Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4706 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 21/02/2020), n.4706

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CASADONTE Anna Maria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHESI Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31573-2018 proposto da:

DEA COSTRUZIONI DI M.D.G. S.N.C., rappresentata e difesa

dall’Avvocato ANNA LISA BUCCI e dall’Avvocato ANDREA DI LIZIO ed

elettivamente domiciliata a Roma, via Arezzo 154, presso lo studio

dell’Avvocato FLAVIANO MINDOPI e dell’Avvocato Edoardo MINDOPI, per

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.A.R., rappresentata e difesa dall’Avvocato FRANCO

PAOLINI ed elettivamente domiciliata a Roma, piazza Addis Abeba 1,

presso lo studio dell’Avvocato ANTONIO FEGATILLI, per procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 438/2018 del TRIBUNALE DI PESCARA, depositata

il 22/3/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 7/11/2019 dal Consigliere DONGIACOMO GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale, con la sentenza in epigrafe, in parziale accoglimento dell’appello proposto, ha rigettato ogni domanda proposta dalla società attrice nei confronti di G.A.R. per il pagamento del residuo corrispettivo dovuto in conseguenza di un contratto d’appalto intercorso tra le parti.

Il tribunale, in particolare, per quanto ancora rileva, dopo aver stabilito che il corrispettivo dell’opera commissionata alla società attrice era stato convenuto dalle parti nella somma di Euro 12.000,00 e che la convenuta non aveva dimostrato di aver provveduto a contestare tempestivamente la sussistenza dei lamentati difetti; ha ritenuto che, a fronte dell’eccezione d’inadempimento o di non perfetto adempimento che la stessa convenuta aveva sollevato a norma dell’art. 1460 c.c., fosse onere della società attrice la prova di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte. Nel caso di specie, peraltro, ha aggiunto il tribunale, è risultata acquisita agli atti la prova positiva del parziale inadempimento della società appaltatrice: “la sussistenza dei vizi e difetti compiutamente allegati nell’atto introduttivo della proposta riconvenzionale ha trovato parziale conferma nelle risultanze acquisite su iniziativa della parte convenuta”.

Il tribunale, quindi, rigettata la domanda riconvenzionale di risoluzione e di riduzione del prezzo, in ragione della riscontrata decadenza della convenuta dalla garanzia prevista dall’art. 1667 c.c., ha, tuttavia, accolto l’eccezione d’inadempimento, contenuta nella domanda riconvenzionale, ed ha, quindi, rigettato la domanda della società attrice volta ad ottenere il pagamento del residuo corrispettivo dovuto.

La s.n.c. Dea Costruzione di M.D.G., con ricorso notificato il 22/10/2018, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.

Ha resistito, con controricorso notificato il 30/11/2018, G.A.M., la quale ha anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la nullità della sentenza per aver violato l’art. 112 c.p.c. e l’art. 161 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha omesso di pronunciarsi sulla domanda, che l’appellante aveva proposto, di condanna della società attrice alla restituzione di quanto pagato in esecuzione della sentenza appellata, così determinando una evidente situazione di incertezza che non lascia intravedere, nella motivazione, “quali e quante sono le somme da restituire”.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale, pur avendo rigettato la domanda riconvenzionale che la convenuta aveva proposto di risoluzione del contratto per inadempimento e di riduzione del prezzo per i pretesi vizi, sul rilievo che non era risultato accertato che la committente avesse provveduto a contestare la sussistenza dei lamentati difetti entro il termine di legge, ha, tuttavia, parzialmente accolto l’appello “nella parte relativa alla domanda riconvenzionale ex art. 1460 c.c.”, omettendo totalmente di motivare sull’eccezione che la società attrice aveva sollevato in ordine all’inesistenza dei pretesi vizi al momento della riconsegna dell’immobile a fine lavori e violando i limiti di decadenza in punto di accertamento di vizi e di inadempimento, così come disciplinati dalle norme speciali in materia d’appalto.

3. Il primo motivo è inammissibile per difetto d’interesse. L’interesse ad impugnare una statuizione giudiziale ha origine e natura processuale e perciò sorge dalla soccombenza che sussiste ogni qualvolta una domanda o eccezione non è stata, in tutto o in parte, accolta (Cass. n. 3113 del 1997). L’omessa pronuncia da parte del giudice su una domanda non può essere, quindi, impugnata dalla parte contro la quale la domanda stessa è stata proposta, non potendo a tal fine rilevare il mero interesse, che avrebbe qualsivoglia parte di ogni giudizio, alla certezza che consegue soltanto alla pronuncia, quale che essa sia, sulla domanda giudiziale.

4. Il secondo motivo è infondato. La ricorrente, infatti, non si confronta con la statuizione complessivamente assunta dal tribunale: il quale, in effetti, ha rigettato la domanda proposta dalla società attrice sul rilievo che la stessa, a fronte dell’eccezione d’inadempimento o di non perfetto adempimento che la convenuta aveva sollevato a norma dell’art. 1460 c.c., non aveva adempiuto all’onere di fornire la prova di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte. Così giudicando, il giudice di merito ha fatto buon governo del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali dettate dal legislatore attengono essenzialmente alla particolare disciplina della garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’art. 1667 c.c., ma non derogano al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, il quale comporta che l’appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, abbia l’onere – allorchè il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al comma 3 di detta disposizione – di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte (Cass. n. 936 del 2010; Cass. n. 98 del 2019). Il tribunale, peraltro, ha aggiunto che era risultata acquisita agli atti la prova positiva del parziale inadempimento della società appaltatrice: “la sussistenza dei vizi e difetti compiutamente allegati nell’atto introduttivo della proposta riconvenzionale ha trovato parziale conferma nelle risultanze acquisite su iniziativa della parte convenuta”. Ed è noto che la valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). In effetti, non è compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008).

3. Il ricorso, in definitiva, dev’essere rigettato.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

5. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, cit., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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