Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4716 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. I, 21/02/2020, (ud. 22/11/2019, dep. 21/02/2020), n.4716

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9384/2018 proposto da:

Cedir, – Ceramiche di Romagna S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Cardinale De Luca n. 22, presso lo studio dell’avvocato Sciubba

Pietro, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Rossi

Antonio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.F., B.C., elettivamente domiciliati in Roma,

Viale Giulio Cesare n. 2, presso lo studio dell’avvocato Giancaspro

Nicola, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Pirazzoli Umberto, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2204/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

pubblicata il 28/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2019 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per il rigetto, in subordine

inammissibilità del terzo motivo e del secondo profilo del secondo

motivo;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Sciubba Pietro che ha chiesto

l’accoglimento;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato Giancaspro Nicola che si

riporta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza 2204/2017, pubblicata in data 28.09.2017, decidendo sul ricorso presentato, ex art. 829 c.p.c., dalla Cedir S.p.A., nei confronti di B.F. e B.C., respingendo l’impugnazione, ha confermato quanto deciso dall’arbitro unico, nominato dal Presidente del Tribunale di Ravenna, con il lodo sottoscritto in data 23.09.2009.

I soci B. avevano instaurato il procedimento arbitrale al fine di sentire affermare il proprio diritto di recesso dalla società Cedir, comunicato con lettere raccomandate dell’ottobre 2008, per l’intera partecipazione sociale, poichè lo Statuto della Cedir, società di capitali la cui durata era fissata sino al 31/12/2100, escludeva espressamente tale diritto in capo ai soci. La società Cedir aveva opposto che, in sede di approvazione dello statuto alla assemblea dei soci del 12.07.2004, i soci B. avevano approvato sia una durata della Cedir spa fino al 31.12.2100 sia la clausola di rinuncia dei soci al diritto di recesso per il caso di proroga della durata della società, con possibilità di uscita dalla società esclusivamente attraverso l’alienazione delle loro azioni, manifestando così implicitamente la volontà di rinunciare al diritto di recesso ex art. 2437 c.c..

Ritenendo che tale prolungata durata della società fissata nello statuto (“largamente superiore alle aspettative di via di un socio”) fosse da ricondurre ad una durata indeterminata del contratto con la società, ipotesi per la quale è normativamente ammesso il recesso ad nutum del socio di società di capitali, la Corte d’Appello di Bologna ha confermato il lodo arbitrale, con il quale si era ritenuto legittimo il recesso esercitato dai soci, ai sensi dell’art. 2437 c.c., comma 3.

Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione la Cedir Ceramiche di Romagna S.p.A., articolato in tre motivi; resistono con controricorso i sigg.ri B.F. e B.C..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’assoluta mancanza di motivazione sulle circostanze di fatto che consentano di equiparare la fattispecie di una società per azioni, che preveda un lungo termine finale, alla diversa fattispecie di una società di capitali costituita a tempo indeterminato; con il secondo motivàex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la falsa applicazione dell’art. 2437 c.c., comma 3, si lamenta la non corretta equiparazione della previsione statutaria di una società per azioni che preveda un termine finale assai lungo di durata a quella di una società per azioni costituita a tempo indeterminato, la quale comporta, ai sensi dell’art. 2437 c.c., comma 3, la facoltà di recesso del socio; con il terzo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si lamenta, infine, la falsa applicazione dell’art. 2285 c.c., comma 1 dovendo ritenersi inammissibile l’applicazione analogica alla società per azioni della norma in discussione, dettata per le società di persone.

2. Il primo motivo è infondato.

Invero, non si verte in ipotesi di motivazione del tutto omessa o intrinsecamente illogica e contraddittoria. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste in argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. civ. sez. un. nn. 16599 e 22232 del 2016; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053).

Nella specie, la sentenza impugnata non può dirsi intrinsecamente incomprensibile sotto il profilo motivazionale.

3. Il secondo ed il terzo motivo, da trattare insieme in quanto connessi, sono invece fondati.

La questione di fondo riguarda la presunta equiparazione, affermata sia nel lodo arbitrale sia dalla Corte d’Appello, ai fini del recesso del socio, della previsione statutaria di una società per azioni, contratta per un tempo particolarmente lungo, a quella di società contratta a tempo indeterminato.

Questa Corte, nella pronuncia n. 9662 del 2013, richiamata nella decisione impugnata, ha statuito su una questione di fatto diversa da quella prospettata con l’odierno ricorso, affermando che “in tema di società a responsabilità limitata, la previsione statutaria di una durata della società per un termine particolarmente lungo (nella specie, l’anno 2100), tale da superare qualsiasi orizzonte previsionale anche per un soggetto collettivo, ne determina l’assimilabilità ad una società a tempo indeterminato, onde, in base all’art. 2473 c.c., compete al socio in ogni momento il diritto di recesso, sussistendo la medesima esigenza di tutelarne l’affidamento circa la possibilità di disinvestimento della quota”, cosicchè “integra l’ipotesi dell’eliminazione di una causa di recesso, ai sensi della norma menzionata, la modificazione statutaria che abbia notevolmente ridotto il termine di durata della società (nella specie, dal 2100 al 2050)”. Nella controversia si trattava, precisamente, di una società a responsabilità limitata (e quindi la pronuncia prende in considerazione l’art. 2473 c.c. che tuttavia statuisce in modo pressochè identico all’art. 2437 c.c., qui in discussione, dettato per le società per azioni non quotate in un mercato regolamentato), la cui durata era stata fissata sino all’anno 2100 e l’oggetto del giudizio riguardava la questione se una delibera assembleare, con la quale era stata disposta la riduzione della durata di una s.r.l., dall’originario termine del 2100 al 2050, legittimasse il recesso per il socio dissenziente. Nella sentenza del 2013, in una controversia nella quale si discuteva della legittimità del recesso di un socio (peraltro, una società, che non aveva acconsentito ad una modifica dell’atto costitutivo) da una società a responsabilità limitata, a fronte di una deliberazione di riduzione della durata della società, questa Corte ha dunque confermato la decisione impugnata, con la quale si era dichiarato legittimo il diritto di recesso del socio, ai sensi dell’art. 2473 c.c., ritenendo che la delibera societaria fosse rivolta essenzialmente ad escludere una causa di recesso del socio: l’originaria durata statutaria, prevista per il 2100, era assimilabile, infatti, ad una durata a tempo indeterminato, trattandosi di un’epoca così lontana (2100) “da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo”. Ne deriva che l’equiparazione della durata di una società a responsabilità limitata, prevista per un termine particolarmente lungo, a quella a tempo indeterminato di una società dello stesso tipo è stata affermata al fine di dare applicazione all’ipotesi di recesso in caso di modifica statutaria recante l’eliminazione di una causa di recesso.

Con la riforma societaria del 2003, ad un regime, nel quale la disciplina del recesso da una società a responsabilità limitata faceva rinvio a quella delle società per azioni, si è sostituita altra disciplina, per effetto della quale, quanto alle società di capitali, vi è una specifica elencazione dei casi, con significativo ampliamento, net qual, il recesso può esercitarsi (art. 2473 e 2437 c.c.), salva diversa volontà dei soci espressa nell’atto costitutivo.

Le cause di recesso oggi possono essere distinte in cause di recesso inderogabili (previste dall’art. 2437 c.c., comma 1 riguardanti la modifica significativa dell’oggetto sociale, la trasformazione della società, il trasferimento della sede all’estero, la revoca dello stato di liquidazione, l’eliminazione di una o più cause di recesso derogabili o previste dallo statuto, la modificazione dei criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso, le modifiche dello statuto concernenti il diritto di voto o di partecipazione), derogabili dallo statuto (previste dal comma 2 art. citato, quali la proroga del termine di durata della società, l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni) e statutarie.

E’ stata poi introdotta la previsione di una società di durata indeterminata e della possibilità di recesso ad nutum del socio, ai sensi dell’art. 2437 c.c., comma 3 (e dall’art. 2473 c.c., per le società a responsabilità limitata).

E solo entro tali limiti può parlarsi di un favor, riservato dalla riforma del 2003, all’istituto del recesso nelle società di capitali.

Ora, come già detto, l’art. 2437 c.c., comma 2, stabilisce che i soci, che non hanno concorso all’approvazione (quindi assenti, dissenzienti o astenuti) delle deliberazioni (riguardanti, tra l’altro, lett.a), la proroga del termine di durata), hanno diritto di recedere “salvo che lo statuto disponga diversamente”.

Nella presente controversia, si discute specificamente della verifica della legittimità del recesso ad nutum esercitato da socio di una società per azioni, costituita con una durata determinata fino al 2100 e con esclusione del diritto di recesso del socio nel caso di proroga del termine finale della società.

Una prima argomentazione a favore della fondatezza dell’assunto della società ricorrente è data dall’interpretazione dell’art. 2437 c.c., il cui comma 3 che prevede tale diritto di recesso, è norma derogabile, essendo prevista nell’u.c. cit. art. la inderogabilità soltanto per le ipotesi di recesso contemplate al comma 1. Trattandosi di previsione derogabile, il socio non può dolersi della sua violazione attraverso una previsione statutaria asseritamente elusiva di essa. In altre parole, la fissazione di un termine particolarmente lungo di durata della società, ben può configurare una modalità di esclusione del diritto di recesso del socio, riconosciuto dalla legge nell’ipotesi di durata indeterminata della società. Residua al socio, soltanto nel caso in cui la durata sia stata prolungata con delibera assembleare cui egli non abbia concorso, la facoltà di recesso di cui all’art. 2437 c.c., comma 1, lett. e), in relazione al comma 2, lett. a), per il caso di proroga del termine. Ma la presente controversia esula da tale tema di indagine.

Altra e più radicale ragione di fondatezza dell’assunto della ricorrente, con conseguente illegittimità del recesso ad nutum esercitato da socio di una società per azioni, costituita con una durata determinata fino al 2100, deriva, poi, dall’interpretazione letterale dell’art. 2437 c.c., che limita tassativamente la possibilità di recedere ad nutum al solo caso di società contratta a tempo indeterminato, e da una necessaria valutazione sistematica, che tenga conto della differente disciplina dettata per le società di capitali, rispetto a quella operante per le società di persone, dell’esigenza di certezza cui è improntata tutta la disciplina in materia societaria ed anche della tutela dei creditori sociali, i quali, facendo affidamento solo sul patrimonio sociale, hanno interesse al mantenimento della sua integrità.

Questa Corte, in altro giudizio nel quale si discuteva della legittimità di un recesso da una società per azioni, la cui durata era stata fissata, con delibera unanime dei soci, al 2050, ha respinto il motivo di ricorso per cassazione, fondato sulla necessità di equiparare la durata a tempo indeterminato della vita della società a quella contratta a tempo determinato con una durata ritenuta eccedente la presumibile vita del socio, rilevando che, seppure, secondo il precedente del 2013, poteva rilevare il superamento della “ragionevole data di compimento di un progetto imprenditoriale”, certamente nessun rilievo rivestiva la aspettativa di vita ovvero la durata media di vita del socio-persona fisica (Cass. 8962/2019).

Va, invero, effettuata una comparazione tra l’interesse del socio di S.p.A. a dismettere il suo investimento e l’interesse del resto della compagine e della società stessa di portare avanti il progetto imprenditoriale, facendo affidamento sulle risorse presenti e sulla certezza delle stesse, connesso all’interesse dei terzi creditori, che, a loro volta, fanno affidamento sulla generica garanzia costituita dall’intero patrimonio sociale.

Va dato, in proposito, il giusto rilievo alla scelta del legislatore di una diversa disciplina delle ipotesi di recesso ad nutum nelle società di persone, nelle quali, prevalendo l’intuitus personae, esso è previsto per le ipotesi di durata della società sia indeterminata sia pari alla vita di un socio (art. 2285 c.c.), e nelle società di capitali, nelle quali invece il recesso ad nutum è contemplato solo per i casi di società con durata indeterminata, nulla disponendosi per il caso di durata superiore alla vita umana ovvero proiettata in un orizzonte temporale molto lontano. L’estensione alle società per azioni della disciplina del recesso del socio, sotto il profilo qui in discussione, prevista per le società di persone, trova ostacolo in esigenze di certezza e di tutela, in particolare, dell’interesse dei terzi creditori. Basti considerare che, mentre i creditori di una società di persone possono fare affidamento, oltre che sul patrimonio societario, anche sui patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili, viceversa, i creditori di una società di capitali possono contare soltanto sul primo, che, in caso di recesso di un socio, subisce una corrispondente riduzione (non compensata dalla responsabilità personale del recedente). Ciò giustifica – anzi impone – una interpretazione restrittiva delle norme che prevedono le ipotesi di recesso del socio di società per azioni. Nè, in ogni caso, potrebbe giustificarsi una estensione basata su criteri di incerta definizione ed applicazione concreta, quali quelli della durata della vita umana, o anche di un progetto imprenditoriale, che renderebbero eccessivamente aleatorie le prospettive di soddisfazione dei terzi creditori.

Del resto, questa Corte ha già espresso le ragioni che inducono, rispetto ad un’estensione dell’applicabilità delle norme in tema di recesso del socio di società di capitali ad ipotesi diverse da quelle specificamente previste, a preferire un’interpretazione restrittiva, tesa a non incrementare a dismisura le cause che legittimano l’uscita dalla società (cfr. Cass. 13875/2017: “in tema di recesso dalle società di capitali, la delibera assembleare che muti il “quorum” per le assemblee straordinarie, riconducendolo a previsione legale, non giustifica il diritto del socio al recesso ex art. 2437 c.c., lett. g), perchè l’interesse della società alla conservazione del capitale sociale prevale sull’eventuale pregiudizio di fatto subito dal socio, che non vede inciso, nè direttamente nè indirettamente, il suo diritto di partecipazione agli utili ed il suo diritto di voto a causa del mutamento del “quorum””; cfr. anche Cass. 13845/2019, in motivazione).

Pertanto, questa Corte ritiene che non sia possibile assimilare, con riferimento alle società di capitali, e per azioni, in particolare, per quanto interessa nel presente giudizio, ed all’istituto del diritto di recesso del socio, la società contratta per un tempo lungo ad una società contratta a tempo indeterminato, anche in considerazione della eccessiva aleatorietà dell’opposta impostazione, assunta dalla Corte di merito, alla luce delle numerose variabili che dovrebbero essere calcolate nel caso concreto, in mancanza di parametri oggettivi e predeterminati, per valutare quando la durata statutaria legittimi il recesso ad nutum del socio (si pensi alle diverse variabili ipotizzabili a seconda: se soci della società siano persone fisiche o persone giuridiche; se le società socie abbiano differenti durate, anche diverse rispetto a quella della società partecipata; se i soci persone fisiche abbiano diverse età; se l’oggetto sociale implichi un progetto imprenditoriale non chiaramente ed univocamente definibile).

4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso, respinto il primo, va cassata la sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, la quale si atterrà al principio di diritto sopra enunciato. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, respinto il primo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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