha adeguatamente condotto col rilevare la genericità dell’apporto
lavorativo della Cumani in esecuzione del contratto a tempo determinato esaminato, non
sufficientemente contrastata dalle deduzioni della società, rimaste in proposito generiche e
non pertinenti sul piano dell’accertamento del vincolo di necessità diretta enunciato.
Ed invero, la Corte del merito ha rilevato che la lavoratrice era stata impiegata nelle
ordinarie (seppur professionalmente elevate e significative) mansioni di assistente alla
regia, senza che emergesse quale fosse l’apporto individuale e distintivo che giustificasse
tale assunzione e, rispetto a tale valutazione, non può attribuirsi valore decisivo alla
circostanza, valorizzata nel secondo motivo di impugnazione, che la predetta avesse
acquisito una particolare competenza e professionalità con la frequenza di un corso di
formazione professionale di durata triennale e tecnica cinetelevisiva.
Con riguardo ai due ulteriori motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente per la evidente
connessione delle questioni ch ne costituiscono l’oggetto, pur nella differente articolazione
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condizioni economiche e sociali esistenti” (cfr. Cass. 2 marzo 2012 n. 3308). Essa, anche

di censure in diritto o attinenti a vizio motivazionale, va osservato come questa Corte
abbia più volte affermato, con riguardo alla valenza estintiva da attribuirsi al contegno delle
parti , che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al
contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione
del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del lasso di
comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative — una chiara e
certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo. E’ stato anche precisato che la valutazione del significato e della portata del
complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono
censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 1011-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11-122001 n. 15621). Tali principi vanno enunciati anche in questa sede, rilevando, inoltre che,
come pure è stato evidenziato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione
per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà
chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v.
Cass. 2-12-2002 n. 17070).
Nella specie la Corte d’Appello, ha osservato, con motivazione immune da vizi logico
giuridici, che non vi era stato alcun comportamento della lavoratrice che potesse far
presumere una sua acquiescenza alla risoluzione del rapporto e che il solo decorrere del
tempo tra la cessazione di quest’ultimo ed il tentativo di conciliazione non poteva essere in
alcun modo interpretato come volontà di accettazione della risoluzione per mutuo
consenso, non potendo neppure all’accettazione da parte del lavoratore di un’altra stabile
occupazione lavorativa attribuirsi il significato :l’equivoco di dismissione delle pretese nei
confronti del precedente datore di lavoro. E’ infatti ben comprensibile che il prestatore in
assenza di altre chiamate abbia cercato di impegnarsi in altra attività non potendo vivere
senza alcun reddito, anche perché l’art 1227, 2° comma, c. c. gli imponeva di adoperarsi
con l’ordinaria diligenza per limitare le conseguenze dannose dell’illegittima cessazione
del rapporto di lavoro.
La Corte territoriale ha, poi, adeguatamente valutato come mera presa d’atto e
dichiarazione di scienza l’accettazione da parte della lavoratrice delle comunicazioni di
risoluzione apparentemente anticipata del rapporto (in realtà per anticipata cessazione del
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tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del

programma cui era addetta, secondo la previsione già contenuta nel contratto di lavoro),
accettazione che la ricorrente vorrebbe viceversa interpretata, per effetto di una lettura
testuale della dichiarazione avulsa dal contesto, come riferita ogni volta alla definitiva
cessazione del rapporto di lavoro invece che allo scadere naturale del termine previsto ( in
tali termini, v. anche Cass. 22854/2003, Cass. 9124/2013).
Va, infine, rilevato che, in memoria, la società invoca il disposto dell’art. 32 della legge
contratto di lavoro.
Va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare
nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,
una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo
pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del
controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8
maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). Tale condizione non sussiste nella
fattispecie, benché, con sentenza della Corte Costituzionale n. 303/2011 siano state
dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 5, 6 e 7,
della legge 4 novembre 2010, n. 183 sollevate, con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101,
102, 111 e 117, primo comma, della Costituzione. Ed invero, alcun motivo è stato
avanzato in relazione alla quantificazione del risarcimento, il che preclude ogni esame
della ulteriore questione.
Alla stregua delle esposte considerazioni, deve pervenirsi al rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della società e si liquidano come
da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la RAI s.p.a. al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3200,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in ROMA, il 7.1.2014

183/2010 in tema di risarcimento danni in caso di illegittima apposizione del termine al

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