Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4710 del 26/02/2010

Cassazione civile sez. II, 26/02/2010, (ud. 30/11/2009, dep. 26/02/2010), n.4710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.R., rappresentato e difeso, per procura speciale in

calce al ricorso, dagli Avvocati Raimondo Mascali e Tommaso Manzo, ed

elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, via

Cicerone n. 28, scala A int. 4;

– ricorrente –

contro

C.R. e Z.G., rappresentati e difesi, per

procura speciale a margine del controricorso, dagli Avvocati Nosari

Camilla e Raffaello Alessandrini, ed elettivamente domiciliati presso

lo studio del secondo in Roma, via del Corso n. 160;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 212/08,

depositata in data 4 marzo 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la Corte d’appello di Brescia, con sentenza depositata il 4 marzo 2008, ha rigettato l’appello proposto da M.R. avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo, che aveva rigettato le domande dallo stesso proposte nei confronti di C.R., per sentir emettere sentenza, ex art. 2932 c.c., per il trasferimento di un terreno descritto in citazione, e di Z.G., per sentirlo condannare alla restituzione di una scrittura privata sottoscritta il 7 novembre 2002 dall’attore e dalla C., e al risarcimento dei danni – domande proposte dal M. con due distinti atti di citazione, successivamente riuniti – e aveva invece accolto la domanda riconvenzionale della C., volta a sentir condannare il M. per responsabilità aggravata;

che la Corte d’appello, dopo aver premesso che il contratto preliminare avente ad oggetto beni immobili deve rivestire la forma scritta ad snbstantiam e che la prova per testimoni è ammissibile nei casi di perdita incolpevole del documento, ha rilevato che l’attore non aveva dimostrato la perdita incolpevole della scrittura privata, avendo lo stesso attore ammesso di non essere mai stato in possesso del documento, che aveva lasciato in custodia allo Z., e che, comunque, la scrittura de qua non poteva considerarsi un contratto preliminare, integrando essa una mera puntuazione delle trattative in corso tra le parti;

che per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso M. R. sulla base di tre motivi;

che, con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2724 c.c., n. 3, e art. 2725 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere interpretato le citate disposizioni, in base alle quali la prova per testimoni di un contratto che deve essere provato per iscritto è ammessa solo quando il contraente abbia senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova, nel senso che l’espressione “perduto” non potesse riferirsi anche al caso in cui la mancata disponibilità sia derivata dal rifiuto di restituirlo, opposto dal terzo che lo aveva in custodia;

che il ricorrente formula quindi il seguente quesito di diritto: “La prova per testimoni è ammessa in o-gni caso quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova, avendolo incolpevolmente affidato al mediatore del negozio di compravendita, non essendo necessario che il contraente medesimo sia stato precedentemente in possesso del documento in questione”;

che, con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1351 e 1470 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la scrittura custodita dallo Z. costituisse una mera puntuazione e non anche un contratto preliminare, essendo la sentenza, a suo avviso , insufficientemente motivata sul punto, ed enuncia la seguente questione di diritto: “un accordo scritto contenente l’esatta individuazione del bene immobile, il prezzo della vendita, l’impegno di una parte ad acquistare e dell’altra a vendere, nonchè la sottoscrizione del medesimo accordo da parte di entrambe le parti configura un contratto preliminare di vendita e non una puntualizzazione di una trattativa in corso”;

che, con il terzo motivo, il ricorrente lamenta il vizio di omessa motivazione limitatamente alla domanda di condanna dello Z. a consegnare all’attore la scrittura privata in data 7 novembre 2002 e, in caso di rifiuto dello stesso, quale custode, circa la condanna del medesimo al risarcimento dei danni;

che ha resistito con controricorso C.R., la quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso e ha chiesto la condanna del ricorrente agli ulteriori danni subiti;

che l’intimato Z.G. non ha svolto attività difensiva;

che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero.

Considerato che il precedente relatore designato, nella relazione depositata il 23 giugno 2009, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“… Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio, dovendo lo stesso essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5) o comunque rigettato per manifesta infondatezza.

Il primo motivo, con cui si censura la nozione di perdita incolpevole del documento formulata dalla decisione impugnata, è inammissibile per mancanza di interesse, posto che i giudici non si sono limitati ad escludere che ricorresse l’ipotesi della perdita incolpevole del documento ma hanno anche ritenuto che il documento de quo non integrava un contratto preliminare ma una puntuazione. Ed il secondo motivo, con cui si denuncia tale affermazione, è inammissibile, perchè si risolve in una censura dell’apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito in ordine all’accertamento che ha portato il giudice di merito a ritenere non provato che la scrittura privata fosse da considerare un contratto preliminare e, senza formulare specifiche critiche alle argomentazioni al riguardo formulate dai giudici, sollecita da parte della Corte un riesame di merito inammissibile in sede di legittimità; in ogni caso, il motivo si conclude con un quesito del tutto inconferente, posto che la questione da risolvere era proprio di verificare se nella specie si fosse in presenza di un contratto preliminare o di una puntuazione, sicchè il ricorrente avrebbe dovuto semmai censurare il relativo accertamento compiuto dal giudice di merito sotto il profilo del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 e, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il motivo avrebbe dovuto contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso e le ragioni per le quali la motivazione sarebbe viziata.

Anche il terzo motivo, con cui si denuncia l’omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, non contiene la separata e specifica indicazione del fatto controverso e delle ragioni per le quali la motivazione sarebbe viziata: in realtà, il motivo è inammissibile anche perchè, denunciando in sostanza il mancato esame della domanda proposta nei confronti dello Z., il ricorrente avrebbe dovuto non solo indicare la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa attività ma anche dimostrare, trascrivendone il contenuto, di avere con l’atto di appello formulato specifiche censure avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato anche la domanda da lui proposta nei confronti dello Z.”;

che, sulla base di queste argomentazioni, il consigliere delegato ha quindi formulato la proposta di inammissibilità o di rigetto del ricorso;

che entrambe le parti hanno depositato memoria;

che il ricorrente si è opposto alla proposta del Consigliere delegato;

che, tuttavia, nessuna delle argomentazioni svolte in tale atto difensivo appare idonea ad indurre ad una differente conclusione;

che, invero, il primo motivo di ricorso risulta inammissibile anche per la concorrente ragione che, mentre lo stesso risulta proposto al fine di introdurre una prova testimoniale sulla esistenza del documento che si assume essere stato perduto, la richiesta di una siffatta prova non era stata formulata in appello, come si desume dalle conclusioni dell’appellante riportate nella sentenza impugnata;

che, pertanto, quand’anche al quesito di diritto si intendesse dare risposta positiva, l’esito della controversia non potrebbe mutare, posto che il ricorrente non ha in sede di gravame articolato richieste istruttorie non ammesse che potrebbero essere riproposte in un ipotetico giudizio di rinvio e posto che, al contrario, una istruttoria testimoniale è già stata compiuta nel giudizio di primo grado e apprezzata dalla Corte d’appello come non idonea a supportare l’assunto del ricorrente che il documento asseritamente “perduto” avesse natura di contratto preliminare;

che, quanto al secondo motivo, deve rilevarsi che, la Corte d’appello ha dato conto delle risultanze della prova testimoniale e, sulla base di dette risultanze, ha escluso che il documento in questione potesse integrare un contratto preliminare, potendo lo stesso avere al più natura di puntuazione redatta all’esclusivo fine di attestare lo svolgimento di attività di mediazione da parte dello Z.;

che, pertanto, risulta del tutto evidente la inammissibilità del motivo di ricorso, atteso che lo stesso, lungi dall’evidenziare lacune o vizi logico-giuridici nel ragionamento del giudice del merito, sollecita in realtà una diversa valutazione delle risultanze istruttorie;

che, quanto al terzo motivo di ricorso, se può convenirsi con il ricorrente che nel ricorso risulta indicata la domanda proposta nei confronti dello Z., è altrettanto indubitabile che ciò di cui il ricorrente si lamenta è la omessa decisione sulla domanda di consegna della scrittura privata del 7 novembre 2002; censura, questa, che il ricorrente avrebbe dovuto introdurre denunciando la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

che, peraltro, sussiste una ulteriore ragione di inammissibilità del motivo, dal momento che la Corte d’appello ha chiaramente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto che il documento in questione non integrasse un contratto preliminare e che anzi costituisse un documento che lo Z. aveva fatto sottoscrivere alle parti a dimostrazione dell’avvenuto espletamento, da parte sua, di un’attività di mediazione al fine di ottenere il relativo compenso professionale, e tale ratio decidendi, non risulta in alcun modo censurata dal ricorrente;

che quanto alla richiesta di danni ulteriori avanzata dalla controricorrente – richiesta di per sè proponibile anche con controricorso (Cass., n. 24645 del 2007) -, la stessa non può trovare accoglimento, fondandosi sulla mera pretesa di prolungare nel tempo l’effetto risarcitorio già riconosciuto dalla Corte d’appello, la quale ha liquidato il danno a titolo di responsabilità aggravata per il periodo intercorso tra la sentenza di primo grado e la pronuncia della sentenza di appello, senza che siano state prospettate autonome ragioni di sussistenza dei requisiti per l’applicazione dell’art. 96 cod. proc. civ. con riferimento alla proposizione del ricorso per cassazione;

che, peraltro, non può neanche attribuirsi rilievo, ai fini in esame, alla circostanza che il ricorrente non ha formulato uno specifico motivo di censura relativamente al capo della sentenza d’appello che ha confermato la condanna a titolo di responsabilità aggravata, essendo evidente che l’eventuale accoglimento di uno dei motivi di ricorso proposti avrebbe determinato anche la caducazione del relativo capo di sentenza;

che, in conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dei controricorrenti, che si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei contro ricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2010

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