Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4719 del 27/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 4719 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: CURZIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 26879-2008 proposto da:
CEVA AUTOMOTIVE LOGISTICS S.R.L., (già CEVA INBOUND
LOGISTICS S.R.L.), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio
dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa
2013
3510

dagli avvocati TOSI PAOLO, UBERTI ANDREA, giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

FORTUNATO GRILLO, GIOIOSO RITA GSIRTT47H60A783M,

Data pubblicazione: 27/02/2014

LIUZZO FRANCESCO, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA BETTINO RICASOLI 7, presso lo studio
dell’avvocato MUGGIA ROBERTO, che li rappresenta e
difende unitamente all’avvocato BISACCA SIMONE,
giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 1175/2007 della CORTE
D’APPELLO di TORINO, depositata il 06/11/2007 R.G.N.
1391/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/12/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
CURZIO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega TOSI
PAOLO;
udito l’Avvocato MUGGIA ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’inammissibilità e in subordine rigetto del ricorso.

– controricorrenti

1. La società ricorrente chiede l’annullamento della sentenza della Corte
d’appello di Torino che, accogliendo il ricorso dei lavoratori, ha ritenuto non
provata l’impossibilità da parte della società di continuare a ricevere la
prestazione lavorativa, su cui si fonda il ricorso alla Cassa integrazione
guadagni straordinaria.
2. La Corte, nel motivare la decisione, ha seguito questo percorso argomentativo:
l’onere della prova della sussistenza del necessario rapporto di causalità tra
riduzione della produzione e ricorso alla Cassa integrazione guadagni è a
carico dell’impresa datrice di lavoro. Nella specie tale prova non è stata fornita
ed, anzi, si è accertato, sulla base dell’analisi della evoluzione del fatturato
aziendale, che tale nesso eziologico non sussiste e che vi è stato un processo di
esternalizzazione delle lavorazioni di competenza dei lavoratori posti in cassa
integrazione, che è in contraddizione con il ricorso al beneficio della
integrazione salariale.
3. La sentenza, esaminando le prospettazioni aziendali in ordine al contenuto
delle mansioni svolte dai lavoratori ricorrenti, ha valutato il quadro probatorio
e sulla base di tale valutazione, con giudizio prettamente di merito, motivato in
modo argomentato e privo di contraddizioni, ha escluso che le mansioni dei
lavoratori in esame, per le loro caratteristiche fattuali quantitative e qualitative,
fossero escluse da tale processo di esternalizzazione.
4. Di qui la conclusione di ritenere non provata l’impossibilità da parte
dell’azienda di continuare a ricevere la prestazione lavorativa di questi
specifici dipendenti.
5. Contro la sentenza l’impresa ricorre articolando tre motivi. Gli intimati si sono
difesi con controricorso.
6. I motivi di ricorso concernono tutti il merito della valutazione operata dalla
Corte, censurando la sentenza o per pretesa violazione degli artt. 115 e 116
o per vizio di “omessa, insufficiente o
c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio” relativo alle circostanze che gli importi delle fatture considerati in
Ricorso n. 26879.08
Udienza 4 dicembre 2013
Pietro Curzio, est Wsore

1

Ragioni della decisione

Ricorso n. 26879.08
Udienza 4 dicembre 2013

sentenza si riferiscano a lavorazioni astrattamente eseguibili dai soggetti
sospesi o si riferiscano a quantità di confezioni non irrilevanti rispetto ai
volumi normali del confezionamento manuale.
7. L’art. 115 c.p.c. impone al giudice di porre a fondamento della decisione le
prove proposte dalla parti o dal pm, nonché i fatti non specificamente
contestati dalla parte costituita. Oltre che (secondo comma) nozioni di fatto
derivanti dalla comune esperienza. L’art. 116 c.p.c. sancisce che “il giudice
deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la
legge disponga altrimenti”.
8. La Corte di Torino ha formulato e motivato la sua valutazione delle prove
entro l’ambito di valutazione tracciato da queste due norme. Le censure della
società si muovono su di un piano del tutto estraneo al giudizio di cassazione,
richiedendo alla Corte di legittimità una terza valutazione di merito della
controversia. Quanto invece al vizio di motivazione, lo stesso viene prospettato
in modo generico, assumendo che la motivazione sarebbe al tempo stesso
omessa e quindi mancante, contraddittoria ed insufficiente. Ma è impossibile
logicamente sostenere che una motivazione possa presentare congiuntamente
questi diversi ed inconciliabili tipi di vizio. Non può essere contraddittoria o
anche meramente insufficiente una motivazione che si assume mancare.
Inoltre, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. il vizio di motivazione deve riguardare
un “fatto” che deve essere “controverso e decisivo”. Questa formula è stata
introdotta dalla riforma del giudizio di cassazione operata con la legge n. 40
del 2009, che ha sostituito il concetto di ‘punto decisivo della controversia”
con quello di ‘fatto controverso e decisivo’.
9, Delimitando in tal modo l’ammissibilità del ricorso per vizio di motivazione, il
legislatore ha mirato ad evitare che il giudizio di cassazione, che è giudizio di
legittimità, venga impropriamente trasformato in un terzo grado di merito.
10.Prendendo atto di tale volontà legislativa questa S.C. ha affermato, con
orientamento da tempo consolidato, il seguente principio di diritto: “Il motivo
di ricorso con il quale – ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. così come modificato
dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – si denuncia omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il ‘fatto’ controverso
o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi
intendere per ‘fatto’ non una ‘questione’ o un ‘punto’ della sentenza, ma un
fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un

PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti,
liquidandole in 4.000,00 euro per compensi professionali, in 100,00 curo per spese
borsuali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 dicembre 2013.

fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto
secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale),
purché controverso e decisivo. (ex plurimis, Cass. 29 luglio 2011, n. 16655;
Cass. (ord.) 5 febbraio 2011, n. 2805; v. anche Cass. 31 luglio 2013, n. 18368).
11.Nel caso in esame la censura non concerne un fatto, ma un giudizio in quanto
si chiede alla Corte di cassazione di valutare se le fatture richiamate nella
sentenza si riferiscano a lavorazioni astrattamente eseguibili dai soggetti
sospesi e si riferiscano a quantità di confezioni non irrilevanti rispetto ai
volumi normali del confezionamento manuale.
12.Si tratta di temi prettamente di merito che non possono trovare ingresso nel
giudizio di legittimità, quando, come nel caso in esame, la motivazione della
Corte di merito sia (più che) sufficiente, lineare e sicuramente priva di
contraddizioni logiche.
13.11 ricorso per cassazione, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile perché
si colloca al di fuori dell’ambito del giudizio di legittimità. Le spese devono
essere poste a carico della parte soccombente.

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