Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4706 del 10/03/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 4706 Anno 2016
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: DI PAOLANTONIO ANNALISA

SENTENZA
sul ricorso 1973-2013 proposto da:
FEDERICI LEO C.F. FDRLE052A0317121, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 57, presso lo
studio dell’avvocato MARCELLO GRECO, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente 2016
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contro
COMUNE DI LATINA P.I. 00097020598, in persona del
Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA SALARIA 400 INT. 2/A, presso lo studio
dell’avvocato SILVIA SCOPELLITI,

rappresentato e

Data pubblicazione: 10/03/2016

difeso dall’avvocato CESARE MANCHISI, giusta delega in
atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 9326/2011 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 10/01/2012 R.G.N. 1174/2010;

udienza del 08/01/2016 dal Consigliere Dott. ANNALISA
DI PAOLANTONIO;
udito l’Avvocato GRECO MARCELLO;
udito l’Avvocato MANCHISI CESARE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

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Svolgimento del processo

1 – Leo Federici, dipendente del Comune di Latina addetto al servizio di
trasporto urbano, con ricorso ex art. 633 c.p.c. chiedeva al Tribunale di Latina
di ingiungere alla amministrazione comunale il pagamento delle somme
dovutegli a titolo di maggiorazione per il lavoro straordinario prestato nel
periodo 2001/2004.

Comune di Latina, rilevando che quest’ultimo si era impegnato a garantire il
trattamento economico acquisito in precedenza mediante il riconoscimento di
un assegno ad personam nel quale erroneamente non era stata inclusa la
cosiddetta indennità di mansione.
2 – Avverso detta decisione proponeva appello il Comune di Latina,
eccependo la sostanziale assenza di motivazione e rilevando che il Tribunale
avrebbe dovuto considerare le disposizioni contenute nel CCNL
Autoferrotranvieri, pacificamente applicabile al rapporto, e valutare la nota del
10 maggio 2004 con la quale l’ASSTRA aveva fornito i chiarimenti richiesti,
indicando le ragioni per le quali la retribuzione oraria doveva essere
quantificata dividendo la retribuzione mensile per 195 e non per 156, come
preteso dal Federici.
3 – La Corte di appello di Roma accoglieva parzialmente l’impugnazione e
revocava il decreto ingiuntivo opposto. Osservava la Corte territoriale che,
essendo il rapporto regolato dal CCNL Autoferrotranvieri, la maggiorazione per
il lavoro straordinario doveva essere applicata sulla retribuzione oraria,
calcolata nel rispetto di quanto previsto dagli artt. 4,15 e 17 del richiamato
contratto collettivo. Aggiungeva che, evidentemente, il Comune era incorso in
errore allorquando, in passato, aveva applicato il divisore 156 previsto dal
CCNL per il comparto degli enti locali. Escludeva, inoltre, che l’appellato
potesse invocare una prassi aziendale più favorevole, sia perché detta prassi
era stata invocata tardivamente solo nelle note difensive, sia in quanto la
stessa era rimasta indimostrata.
Infine la Corte di Appello riteneva non fondata la domanda riconvenzionale di
ripetizione di indebito, riproposta dal Comune in sede di gravame, giacché il
diritto del datore di lavoro alla restituzione di somme corrisposte in eccesso
sorge solo allorquando l’errore sia essenziale e riconoscibile da parte dell’altro
contraente.

R.G. 1973/2013

Il Tribunale emetteva il decreto e respingeva l’opposizione proposta dal

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4 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Franco De Angelis
sulla base di tre motivi, illustrati da memoria. Il Comune di Latina ha resistito
con tempestivo controricorso.

Motivi della decisione

1 – Ragioni di priorità logica impongono di esaminare preliminarmente il
secondo ed il terzo motivo di ricorso, con i quali il ricorrente denuncia ex art.

e della sentenza, ex art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione degli artt. 99, 132,
324, 112, 434 c.p.c. e 2909 c.c..
Rileva il Federici

che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare

l’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi di
impugnazione, in quanto il Comune appellante non aveva in alcun modo
considerato la motivazione della sentenza impugnata e si era limitato a
reiterare le argomentazioni addotte a sostegno dell’opposizione, senza
precisare le ragioni per le quali doveva essere applicato il divisore 195 anziché
quello in precedenza utilizzato. Aggiunge che la Corte, nel fondare la decisione
su ragioni non indicate dall’appellante, avrebbe violato gli artt. 99 e 112 c.p.e.
2 – I motivi sono ammissibili.
Questa Corte ha già affermato che il difetto di specificità dell’appello, non
rilevato d’ufficio dal giudice del gravame, può essere proposto come motivo di
ricorso per cassazione dalla parte appellata, ancorché essa non abbia
sollevato la relativa eccezione nel giudizio di appello, poiché si tratta di
questione che, afferendo alla stessa ammissibilità dell’impugnazione e, quindi,
alla formazione del giudicato, è rilevabile anche d’ufficio dalla Corte di
Cassazione, salvo il limite dell’esistenza di un giudicato interno, se il giudice
d’appello s’è pronunciato e non v’è stata impugnazione (Cass. 20.8.2013 n.
19222 e negli stessi termini Cass. 21.1.2004 n. 967).
Dal principio di diritto, che va qui ribadito, discende la infondatezza della
eccezione sollevata dalla difesa del controricorrente.
Il ricorrente, inoltre, nel rispetto del principio dell’autosufficienza, ha trascritto
nel ricorso sia la motivazione della sentenza di primo grado, sia i motivi di
appello, fornendo in tal modo alla Corte tutti gli elementi necessari per
pronunciare sulla fondatezza della censura.
3. 1 – I motivi sono, però, infondati, giacchè non si ravvisa l’eccepito difetto
di specificità dell’appello.
Occorre premettere che il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa
Corte in ordine all’ambito del giudizio di legittimità, nei casi in cui venga
R.G. 1973/2013

360 n. 3 c.p.c. violazione dell’art. 434 c.p.c. nonché nullità del procedimento

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denunciato un vizio che comporti nullità del procedimento o della sentenza
impugnata, quale conseguenza del compimento di un’attività processuale
deviante rispetto al modello rigorosamente prescritto dal legislatore, è stato
sanato dalle Sezioni Unite che, con la sentenza 22 maggio 2012 n. 8077,
hanno affermato che in dette ipotesi “il giudice di legittimità non deve
limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della
motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è
investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali

conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in
particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma
1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)”.
Il principio di diritto, che va qui ribadito perché condiviso dal Collegio, è già
stato applicato da questa Corte alla eccepita violazione dell’art. 342 c.p.c., in
relazione alla quale si è affermato che, quando con il ricorso per cassazione
venga denunciato un vizio attinente all’applicazione del principio della
necessaria specificità dei motivi di appello, “il giudice di legittimità non deve
limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della
motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è
investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il
ricorso si fonda” (Cass. 10 settembre 2012, n. 15071 e negli stessi termini,
con riferimento alla eccepita violazione dell’art. 434 c.p.c., Cass. 5.2.2015 n.
2143).
3.2 – Il rispetto degli oneri imposti dall’art. 434 c.p.c., nel testo antecedente
alle modifiche apportate dal d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non richiede l’adozione
di formule sacramentali, essendo sufficiente che l’appellante esponga, anche
sommariamente, i motivi dell’impugnazione, così da consentire al giudice di
identificare i punti del provvedimento da esaminare e le ragioni, in fatto e in
diritto, per le quali il gravame è proposto ( in tal senso Cass. 11.3.2014 n.
5562).
La sentenza del Tribunale di Latina ha respinto l’opposizione con motivazione
non pertinente, richiamando l’accordo con il quale il Comune si sarebbe
impegnato ad includere nell’assegno ad personam la indennità di mansione.
Il Comune ha lamentato la erroneità della decisione evidenziando innanzitutto
la inconferenza della motivazione e rilevando che il primo Giudice avrebbe
dovuto valutare la disciplina contenuta nella contrattazione collettiva di
categoria e le indicazioni fornite dall’ASSTRA la quale, nel rispondere alla
richiesta di chiarimenti inoltrata dall’ente municipale, aveva precisato che la
retribuzione oraria doveva essere calcolata sulla base del divisore 195 ed
R.G. 1973/2013

il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in

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aveva richiamato l’art. 17 del CCNL 23 luglio 1976, come modificato dall’art.
11 del CCNL 12 marzo 1980.
Dette ragioni sono idonee a contrastare l’iter motivazionale della sentenza
impugnata, come già detto non pertinente, ed individuano con chiarezza
l’ambito della cognizione devoluta al giudice del gravame.
Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha rilevato la totale estraneità
della motivazione all’oggetto del giudizio ed ha ritenuto di dovere pronunciare
sui motivi di opposizione al decreto ingiuntivo, ritenendoli fondati.

fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 co.1 n. 5 c.p.c.”. Rileva
che il Comune di Latina aveva ammesso di avere applicato in passato un
diverso divisore, riconoscendo al personale addetto al servizio di trasporto
urbano un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla
contrattazione collettiva. Assume che la Corte territoriale non poteva limitarsi
a ritenere tardiva la allegazione dell’uso aziendale, trattandosi di questione
prospettata per contrastare “un elemento cardine dell’opposizione” e non per
modificare le ragioni poste a fondamento della domanda.
5 — Il motivo è inammissibile.
Giudicando in fattispecie analoga questa Corte ha evidenziato che ” ove la
sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome,
ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la
decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile,
per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo
divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe
produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Sez. U, n. 7931 del
29/03/2013; Cass. n. 3386 del 11/02/2011; Cass. n. 2811 del 08/02/2006).
Nel caso in esame il motivo censura solo una delle rationes decidendi poste
dalla Corte di merito a fondamento del rigetto della pretesa del dipendente. In
particolare, il motivo non investe l’affermazione contenuta nella impugnata
sentenza secondo cui non era stata neppure fornita la prova della sussistenza
dell’uso aziendale invocato e del fatto che detto uso non poteva essere
integrato dalla semplice reiterazione di comportamenti non accompagnata da
un intento negoziale, inesistente nel caso de quo.” ( Cass. 17.3.2014 n.
6083).
Dette conclusioni, alle quali la Corte era già pervenuta con le sentenze nn.
3646/2014, 3647/2014, 5850/2014, 5851/2014, pronunciate tutte in
fattispecie analoghe, devono essere qui ribadite, in quanto il giudice di appello
non si è limitato a ritenere tardiva la allegazione dell’uso aziendale, ma ha
anche ritenuto che l’eccezione fosse rimasta indimostrata, richiedendo l’uso
R.G. 1973/2013

4 — Con il primo motivo il ricorrente denuncia “omessa motivazione su un

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aziendale uno specifico intento negoziale non desumibile solo dalla
reiterazione del comportamento.
Non possono assumere rilievo, ai fini della ammissibilità del ricorso, le
osservazioni contenute nella memoria ex art. 378 c.p.c. circa la apoditticità
della impugnata sentenza, nella parte in cui ha ritenuto non dimostrata la
prassi aziendale.
Come già evidenziato da questa Corte nelle decisioni sopra richiamate, la

chiarire i motivi della impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi
avversarie, e con la stessa non possono essere dedotte nuove censure ne’
sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio, e neppure può
essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di
ricorso (Sez. U. n. 11097 del 15/05/2006; Cass. n. 28855 del 29/12/2005;
Cass. n. 14570 del 30/07/2004).
6 – Il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento

delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in
dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente ai pagamento delle spese del
giudizio di legittimità liquidate in C 100,00 per esborsi ed C 2000,00 per
competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15%, ed accessori
di legge
Così deciso in Roma l’8 gennaio 2016
1 Consigliere estensore

….. —

Il Pre

te

memoria ex art. 378 c.p.c. è destinata esclusivamente ad illustrare ed a

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