Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4716 del 28/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 4716 Anno 2018
Presidente: GIANCOLA MARIA CRISTINA
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

sul ricorso 10068/2012 proposto da:
Principi Pierluigi, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Giulio
Cesare n.71, presso lo studio dell’avvocato Del Vecchio Andrea, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato Mastri Antonio, giusta
procura in calce al ricorso;
-ricorrente contro
Comune di Osimo;
– intimato –

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Data pubblicazione: 28/02/2018

nonchè contro

Comune di Osimo, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente
domiciliato in Roma, Via Salaria n.95, presso lo studio dell’avvocato

margine del controricorso e ricorso incidentale;
-controricorrente e ricorrente incidentale contro
Principi Pierluigi, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Giulio
Cesare n.71, presso lo studio dell’avvocato Del Vecchio Andrea, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato Mastri Antonio, giusta
procura in calce al ricorso principale;
-controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 896/2011 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositata il 05/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/11/2017 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

FATTI DI CAUSA
Con sentenza depositata il 5.11.2011, la Corte d’Appello di
Ancona ha rigettato l’appello proposto da Pierluigi Principi avverso la
sentenza che lo aveva condannato a pagare al Comune di Osimo la
somma di C 115.793,45, oltre interessi, a titolo di rimborso di quanto
indebitamente percepito per la gestione del servizio di illuminazione
dei cimiteri rurali di quel Comune, dopo la scadenza del rapporto di
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Galvani Andrea, che lo rappresenta e difende, giusta procura a

concessione, negli anni dal 1982 al 1994. Per quanto d’interesse, la
Corte territoriale: a) ha disatteso l’eccezione di difetto di giurisdizione,
attenendo la decisione a rapporto di diritto privato e tenuto conto della
sentenza della Corte Cost. n. 4 del 2004, che aveva caducato la norma

perfezionato alcun il contratto scritto inter partes, quale fonte del
diritto di ritenzione dell’importo; c) ha ritenuto provata l’entità
dell’indebito in ragione di una scrittura di esso ricognitiva sottoscritta
dallo stesso Principi; d) ha ritenuto insussistente la prova
dell’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c. e del credito opposto in
compensazione, per essere inutilizzabili i prodotti documenti contabili,
in quanto predisposti dal solo appellante e perciò inammissibile la
chiesta CTU, ed inutile la prova testimoniale richiesta.
Per la cassazione della sentenza, ricorrono il soccombente con
quattro motivi, ai quali il Comune di Osimo replica con controricorso,
con cui ha proposto ricorso incidentale condizionato, resistito con
controricorso dal Principi, che ha successivamente depositato
memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, si deduce la violazione degli artt. 5 c.p.c. e
33 d.lgs. n. 80 del 1998 e vizio di motivazione, in riferimento alla
statuizione sub a) di parte narrativa. 2. Il motivo va rigettato. 3. Va
premesso che, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte
(Cass. 3568 del 2010; n. 1947 del 2007 1 n. 12561 del 2004), la mera
prospettazione di una questione di giurisdizione non è sufficiente per
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attributiva della giurisdizione esclusiva del GA; b) ha ritenuto non

la rimessione della causa alle Sezioni unite ai sensi dell’art. 374 c.p.c.
quando la questione stessa appaia ictu ocull pretestuosa o, comunque,
erronea, in quanto non fondata sui presupposti di fatto tipici di tale
eccezione. 4. Il caso ricorre nella specie. Dall’esame degli atti,

ha agito nei confronti dell’odierno ricorrente onde ottenere la
restituzione di somme, che ha affermato esser state da lui percepite
indebitamente dopo la cessazione del rapporto concessorio relativo
alla gestione del servizio d’illuminazione dei cimiteri rurali, pervenuto
a scadenza il 31.10.1982. A fronte di tale domanda, il Principi ha
dedotto di aver proseguito nella gestione del servizio su invito del
Sindaco, invito che oggi qualifica come petitum “prospettato come
persistenza del rapporto dopo l’originaria scadenza” (pag. 11 ricorso)
in relazione al quale chiede affermarsi la giurisdizione amministrativa.
5. Tale tesi non tiene, tuttavia, conto del principio processuale,
desumibile dell’art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione si determina
sulla base della domanda e non anche del contenuto delle eventuali
eccezioni opposte dalla parte convenuta, salvo il caso che le stesse
non evidenzino che la pretesa giudiziale avversaria così come ab initio
formulata, abbia implicato l’accertamento di situazioni soggettive
esulanti dalla cognizione del giudice adito (cfr. Cass. SU n. 19600 del
2012); il che non può sostenersi nel caso di specie, nel quale la
domanda dell’amministrazione concedente riguardava la restituzione
di pagamenti indebiti, proprio sul presupposto (e non previo
accertamento) della precedente intervenuta scadenza del rapporto
inter partes, il che esula dalla giurisdizione del G.A. in materia di
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consentito in ragione della questione proposta, risulta che il Comune

concessioni. 6. Deve, ad ogni modo, rilevarsi che il principio sancito
dall’art. 5 c.p.c., secondo cui i mutamenti di legge intervenuti nel corso
del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione -la quale
si determina con riguardo alla legge vigente al momento della

abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge, e non
anche all’annullamento dovuto dalle pronunce di incostituzionalità che /
(a norma dell’art. 136 Cost., dell’art. 1 della L Cost. 11 marzo 1953,
n. 1 e della L 11 marzo 1953, n. 87), impediscono al giudice di tenere
conto della norma dichiarata illegittima ai fini della decisione sulla
giurisdizione, salvo il giudicato, o il decorso dei termini di prescrizione
o decadenza stabiliti per l’esercizio di determinati diritti (Cass. SU n.
19495 del 2008), e che, per effetto della sentenza n. 204 del 2004
della Corte Costituzionale, le prestazioni patrimoniali derivanti dal
rapporto concessorio (tale natura dovrebbe riconoscersi a quelle
oggetto di causa) sono espressamente sottratte dalla giurisdizione
amministrativa. 7. Il profilo della doglianza relativo al vizio di
motivazione è inammissibile, trattandosi di questione di diritto.
8. Col secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione
degli artt. 17 R.D. n. 2440 del 1923 e 183, co. 3, c.p.c., nonché
insufficiente motivazione sulla rilevanza delle delibere di proroga del
rapporto concessorio (la n. 453 del 4.8.1995, per la gestione del
servizio svolta di fatto dall’1.11.1982 sino al 31.12.1995; la n. 295 del
2.8.1996 per l’anno 1996, e del relativo scambio epistolare), in
relazione alla statuizione sub b) della narrativa. 9. Il motivo è
inammissibile. 10. La sentenza impugnata si è, infatti, attenuta al
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proposizione della domanda-, si riferisce esclusivamente all’effetto

consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui i contratti della
p.A., richiedendo la forma scritta

ad substantiam

(quindi con

esclusione di qualsivoglia manifestazione di volontà implicita o
desumibile da comportamenti meramente attuativi), devono essere

disciplinanti il rapporto, e la volontà della Amministrazione sia
manifestata dall’organo rappresentativo dell’Ente, salvo che la legge
non autorizzi espressamente la conclusione a distanza, a mezzo di
corrispondenza, come nell’ipotesi eccezionale, prevista dall’art. 17 del
r.d. n. 2240 del 1923, di contratti conclusi con ditte commerciali (Cass.
n. 12540 del 2016; n. 25798 del 22/12/2015; n. 5263 del 2015; n.
72097 del 2009; n. 1752 del 2007; n. 14099 del 2004). 11. La Società
non offre alcun argomento onde ottenere un ripensamento di tale
consolidato indirizzo, così incorrendo nella sanzione d’inammissibilità
di cui all’art. 360 bis c.p.c., secondo il principio affermato da Cass. SU
n. 7155 del 2017, che, nel rimeditare l’indirizzo di cui a Cass. SU n.
19051 del 2010, ha assegnato alla disposizione in esame la funzione
di filtro di ammissibilità. 12. Quanto all’allegazione secondo cui la
declaratoria di nullità del contratto sarebbe intervenuta, ex officio, in
violazione dell’art. 183, co 3, c.p.c., non avendola il primo giudice
sottoposta alle parti, va rilevato che il ricorrente non solo non trascrive
gli argomenti coi quali avrebbe censurato la questione (che
costituirebbe un error in iudicando de iure procedendi) innanzi al
giudice d’appello, ma riferisce che la stessa sarebbe stata dedotta in
sede di comparsa conclusionale, e dunque non in sede di gravame,

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consacrati in un unico documento, nel quale siano indicate le clausole

sicchè il sub motivo in esame non sfugge alla declaratoria
d’inammissibilità, o per genericità o per tardività o per novità.
13. Il terzo motivo è volto a censurare la statuizione sub c) di
parte narrativa, per violazione e falsa applicazione degli artt. 215
c.p.c. e 1988 c.c. 14. Anche tale motivo è inammissibile. L’impugnata

indicati nel conteggio predisposto dal Comune, dando atto che il
Principi lo aveva sottoscritto “per conferma dei conteggi ed
accettazione del post scriptum”. Se, a tale stregua, la contestazione
circa la certezza delle somme pretese dal Comune -che avrebbe
avanzato più richieste tra loro diverse e contrastanti in “un balletto di
cifre”- non intacca la ratio decidendi, che si è basata sul conteggio
dell’ottobre 1995, accettato dal ricorrente, ed ha ritenuto per il periodo
successivo non provata la pretesa dell’Ente vta critica circa la valenza
,
probatoria di tale dichiarazione si scontra con la mancata riproduzione
del relativo testo (cui si attribuisce un diverso contenuto) e finisce con
l’essere del tutto astratta tanto più che la dichiarazione anzidetta è
stata tenuta presente ai fini della taxatio, essendo la causa debendi
stata individuata nella condictio indebiti, collocata nel sistema delle
fonti delle obbligazioni.
15. Con il quarto motivo, si censura la statuizione sub d) della
narrativa, per violazione degli artt. 2041 e 1242 c.c., e per vizio di
motivazione. 16. Anche questo motivo va rigettato. La critica avverso
la statuizione di rigetto della prova testimoniale (deducibile in
relazione al disposto del numero 5 dell’art. 360, co i, 1) c.p.c. nel testo
applicabile ratione temporis) è inammissibile: il ricorrente non indica
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sentenza ha confermato la condanna alla restituzione degli importi

in alcun modo le circostanze che formavano oggetto della prova, così
precludendo a questa Corte il controllo sulla decisività dei fatti dedotti
in ordine alla soluzione della controversia, in base al principio secondo
cui il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova

solo nel caso in cui la prova non ammessa (ovvero non esaminata) sia
idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di
certezza e non di mera probabilità, il convincimento del giudice di
merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di
fondamento (Cass. n. 11457 del 2007; n. 4369 del 2009; n. 5377 del
2011; n. 4980 del 2014). 17. Gli ulteriori profili non vengono svolti: il
ricorrente non ha specificamente censurato la decisione di non
disporre la CTU (adeguatamente motivata in ragione della
predisposizione unilaterale della documentazione) da parte dei giudici
del merito, né ha dedotto in quale modo le disposizioni invocate
sarebbero state male interpretate o erroneamente applicate,
essendosi limitato a riportare giurisprudenza in tema di actio de in rem
verso e ad affermare di aver diritto all’indennizzo e ad avere accolta
l’eccezione di compensazione.
18. Il rigetto del ricorso principale assorbe l’esame del motivo di
ricorso incidentale condizionato, col quale il Comune ha censurato la
ritenuta ammissibilità della domanda d’ingiustificato arricchimento,
avanzata nel corso del giudizio d’appello, per violazione degli artt. 183,
184 e 345 c.p.c. e 2041 c.c.
19. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.
P.Q.M.
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testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione

Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale, e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità,
che si liquidano in C 5.200,00, di cui C 200,00 per spese vive, oltre a
spese generali e ad accessori.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2017.

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