Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4707 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 21/02/2020), n.4707

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CASADONTE Anna Maria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15723-2019 proposto da:

S.V., rappresentato e difeso dall’Avvocato PAOLO DI

NOIA ed elettivamente domiciliato a Roma, presso la Cancelleria

della Corte di cassazione, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 31974/2018 della CORTE DI CASSAZIONE,

depositata l’11/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 7/11/2019 dal Consigliere DONGIACOMO GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.V., in data 19/2/2015, ha proposto domanda per il riconoscimento dell’equo indennizzo per l’irragionevole durata di processo civile, del quale era parte, in corso di svolgimento innanzi al tribunale di Trani.

La corte d’appello di Lecce, con decreto depositato il 18/5/2015, ha rigettato la domanda sul rilievo, tra l’altro, che, per l’equo indennizzo afferente il ritardo nella definizione del medesimo procedimento presupposto, una precedente istanza ai sensi della L. n. 89 del 2001 presentata dallo S. era stata rigettata dalla medesima corte con ordinanza depositata il 15/12/2014.

La corte, in particolare, ha rilevato che l’istanza di rinuncia nel primo procedimento era stata depositata quando era già scaduto il termine assegnato alla parte per integrazione documentale ed, in ogni caso, che il primo decreto di rigetto, adottato in data 15/12/2014, era stato regolarmente notificato all’impugnante e non tempestivamente opposto.

Lo S. ha, quindi, proposto, per dodici motivi, ricorso per la cassazione del decreto del 18/5/2015.

La Corte di cassazione, con ordinanza depositata in data 11/12/2018, ha rigettato il ricorso per la sua evidente infondatezza.

La Corte, in particolare, ha ritenuto “inutile l’esame delle censure mosse in ricorso” in ragione dell'”insuperabile l’argomento, pure addotto dalla Corte di merito a sostegno della sua decisione, ossia la mancata opposizione tempestiva nei riguardi del decreto di rigetto della prima domanda proposta dallo S.”: la corte d’appello, infatti, ha osservato la Suprema Corte, aveva puntualizzato che il decreto di rigetto era stato comunicato al ricorrente il 15/12/2014, per cui il termine perentorio per proporre l’opposizione era scaduto il 15/1/2015, laddove il nuovo ricorso, dal quale era scaturito “l’odierno procedimento”, era stato depositato appena il 19/2/2015. Evidente appare, ha concluso la Corte di cassazione, che “a fronte di un provvedimento definitivo di rigetto dell’istanza ex lege n. 89 del 2001, comunque, adottato dalla Corte di Lecce e ritenuto a sè pregiudizievole, era onere della parte proporre l’opposizione L. n. 89 del 2001 ex art. 5, stante il suo carattere integralmente devolutivo”: e ciò, ha aggiunto la Corte, era necessario fare “anche se il provvedimento adottato dalla Corte era ritenuto errato poichè i Giudici salentini non considerarono il deposito di istanza di rinunzia al ricorso prima della loro decisione”: “l’opposizione – infatti – è l’unico rimedio esperibile a fronte di un decreto, comunque, ritenuto errato”, deponendo in tal senso il testo dell’art. 3, comma 6, così come introdotto con la L. n. 134 del 2012, della L. n. 89 cit.: “tale norma da un lato stabilisce la non riproponibilità della domanda di indennizzo oggetto di decreto di rigetto in tutto od in parte e dall’altro come unico rimedio per evitare il verificarsi della perdita del diritto prescrive l’opposizione ex art. 5 bis medesima legge”.

Era, dunque, onere dello S., ha osservato ancora la Corte di cassazione, una volta ritenuta errata la decisione di rigetto da parte del giudice delegato del suo primo ricorso per non aver considerato la già depositata istanza di rinuncia, proporre opposizione a detto provvedimento per evitare la conseguenza della non riproponibilità di domanda omologa a quella rigettata: ciò che lo S. pacificamente non ha fatto “con la conseguenza – la concluso la Corte – che non può esser propost(a) ulteriore istanza per lo stesso procedimento presupposto… sicchè detta argomentazione esposta dalla Corte territoriale rimane, comunque, valida ed atta a sostenere ex se il decreto impugnato”.

S.V., con ricorso depositato 28/5/2019, ha chiesto, a norma dell’art. 391-bis c.p.c., la revocazione dell’ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione, articolando undici motivi.

Il Ministero è rimasto intimato.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte prende atto che il ricorrente non ha provveduto a notificare il ricorso.

2. L’art. 391-bis c.p.c., comma 1, nel testo applicabile ratione temporis, prevede che se la sentenza o l’ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore di fatto, la parte interessata, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento, può chiedere la revocazione con ricorso ai sensi degli artt. 365 e ss. c.p.c.. Ed è noto che, a norma dell’art. 369 c.p.c., il ricorso per cassazione, prima del suo deposito nella cancelleria della Corte, dev’essere (nei termini sopra indicati) notificato alle parti contro il quale è proposto. Nè, del resto, può esserne ordinata la rinnovazione a norma dell’art. 291 c.p.c., che è, infatti, consentita solo nel caso in cui la notifica sia nulla ma esistente e non anche, come nel caso di specie, inesistente.

3. Il ricorso, pertanto, dev’essere dichiarato inammissibile.

4. Nulla per le spese di lite.

5. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma dell’art. 13, comma 1-bis cit., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma dell’art. 13, comma 1-bis cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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