Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4711 del 14/02/2022

Cassazione civile sez. II, 14/02/2022, (ud. 12/10/2021, dep. 14/02/2022), n.4711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26619-2016 proposto da:

B.E.M.L., BO.EG., elettivamente

domiciliati in ARIANO IRPINO, VIA PARZANESE, 27, presso lo studio

dell’avvocato FULVIO PIRONTI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PASQUALE GIARDINO;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), IN PERSONA DEL SUO LEGALE RAPP.TE ED AMM.RE

PRO-TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA E. MANFREDI 17,

presso lo studio dell’avvocato SUSANNA MAZZA’, rappresentato e

difeso dall’avvocato AMERIGO MOTTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3559/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/10/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il giudizio trae origine dalla domanda proposta dal Condominio (OMISSIS) nei confronti dei condomini B.E.M.L. ed Bo.Eg., con la quale chiesero accertarsi l’illegittimità degli interventi dai medesimi effettuati sulle parti comuni dell’edificio, consistenti nella chiusura di una loggia prospiciente la pubblica via e la realizzazione di una bussola antistante la porta di ingresso.

1.1. Detti interventi, secondo la prospettazione del condominio ledeva anche il decoro architettonico dell’edificio.

1.2. Instauratosi il contraddittorio con la costituzione dei convenuti, il Tribunale accertò l’illegittimità delle opere e condannò i convenuti alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi.

1.3. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 28.9.2016, confermò la sentenza di primo grado.

1.4. La corte di merito rigettò l’eccezione di carenza di legittimazione passiva del condominio per difetto di conferimento del mandato da parte dell’assemblea poiché si trattava di azione proposta dall’amministratore per la tutela e la conservazione delle parti comuni dell’edificio.

1.5. La previsione del regolamento di condominio di far precedere l’instaurazione del giudizio da un tentativo amichevole di conciliazione non era causa di improcedibilità in quanto la clausola non introduceva una forma di arbitrato, né rituale, né irrituale.

1.6.La corte distrettuale non considerò rinunciata, perché non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, la domanda di eliminazione della veranda chiusa mediante serramenti fissi su uno dei balconi di proprietà esclusiva sicché, disponendone l’eliminazione, il giudice di primo grado non era incorso nel vizio di ultrapetizione.

1.7. Secondo la corte di merito, si trattava di eccezione nuova, proposta per la prima volta in appello; in ogni caso, nel foglio di precisazione delle conclusioni era stata saltata, per mera svista, una pagina contenente detto capo di domanda che, pertanto, non poteva dirsi rinunciata.

1.8. Ulteriore motivo di gravame riguardava il vizio di ultrapetizione riferito alla domanda di chiusura del loggiato su (OMISSIS) che, contrariamente alla censura degli appellanti, secondo cui mancava specifica domanda in primo grado, erano stata proposta sin dall’atto di citazione.

1.9. Nel merito, la corte accertò che i convenuti avevano realizzato una veranda a chiusura della loggia di loro esclusiva proprietà, prospiciente (OMISSIS) ed una bussola di ingresso collocata sul terrazzo condominiale in corrispondenza della parte di accesso alla loro abitazione, in tal modo ledendo il decoro architettonico in quanto il fabbricato condominiale rappresentava uno dei pochi esempi di architettura fascista presente sul territorio monzese.

1.10. Inoltre, la bussola realizzata era costituita da una struttura fissa che occupava il bene comune rendendolo parte integrante dell’unità immobiliare dei convenuti, in tal modo appropriandosi di esso ed impedendo il pari uso agli altri condomini. Detta bussola non poteva peraltro essere considerata alla stregua di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, ai sensi dell’art. 1122 bis c.c.

2. Per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto ricorso B.E.M.L. ed Bo.Eg. sulla base di sette motivi.

2.1. Ha resistito con controricorso il Condominio Novecento.

2.2. In prossimità dell’udienza, i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1130,1131 c.c. e dell’art. 77 disp. att c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito errato nel ritenere che sussistesse la rappresentanza processuale dell’amministratore del condominio, in assenza di delibera autorizzativa da parte dell’assemblea, senza considerare che il mandato dell’assemblea sarebbe stato limitato alla contestazione dell’illegittimità della costruzione sulle parti comuni condominiali e non a tutte le altre opere realizzate dai convenuti.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, l’amministratore del condominio è legittimato, senza necessità di autorizzazione dell’assemblea dei condomini, ad instaurare il giudizio relativo alle parti comuni condominiali, qualora rientrante negli atti conservativi dei diritti, ai sensi dell’art. 1130 c.c., n. 4 c.c. (ex plurimis, Cass., 12/10/2000 n. 13611).

1.3. Gli atti conservativi di cui all’art. 1130 c.c., non si esauriscono, infatti, nelle azioni cautelari, ma si estendono alle azioni a tutela dello stato di godimento della cosa comune purché non importanti una possibile disposizione della stessa (Cass., 06/02/2009 n. 3044), e non vi è dubbio che, come osservato dalla Corte d’appello, l’azione finalizzata alla tutela e conservazione delle parti comuni, tra cui rientra anche la tutela del decoro architettonico dell’edificio rientri nel paradigma indicato (Cassazione civile sez. II 24/07/2017, n. 18207).

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza d’appello per violazione degli artt. 3 e 38 del Regolamento Condominiale per violazione degli artt. 1130 e 1131 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la corte di merito dichiarato l’improcedibilità della domanda per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione, previsto dal regolamento condominiale, presso la Associazione della Proprietà Edilizia.

2.1. il motivo non è fondato.

2.2. La Corte distrettuale ha aderito alla condivisibile nozione di procedibilità, intesa quale conseguenza sanzionatoria di un comportamento procedurale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto espressamente configurato come necessario a tal fine per dare avvio al processo, ragione per la quale la condizione di procedibilità deve essere espressamente prevista.

2.3. Giova richiamare, per i fini che qui interessano, il principio secondo cui le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’art. 24 Cost.” non possono essere interpretate in senso estensivo (Cass. Civ., 21 gennaio 2004, n. 967).

2.4. Sul punto, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la clausola del regolamento di condominio che, per i casi di contrasto tra condomini, prevede l’obbligo di esperire il tentativo di amichevole composizione della lite, non integra una clausola compromissoria sicché da essa non può derivare alcuna preclusione all’esercizio dell’azione giudiziaria, giacché i presupposti processuali per la validità del procedimento sono stabiliti nel pubblico interesse e possono trovare il loro fondamento soltanto nella legge e non nella autonomia privata (Cassazione civile sez. II, 17/11/1979, n. 5985).

2.5. Nel caso di specie, la corte distrettuale, nell’interpretazione del regolamento contrattuale, che è affidata al giudice di merito, ha ritenuto che la clausola prevista dall’art. 3 del Regolamento condominiale – con cui si prevedeva che, prima di adire l’Autorità Giudiziaria, le parti dovessero rivolgersi all’Associazione della Proprietà Edilizia per cercare un componimento amichevole – non introduceva una forma di arbitrato, né rituale, né irrituale; tale clausola non era idonea a comportare una convenzionale rinuncia all’azione giudiziaria.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per ultrapetizione, per violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 112 c.p.c. perché la corte di merito avrebbe disposto la rimessione in pristino dello stato dei luoghi nonostante tale domanda fosse stata rinunciata.

3.1. Il motivo non è fondato.

3.2. La corte distrettuale non ha considerato rinunciata la domanda di riduzione in pristino delle opere illegittimamente realizzate dai convenuti in quanto, sulla base dell’interpretazione dell’atto di precisazione delle conclusioni, ha ritenuto, con interpretazione plausibile dell’atto che il Condominio non avesse manifestato la volontà di rinunciarvi e che, solo per mera svista, la pagina contenente tale domanda, non fosse stata inserita nel foglio di precisazione delle conclusioni sicché il giudice di primo grado non era incorso nel vizio di ultrapetizione.

3.3. La Corte d’appello ha spiegato che il foglio di precisazione delle conclusioni, depositato dal condominio, era carente di una pagina, come evidenziato dal salto logico tra l’ultima riga della prima pagina e la prima riga della successiva allegata alla sentenza, oltre che dalla enumerazione delle domande, che passava dalla b) della prima pagina alla f) dell’ultima, con un evidente salto logico non spiegabile diversamente se non con una mera svista di battitura e/o collazione tale da escludere la volontà di rinunciare alla domanda.

3.4. A tale conclusione la Corte distrettuale perveniva anche sulla base del contenuto della comparsa conclusionale, con cui gli attori esponevano le ragioni della domanda di rimessione in pristino dello stato dei luoghi.

3.5. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che, affinché una domanda possa ritenersi abbandonata della parte, non è sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione una mera presunzione di abbandono, mentre è necessario accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa (Cassazione civile sez. III, 03/02/2012, n. 1603).

3.6. La mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda in precedenza formulata non autorizza quindi alcuna presunzione di rinuncia in capo a colui che ebbe originariamente a proporla, essendo, a tal fine, necessario che, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente il venir meno dell’interesse a coltivarla (Cassazione civile sez. II, 14/07/2017, n. 17582).

3.7. Analogo principio è stato affermato nell’ipotesi in cui, quando la causa viene trattenuta in decisione perché sia decisa immediatamente una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, ai sensi dell’art. 187 c.p.c., il solo fatto che la parte non abbia, nel precisare le conclusioni, reiterato le istanze istruttorie già formulate non consente al giudice di ritenerle abbandonate, se una volontà in tal senso non risulti in modo inequivoco (Cassazione civile sez. III, 29/05/2012, n. 8576).

3.8. Anche in tema di abbandono o rinuncia delle istanze istruttorie in appello, questa Corte ha affermato che il solo fatto che la parte non abbia, nel precisare le conclusioni, reiterato le dette istanze istruttorie, non consente al decidente di ritenerle abbandonate, ove la volontà in tal senso non risulti in modo inequivoco (Cassazione civile sez. I, 19/02/2021, n. 4487).

4. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per ultrapetizione, in relazione all’art. 112 c.p.c., con riferimento alla chiusura del loggiato su (OMISSIS), che non sarebbe stata chiesta in primo grado.

4.1. Il motivo non è fondato in quanto la domanda risultava regolarmente proposta.

5.Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 1102 c.c. per assenza della lesione del decoro architettonico, trattandosi di costruzione che avrebbe subito diversi interventi nel tempo da parte di altri condomini, con alterazione dell’originaria estetica e del decoro, oltre a non presentare elementi architettonici di pregio. Il ricorrente sostiene, inoltre, che, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale più recente, la lesione del decoro architettonico sarebbe legato al deprezzamento dell’immobile che, nella specie, non sussisterebbe.

5.1. Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio (Cassazione civile sez. II, 11/09/2020, n. 18928; Cass. Civ., n. 14607 del 2012; Cass. Civ., n. 10350 del 2011).

5.2. Ai fini della tutela del decoro architettonico dell’edificio condominiale, non occorre che il fabbricato abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale fisionomia sia stata già gravemente ed evidentemente compromessa da precedenti interventi sull’immobile (Cassazione civile sez. II, 26/05/2021, n. 14598;Cass. Sez. 2, 13/11/2020, n. 25790; Cass. Sez. 2, 19/06/2009, n. 14455; Cass. Sez. 2, 14/12/2005, n. 27551; Cass. Sez. 2, 30/08/2004, n. 17398).

5.3. Il pregiudizio economico risulta conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico, che, costituendo una qualità del fabbricato, è tutelata – in quanto di per sé meritevole di salvaguardia – dalle norme che ne vietano l’alterazione (così Cass. Sez. 2, 31/03/2006, n. 7625; Cass. Sez. 2, 24/03/2004, n. 5899; Cass. Sez. 2, 15/04/2002, n. 5417).

5.4. L’indagine volta a stabilire in concreto se un’innovazione determini o meno l’alterazione del decoro architettonico spetta al giudice di merito, il cui apprezzamento si sottrae al sindacato di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Sez. 2, 31/07/2013, n. 18350; Ca del fabbricato ss. Sez. 2, 23/02/2012, n. 2741; Cass. Sez. 2, 11/05/2011, n. 10350; Cass. Sez. 2, 10/05/2004, n. 8852; Cass. Sez. 2, 16/05/2000, n. 6341; Cass. Sez. 2, 05/10/1976, n. 3256).

5.5. Nel caso di specie, la corte distrettuale ha ritenuto che la realizzazione di una veranda a chiusura della loggia di proprietà dei convenuti, prospiciente sulla pubblica via, e di una bussola di ingresso collocata sul terrazzo condominiale, in corrispondenza della porta di accesso alla loro abitazione, fosse lesivo del decoro architettonico in quanto il fabbricato rappresentava uno dei pochi esempi di architettura nazionale di epoca fascista nel territorio monzese e detto edificio aveva mantenuto nel tempo le caratteristiche peculiari di quel periodo storico sicché la loggia modificava il rapporto armonico delle linee mentre la bussola di ingresso, per tipologia e qualità dei materiali utilizzati, oltre che per la modifica della sagoma dell’edificio, contrastava fortemente con le caratteristiche estetiche dello stesso.

6.Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con particolare riferimento all’omessa motivazione in relazione alla realizzazione della bussola serra bioclimatica che garantirebbe la migliore salubrità dei locali, il risparmio energetico e la minore dispersione di anidride carbonica in atmosfera, con beneficio di tutto il condominio.

6.1. Il motivo non è fondato.

6.2. A norma dell’art. 1102 c.c., comma 1, applicabile al condominio negli edifici in virtù del rinvio operato dall’art. 1139 c.c., ciascun condomino può apportare a sue spese le “modificazioni” necessarie per il migliore godimento delle cose comuni, sempre che osservi il duplice limite di non alterare la destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso, secondo il loro diritto. Entro questi limiti, perciò, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti, ciascun condomino può servirsi altresì dei muri perimetrali comuni dell’edificio, del tetto e degli spazi comuni purché non ne alteri la destinazione e non leda il decoro architettonico del fabbricato, statuito espressamente dall’art. 1120 c.c. in tema di innovazioni (Cassazione civile sez. II, 13/11/2020, n. 25790).

6.3. Nel caso di specie, la corte di merito ha accertato l’occupazione stabile di oltre quattro metri dell’area comune con una struttura stabile sicché sussisteva un’appropriazione del bene condominiale, con una modifica della destinazione che precludeva l’utilizzo dell’area agli altri condomini.

6.4. Vi è stata quindi una violazione dell’art. 1102 c.c., per sottrazione di detta area alla fruizione collettiva.

7. Con il settimo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 2697 c.c. in quanto la corte non avrebbe considerato che, sulla base della documentazione, non esaminata dalla Corte d’appello, la bussola costituirebbe una serra bioclimatica, regolarmente autorizzata. In seguito all’eccezione proposta dai ricorrenti, sarebbe stato onere della Corte di merito verificare il ricorrere dell’art. 1122 bis c.c.

7.1. Il motivo non è fondato.

7.2. La Corte di merito ha ritenuto inapplicabile l’art. 1122 bis c.c., introdotto dalla L. n. 220 del 2012, con decorrenza del 18.6.2003, sia perché inapplicabile alla fattispecie ratione temporis, sia perché la bussola non poteva essere considerata un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili destinato al servizio di singole unità del condominio.

7.3. Il motivo di ricorso, lungi dal censurare la ratio posta a fondamento della decisione sotto il profilo della violazione di legge, si limita a proporre una diversa lettura degli atti di causa.

8. Il ricorso va pertanto rigettato.

8.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di cassazione, il 12 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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