Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4713 del 10/03/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4713 Anno 2016
Presidente: MATERA LINA
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 18037-2011 proposto da:
MUNAFO’

FRANCESCO MNFFNC38A04D661Q,

elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la CORTE di CASSAZIONE
rappresentato e difeso dall’avvocato LETTERIO
BRIGUGLIO;
– ricorrente contro

PINO CONCETTA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CRESCENZIO 62, presso lo studio dell’avvocato FLAVIO
NICOLOSI, rappresentata e difesa dall’avvocato CARMELO
BRIGUGLIO;

Data pubblicazione: 10/03/2016

- controricorrente avverso la sentenza n. 263/2011 della CORTE D’APPELLO
74/0\7
di MESSINA, depositata il 0-7-7/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/01/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUISA DE RENZIS che ha concluso per il
rigetto del ricorso spese a carico del ricorrente.

GIOVANNI LOMBARDO;

RITENUTO IN FATTO
1. — Pino Concetta convenne in giudizio Munafò Francesco,
chiedendo che fosse dichiarato risolto, per inadempimento del convenuto, il
contratto preliminare di permuta e di appalto con lo stesso stipulato (in
forza del quale ella si era obbligata a trasferire al Munafò la proprietà di un

che lo stesso Munafò avrebbe dovuto costruire sul terreno); chiese ancora
che il convenuto fosse condannato al rilascio del terreno, al pagamento
degli oneri di concessione e al risarcimento del danno.
Il convenuto resistette alle domande attoree; chiese, in via
riconvenzionale, emettersi — ai sensi dell’art. 2932 cod. civ. — sentenza
costitutiva del trasferimento della proprietà del terreno in proprio favore e
condannarsi l’attrice al risarcimento del danno.
Il Tribunale di Messina, in accoglimento delle domande attoree,
dichiarò risolto, per inadempimento del Munafò, il contratto preliminare
stipulato inter partes e condannò il convenuto al rilascio del terreno e al
risarcimento del danno in favore dell’attrice, che liquidò in euro 50 mila, da
maggiorarsi con gli interessi legali; dichiarò inammissibili le domande
riconvenzionali proposte dal convenuto, tardivamente costituitosi.
2. — Sul gravame proposto da Munafò Francesco, la Corte di Appello
di Messina confermò la pronuncia di primo grado.
3. — Per la cassazione della sentenza di appello ricorre Munafò
Francesco sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso Pino Concetta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. — Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt.
1453-1455-1460 cod. civ., nonché il vizio di motivazione della sentenza
impugnata, con riferimento al ritenuto inadempimento del Munafò alle

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proprio terreno edificabile, in cambio del trasferimento di tre appartamenti

obbligazioni assunte col preliminare stipulato il 19.6.1992 e alla ritenuta
legittimità del rifiuto della Pino — ai sensi dell’alt 1460 cod. civ. — di
stipulare il contratto definitivo di permuta.
La censura è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
Innanzitutto, va rilevato che la censura in esame fa perno su altro

pubblico del 29.7.1996), il cui contenuto non è riportato nel ricorso in
modo e in misura tale da consentire alla Corte di verificarne il collegamento
con la vicenda contrattuale oggetto del giudizio. Sotto tale profilo la
censura risulta inammissibile per difetto di autosufficienza.
Ma il motivo di ricorso risulta inammissibile anche perché mira a
censurare la valutazione della sussistenza e della gravità del ritenuto
inadempimento del convenuto, che non è sindacabile in sede di legittimità,
se non per vizi logici e giuridici della motivazione.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è
ragione di discostarsi, in materia di responsabilità contrattuale, la
valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un
contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 cod. civ.,
costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente
apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di
legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e
giuridici (Sez. 3, Sentenza n. 6401 del 30/03/2015, Rv. 634986; Sez. 2,
Sentenza n. 12296 del 07/06/2011, Rv. 617828; Sez. 3, Sentenza n. 6669
del 19/03/2009, Rv. 607358; Sez. 3, Sentenza n. 14974 del 28/06/2006, Rv.
593040); qualora poi dalle parti di un contratto preliminare vengano dedotte
reciproche inadempienze a giustificazione della mancata conclusione di un
negozio definitivo, rientra nelle attribuzioni del giudice di merito la
valutazione unitaria e comparativa dei comportamenti di ciascuna di esse e

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accordo contrattuale (stipulato tra le parti il 19.10.1991 ed eseguito con atto

l’individuazione di quale comportamento, oltre ad essere contrario a buona
fede e di non scarsa importanza, abbia inciso in modo determinante e
prevalente sulla causa del contratto, facendone venir meno l’originaria
funzione economico-sociale; tale valutazione non è sindacabile in sede di
legittimità se congruamente motivata (Sez. 2, Sentenza n. 15691 del

degli elementi indispensabili per l’applicabilità della eccezione di
inadempimento prevista dall’art. 1460 cod. civ. si risolve in un
apprezzamento di fatto demandato al giudice del merito ed è, pertanto,
insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Sez. 3,
Sentenza n. 24899 del 25/11/2005, Rv. 584823; Sez. 2, Sentenza n. 7701
del 08/09/1994, Rv. 487862).
Nella specie, la Corte territoriale ha giustificato la propria decisione
(p. 6-7 della sentenza impugnata) con una motivazione esente da vizi logici
e giuridici, cosicché il giudizio sulla ritenuta gravità dell’inadempimento
risulta incensurabile da parte di questa Corte.
2. — Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt.
1227-1453 cod. civ., nonché il vizio di motivazione della sentenza
impugnata, per avere i giudici di merito accolto la domanda di risarcimento
dei danni, che — a dire del ricorrente — sarebbero insussistenti, e per aver
riconosciuto come danno l’importo pagato per oneri di concessione edilizia.
Anche questa censura non può trovare accoglimento.
Va premesso che la risoluzione del contratto per inadempimento
comporta ex se il diritto della parte non inadempiente di chiedere il
risarcimento del danno (art. 1453 cod. civ.); i criteri da applicare per la
determinazione del danno sono quelli di cui all’art. 1223 cod. civ.; pertanto,
sono risarcibili i danni conseguenza diretta e immediata
dell’inadempimento e il danno può essere liquidato se la parte che si

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11/07/2006, Rv. 592691); anche la valutazione relativa alla sussistenza

assume danneggiata fornisce la prova della sua effettiva esistenza (Sez. 2,
Sentenza n. 8278 del 30/07/1999, Rv. 529119). Peraltro, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, alla quale va data continuità, al promittente
venditore, ritenuto adempiente essendone stata provata la disponibilità alla
stipulazione del contratto definitivo, è dovuto il risarcimento del danno

ingiustificatamente sottrattosi invece alla stipulazione, anche se non
dimostri di aver perduto, nelle more, delle possibilità concrete di vendere
l’immobile compromesso; a tal fine, infatti, deve rilevarsi che la perdita
determinata dalla sostanziale incommerciabilità del bene, in ragione della
vigenza del preliminare e per tutto il periodo intercorrente tra la sua
stipulazione e la proposizione della domanda di risoluzione, integra gli
estremi del danno, la cui sussistenza è “in re ipsa” e, quindi, non necessita
di prova (Sez. 3, Sentenza n. 25411 del 03/12/2009, Rv. 610360;
Sez. 2, Sentenza n. 13630 del 05/11/2001, Rv. 549989).
Nella specie, i giudici territoriali si sono adeguati a tali principi di
diritto fornendo una precisa motivazione della sussistenza del danno (p. 7-8
della sentenza impugnata), che risulta esente da vizi logici e giuridici; ne
consegue il rigetto della censura in esame.
3. — Col terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa
applicazione degli artt. 1226-1227-1453-1460 cod. civ., per avere la Corte
di Appello ritenuto l’esclusivo inadempimento del convenuto e non avere

riconosciuto la sussistenza dell’inadempienza dell’attrice e, quindi, il suo
concorso nell’inadempimento e nella causazione del danno.
Questa doglianza è inammissibile perché “nuova”, in quanto non
risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello, come si
evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza
impugnata (p. 4-5), che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare

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causatogli dall’ inadempimento del promissario acquirente,

specificamente nell’odierno ricorso, se incompleto o comunque non
corretto.
5. — Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente
condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle

P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese
processuali, che liquida in e 3.200,00 (tremiladuecento), di cui € 200,00
per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
Sezione Civile, addì 12 gennaio 2016.

spese processuali, liquidate come in dispositivo.

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