Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4716 del 10/03/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4716 Anno 2016
Presidente: MATERA LINA
Relatore: PICARONI ELISA

SENTENZA

sul ricorso 20190-2011 proposto da:
MANTELLI ANNIBALE MNTNBL34C11A6621,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 57, presso
lo studio dell’avvocato GIANNI DI SANTO, che lo
rappresenta e difende;
– ricorrenti contro

ANGELINI EUFRASIA, elettivamente domiciliato, in ROMA,
VIA F. SIACCI 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO
MARZIOLI, rappresentatcue difesq i dall’avvocato SAVERIO
FATONE;

Data pubblicazione: 10/03/2016

CIPPONE ROBERTO, ARGENTIERO MARIA LUIGIA, CIPPONE
GIANFRANCO in proprio, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA DELLA CONSULTA 50, presso lo studio
dell’avvocato ANTONIO MANCINI, rappresentati e difesi
dall’avvocato GIANFRANCO CIPPONE;

avverso la sentenza n. 446/2011 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 18/05/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/01/2016 dal Consigliere Dott. ELISA
PICARONI;
udito l’Avvocato DI SANTO Gianni, difensore del
ricorrente che si riporta al ricorso;
udito

l’Avvocato

MANCINI

Antonio,

con

delega

dell’Avvocato CIPPONE Gianfranco, difensore dei
resistenti che ha chiesto di riportarsi agli atti
depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUISA DE RENZIS che ha concluso per la
conferma della decisione impugnata e condanna spese di
lite.

– controricorrenti

Ritenuto in fatto
l. – È impugnata la sentenza della Corte d’appello di Bari, depositata il 18 maggio 2011 e notificata il 27 maggio
2011, che ha dichiarato inammissibile e infondato l’appello

te gli appelli incidentali proposti da Eufrasia Angelini e da
Maria Luigia Argentiero, Gianfranco Cippone e Roberto Cippone
avverso la sentenza n. 1332 del 2005 del Tribunale di Bari.
1.1. – Il Tribunale aveva accolto la domanda di risoluzione del contratto preliminare, datato 15 febbraio 1991 e registrato in data 28 maggio 1993, con il quale Annibale Mantelli
aveva promesso in vendita a Luigi Cippone e Gianluigi Angelini
beni immobili, per inadempimento del promittente venditore, e
aveva condannato il predetto alla restituzione di quanto ricevuto (lire 170 milioni), oltre al risarcimento del danno, liquidato in euro 43.898,84, con rivalutazione monetaria ed interessi legali, a favore di ciascuno dei promissari acquirenti. Gli immobili promessi in vendita, infatti, erano risultati
gravati da ipoteca, di seguito pignorati, poi anche oggetto di
sequestro conservativo convertito in pignoramento.
2. – La Corte d’appello aveva dichiarato inammissibile
l’appello principale proposto dal sig. Mantelli, nella parte
in cui i motivi di gravame erano carenti di specificità dei
motivi, ed infondato per la restante parte, ed aveva accolto
le censure formulate dagli appellati Eufrasia Angelini ed ere-

principale proposto da Annibale Mantelli e accolto parzialmen-

di Cipponi – questi ultimi succeduti nel corso del giudizio di
secondo grado al congiunto Luigi Cippone – riguardo alla liquidazione delle spese processuali.
3. – Per la cassazione della sentenza d’appello ha propo-

Resistono, con autonomi atti di controricorso, Eufrasia
Angelini, Maria Luigia Argentiero, Gianfranco Cippone e Roberto Cippone.
Considerato in diritto
l. – Il ricorso è infondato.
1.1. – Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa
applicazione degli artt. 299 e 301 cod. proc. civ., in combinato disposto con gli artt. 163-bis e 164 cod. proc. civ., degli artt. 180 e 182 cod. proc. civ.
Il ricorrente contesta plurime violazioni di norme processuali, che avrebbero inficiato i giudizi di merito. In particolare, si assume che l’atto di citazione in riassunzione notificato, nel primo grado di giudizio, da Luigi Cipponi impersonalmente agli eredi di Gianluigi Angelini non rispettava i
termini minimi a comparire, previsti a pena di nullità e la
predetta violazione non era stata rilevata, né risultava sanata in quanto Filomena Di Leo, coniuge ed erede di Gianluigi
Angelini, non si era costituita in giudizio.
1.2 – La doglianza è inammissibile in quanto propone questioni riguardanti la regolarità del contraddittorio instaura-

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sto ricorso Annibale Mantelli, sulla base di cinque motivi.

to nel primo grado di giudizio, che non sono state fatte valere in grado di appello, la cui deduzione deve ritenersi preclusa in applicazione del principio espresso dall’art. 161,
primo comma, cod. proc. civ., secondo il quale tutti i motivi

zione, a meno che la gravità del vizio dedotto non sia tale da
impedire che lo stesso atto che ne è inficiato possa essere
assunto nel modello legale della figura, configurandosi così
una inesistenza giuridica dell’intero giudizio, rilevabile
d’ufficio ex art. 161, secondo comma, cod. proc. civ.

(ex pita-

rimis, Cass., sez. L, sentenza n. 8762 del 2003).
2. – Con il secondo motivo è dedotta violazione degli
artt. 333, 343 cod. proc. civ., in combinato disposto con gli
artt. 347 e 348 cod. proc. civ., e dell’art. 345 cod. proc.
civ.
Il ricorrente assume l’improcedibilità degli appelli incidentali, per mancato deposito della copia della sentenza di
primo grado in forma autentica, nonché per la novità della domanda ivi proposta, di liquidazione delle spese riguardanti il
procedimento cautelare, che la Corte d’appello avrebbe dovuto
rilevare anche officiosamente.
2.1. – La doglianza è infondata.
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, il
precetto normativo enunciato nell’art. 347, secondo comma cod.
proc. civ. mira a garantire soltanto la possibilità dell’esame

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di nullità della sentenza si convertono in motivi di impugna-

della sentenza impugnata da parte del giudice d’appello, con
la conseguenza che la mancata menzione del deposito di copia
della sentenza impugnata nell’atto di appello o nella nota di
deposito dei documenti offerti in comunicazione non determina

essa risulti comunque allegata agli atti

(ex plurimis,

Cass.,

sez. 2^, sentenza n. 1302 del 2003). Il principio vale, a fortiori,

ad escludere l’improcedibilità dell’appello incidentale

quando – come nella specie – la copia della sentenza oggetto
di impugnazione sia stata depositata dall’appellante principale, essendo in tal caso pienamente soddisfatta la ratio legis.
Si deve altresì escludere la configurabilità della novità
della domanda di liquidazione delle spese inerenti la fase
cautelare, trattandosi di una componente del

genus spese pro-

cessuali, come tali liquidabili anche in assenza di domanda.
La condanna alle spese processuali costituisce, infatti, pronuncia conseguenziale ed accessoria rispetto alla decisione di
merito, e può essere emessa dal giudice anche d’ufficio in
mancanza di una espressa istanza della parte vittoriosa

(ex

plurimis, Cass., sez. 3^, sentenza n. 1659 del 1982).
3. – Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 302, 166, 299 e 300 cod. proc. civ.
Il ricorrente assume che i soggetti costituitisi nel primo
grado di giudizio a seguito del decesso di Gianluigi Angelini,
e nel secondo grado di giudizio a seguito del decesso di Luigi

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l’improcedibilità dell’appello se, al momento della decisione,

Cippone, non avrebbero documentato la qualità di eredi, sicché
sarebbe rimasta indimostrata la loro legittimazione processuale.
3. – La doglianza è inammissibile.

zio (qualità di erede di Eufrasia Angelini) non ha costituito
oggetto di gravame, e quindi non è ulteriormente controvertibile.
L’analoga questione, riferita al grado di appello (qualità
di eredi di Maria Luigia Argentiero, Gianfranco Cippone e Roberto Cippone), risulta anch’essa proposta per la prima volta
in sede di giudizio di legittimità, non essendo stata contestata in sede di appello la qualità di eredi dei soggetti che
si erano costituiti a seguito del decesso di Luigi Cippone.
vero, infatti, che il soggetto che si costituisce in
giudizio nella qualità di successore universale di una delle
parti ha l’onere di fornire la prova dell’asserita sua qualità, ma tale onere riguarda un elemento di fatto della controversia, concernente la titolarità del rapporto dedotto in causa, il cui difetto non è enunciabile ne’ rilevabile per la
prima volta in sede di legittimità

(ex plurimis,

Cass., sez.

1^, sentenza n. 6240 del 1996).
4. – Con il quarto motivo è dedotto vizio di motivazione
in riferimento alla dichiarata inammissibilità dell’atto di
appello. La decisione sarebbe frutto di una analisi condotta

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La questione posta in riferimento al primo grado di giudi-

dalla Corte territoriale ex post – e cioè in base alla irrilevanza ovvero inconsistenza dei motivi di appello -, anziché
ante,

ex

con riguardo ai requisiti del gravame. In ogni caso,

l’art. 342 cod. proc. civ. sanziona con l’inammissibilità

dirette alla modifica della sentenza di primo grado, non invece l’appello nel quale siano reiterate le richieste avanzate
in primo grado (nella specie con la comparsa conclusionale).
Il ricorrente lamenta inoltre la contraddittorietà della
motivazione nella quale prima si dà atto della formulazione di
tre motivi di doglianza avverso la decisione del Tribunale, e
poi si assume l’inadeguatezza degli stessi motivi a svolgere
la critica richiesta, ai fini dell’ammissibilità, dall’art.
342 cod. proc. civ.
4.1. – La doglianza è infondata.
La Corte d’appello ha ampiamente e congruamente argomentato sulla ritenuta inammissibilità del gravame, che consisteva
nella sola riproposizione delle domande e delle questioni prospettate nel giudizio di primo grado, senza una puntuale critica alla decisione assunta dal Tribunale. La conclusione cui
è prevenuta la Corte d’appello, censurata peraltro soltanto
sotto il profilo motivazionale, costituisce applicazione della consolidata interpretazione dell’art. 342 cod. proc. civ.,
secondo cui l’onere di specificità dei motivi di appello deve
ritenersi assolto quando, anche in assenza di una formalistica

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l’appello che non sia fondato su fatti specifici e su censure

enunciazione, le argomentazioni contrapposte dall’appellante a
quelle esposte nella decisione gravata siano tali da inficiarne il fondamento logico giuridico

(ex plurimis,

Cass., sez.

3^, sentenza n. 18307 del 2015).

1458 cod. civ.
Il ricorrente si duole che i giudici di merito, dopo aver
dichiarato risolto il contratto inter partes

e disposto la re-

stituzione del prezzo, non avevano quantificato l’importo corrispondente al valore del possesso dell’immobile, che i promissari acquirenti Angelini e Cippone avevano mantenuto dalla
data del contratto, 15 febbraio 1991, fino alla vendita
all’asta dell’immobile, avvenuta il 6 dicembre 2002.
5.1. – La doglianza è infondata, in quanto le pronunce di
carattere restitutorio – consequenziali alla declaratoria di
risoluzione del contratto – richiedono la domanda della parte
(ex pluriznis,

Cass., sez. 3^, sentenza n. 2075 del 2013).

6. – Con il sesto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 222 cod. proc. civ. in combinato
disposto con l’art. 2702 cod. civ., nonché vizio di motivazione.
Il ricorrente censura la decisione sull’ammissibilità della querela di falso, evidenziando che la Corte territoriale
aveva motivato richiamando gli argomenti svolti dal Tribunale,
e che questi, a sua volta, erroneamente ed illogicamente non

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5. – Con il quinto motivo è dedotta violazione dell’art.

si era limitato alla verifica della regolarità formale della
querela di falso, come richiesto dall’art. 221 cod. proc.
civ., ma aveva proiettato l’eventuale esito positivo della
stessa sul procedimento.

zione di irrilevanza della scrittura privata datata 25 luglio
1990
6.1. – La doglianza è inammissibile.
La Corte d’appello ha ritenuto che l’atto di appello fosse
carente di specificità anche con riferimento alla questione
della querela di falso, e quindi non ha fatto applicazione
delle norme che disciplinano l’indicato istituto, né aveva necessità di motivare in proposito. Le considerazioni svolte
dalla stessa Corte d’appello sul merito della querela di falso
sono strumentali alla verifica della specificità dei motivi di
appello, come emerge chiaramente dal testo della sentenza
d’appello, in cui si legge che «l’appellante, con l’atto di
gravame, a pag. 12 di esso, dal rigo 1 al rigo 15, introduce
l’unico specifico motivo di doglianza, correlabile ad uno degli specifici argomenti del primo deciso». Il riferimento è
alla questione concernente la querela di falso proposta nei
confronti della scrittura privata 25 luglio 1990, che il Tribunale aveva ritenuto inammissibile per mancanza di collegamento tra la predetta scrittura e il contratto preliminare azionato dai promissari acquirenti, sicché il documento era ir-

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Il ricorrente contesta, inoltre, specificamente la valuta-

rilevante, mentre l’appellante assumeva che il collegamento
tra i due documenti era stato ammesso da Luigi Cippone, originario attore, nella difesa del 12 giugno 2000.
La Corte d’appello ha negato la portata confessoria delle

cisoria assorbente, che il Tribunale aveva escluso il collegamento logico-giuridico tra i due documenti in base a plurimi
argomenti che non risultavano censurati dall’appellante. La
decisione è dunque di carattere processuale.
7. – Con il settimo motivo è dedotta violazione e falsa
applicazione dell’art. 1224 cod. civ., per contestare la mancanza di prova del maggior danno da svalutazione monetaria,
che era stato riconosciuto a favore dei sigg. Angelini e Cippone dal giudice di primo grado e confermato dalla Corte
d’appello.
8. – Con l’ottavo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ., per contrare il riconoscimento a favore dei convenuti Angelini e Cippone dell’ulteriore danno consistito nella differenza tra il
valore dell’immobile al momento della domanda di risoluzione e
il prezzo pattuito.
8.1. – Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente per l’evidente connessione, sono inammissibili in
quanto pongono questioni di merito che la Corte d’appello non

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dichiarazioni difensive ed ha quindi rilevato, con valenza de-

ha esaminato, avendo definito inammissibile il gravame principale proposto dal sig. Mantelli.
9. – Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, come in disposi-

PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla
rifusione delle spese del presente giudizio ai controricorrenti Argentiero-Cippone, che liquida in complessivi euro
4.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di
legge, e alla controricorrente Angelini, che liquida in complessivi euro 3.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre
accessori di

legge,

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Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 12 gennaio

tivo.

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