Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4705 del 28/02/2018


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Cassazione civile, sez. I, 28/02/2018, (ud. 12/10/2017, dep.28/02/2018),  n. 4705

Fatto

1. – N.G. proponeva opposizione ex art. 617 c.p.c. al precetto notificatogli dalla Curatela del Fallimento (OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS): precetto con cui era stato intimato il pagamento della somma di Euro 102.314,84 in forza del titolo esecutivo costituito da un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Bari. Assumeva l’istante, per quanto qui rileva, la nullità del precetto per omessa indicazione del provvedimento che aveva disposto l’esecutorietà del decreto monitorio, giusta la previsione di cui all’art. 654 c.p.c., comma 2.

Il Fallimento resisteva all’opposizione assumendo che risultavano integrati i requisiti minimi sufficienti per l’individuazione del titolo esecutivo azionato col precetto; rilevava, altresì, di aver indicato che il decreto ingiuntivo era divenuto esecutivo per effetto dell’estinzione del giudizio di opposizione e di avere altresì menzionato la data di apposizione della formula esecutiva.

Il giudizio era definito con sentenza pronunciata il 26 aprile 2012 a norma dell’art. 281 sexies c.p.c., dopo che il difensore della curatela, una volta precisate le conclusioni e discussa la causa, aveva chiesto il rinvio di quest’ultima ad altra udienza. Con sentenza in pari data, quindi, il Tribunale accoglieva l’opposizione, dichiarando la nullità del precetto intimato, e condannava l’opposta al pagamento dei due terzi delle spese processuali sostenute dall’opponente.

2. – La sentenza è impugnata per cassazione dal Fallimento (OMISSIS) con un ricorso articolato in quattro motivi. N.G. non ha svolto difese nella presente sede. Il pubblico ministero ha rassegnato le proprie conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Deve premettersi che è pervenuta presso la cancelleria della Corte una istanza, a firma del professionista che si qualifica difensore di N., avente ad oggetto il differimento della trattazione del ricorso in camera di consiglio. In tale istanza si fa riferimento al decesso del difensore della Curatela.

Rileva il Collegio che l’istanza deve ritenersi irrituale, dal momento che è corredata di una semplice copia, non quindi dell’originale, della procura speciale che sarebbe stata conferita al difensore di N.G.. In ogni caso, il decesso menzionato nell’atto non assume rilievo nel giudizio di legittimità e, del resto, la fissazione dell’adunanza in camera di consiglio è stata regolarmente comunicata al procuratore domiciliatario del Fallimento, giusta l’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

2. – Il primo motivo lamenta errores in procedendo, avendo riguardo alla violazione e falsa applicazione dell’art. 281 sexies c.p.c. e dell’art. 35 disp. att. c.p.c.. Deduce il ricorrente che il Tribunale, nel negare il richiesto rinvio della discussione orale ad altra udienza, aveva violato un proprio diritto, posto che l’immediata decisione della causa poteva aver luogo solo se entrambe le parti vi avessero consentito. Lo stesso istante si duole, altresì, dell’illegittimità della condotta processuale del giudice di prime cure, il quale avrebbe dovuto dare immediata lettura della sentenza: ciò che non era accaduto. Infine, rileva il ricorrente che la sentenza impugnata non faceva corpo con il verbale dell’udienza, ma conteneva, al suo interno, il solo foglio della precisazione delle conclusioni.

2.1. – La prima delle indicate censure è inammissibile, dal momento che il ricorrente non indica quale sia stato, in concreto, il pregiudizio da lui sofferto per effetto del mancato differimento dell’udienza di discussione: e cioè quali particolari argomenti difensivi – diversi da quelli fatti valere all’udienza del 26 aprile 2012, allorquando la causa fu decisa – egli avrebbe apportato alla discussione che si sarebbe tenuta in una data successiva. Va qui ricordato che dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume quello per cui la denunzia di vizi dell’attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio, con la conseguenza che l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorchè nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (Cass. 12 dicembre 2014, n. 26157; Cass. 7 febbraio 2011, n. 3024; Cass. 23 febbraio 2010, n. 4340): ne discende che la parte che propone ricorso per cassazione facendo valere un vizio dell’attività del giudice, lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato Cass. 12 dicembre 2014, n. 26157 cit.; Cass. 23 febbraio 2010, n. 4340 cit.).

La questione incentrata sul rilievo per cui la lettura della sentenza non si porrebbe in rapporto di stretta consecuzione temporale con la discussione orale della causa è priva di fondamento. Dallo stesso verbale di udienza, riprodotto, nella parte che interessa, nel ricorso, emerge che il giudice provvide alla suddetta lettura dopo aver trattato la causa ed essersi ritirato in camera di consiglio: incombente, quest’ultimo, necessitato dalla spendita dell’attività deliberativa che precede la pubblicazione della sentenza e che è perciò inidoneo ad interrompere la relazione sequenziale, imposta per legge, tra la discussione della causa e la lettura del dispositivo, oltre che delle ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.

Inammissibile è, infine, la terza censura. Se è vero che la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. non è atto distinto dal verbale di causa che la contiene e nel quale il giudice inserisce la redazione del dispositivo e dei motivi della decisione, come si ricava, in particolare, dall’art. 35 disp. att. c.p.c., nel testo novellato dal D.Lgs. n. 51 del 1998, art. 117 (Cass. 7 maggio 2009, n. 10501; Cass. 9 gennaio 2004, n. 118), è altrettanto vero che la contestazione, in sede di legittimità, dell’accorpamento della decisione al verbale – quale che possa essere la rilevanza, sul piano delle conseguenze processuali, di tale evenienza – imponeva alla parte di dar conto, nel ricorso, del preciso contenuto del verbale di udienza, in modo da porre la Corte di cassazione nelle condizioni di prendere conoscenza del vizio denunciato (e ciò in conformità del principio per cui ove sia denunciato un error in procedendo, la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, ha l’onere di riportare, nel ricorso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale: per tutte: Cass. 30 settembre 2015, n. 19410). Nella fattispecie, l’istante ha mancato di fornire elementi da cui potesse desumersi che il verbale di udienza non facesse corpo con la sentenza impugnata: è anzi da sottolineare come il passaggio del predetto verbale – trascritto, come si è visto, dal ricorrente – in cui il giudice ha dato atto della lettura del dispositivo e dei motivi della decisione faccia ritenere l’esatto contrario; infatti, il provvedimento, proprio in quanto richiamato nel verbale, è venuto a costituirne, di fatto, parte integrante.

3. – Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 480,654 e 653 c.p.c.. Assume il ricorrente che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto il precetto carente dell’esistenza e dei dati identificativi del provvedimento che aveva disposto l’esecutorietà del decreto ingiuntivo: infatti, nel precetto era stato precisato che, essendo stata dichiarata l’estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, quest’ultimo aveva acquistato efficacia esecutiva e che in data 24 maggio 2011 l’ingiunzione era stata munita della relativa formula.

3.1. – Con il terzo mezzo il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento anche agli artt. 653 e 654 c.p.c.. Deduce che la pronuncia si fonderebbe sull’erroneo presupposto che le indicazioni contenute nell’atto di precetto non fossero sufficienti a integrare le condizioni prescritte dalle norme richiamate.

3.2. – Il secondo motivo è fondato e ciò determina l’assorbimento del terzo.

Il Tribunale ha ritenuto che il precetto fosse nullo per la mancata menzione, in esso, del provvedimento che aveva disposto l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, così come previsto dall’art. 654 c.p.c., comma 2.

Nel precetto opposto la Curatela aveva però evidenziato che il giudizio di opposizione era stato dichiarato estinto con ordinanza dell’Il febbraio 2010, che l’ingiunzione aveva di conseguenza acquistato efficacia esecutiva e che la formula esecutiva era stata apposta il 24 maggio 2011.

Tali indicazioni sono da ritenere senz’altro idonee a integrare la richiesta menzione del provvedimento che ha disposto l’esecutorietà e l’apposizione della formula (per una fattispecie simile, si veda, in motivazione, Cass. 30 maggio 2007, n. 12731, che ha ritenuto validamente intimato il precetto contenente la data della pronuncia del decreto ingiuntivo, quella della notificazione di esso e quella in cui il decreto era divenuto provvisoriamente esecutivo, con implicita attestazione dell’apposizione della formula esecutiva). E infatti, l’enunciazione della estinzione del procedimento di opposizione e l’indicazione del provvedimento con cui era stata concessa l’esecutorietà al decreto consentivano alla controparte, cui era stato notificato il precetto, di avere contezza del fatto che tale atto si riferiva a una pretesa consacrata in un provvedimento (il decreto ingiuntivo) che aveva assunto il valore di titolo esecutivo.

Mette conto di aggiungere che questa Corte è pervenuta ad analoghe conclusioni in fattispecie del tutto analoga, in cui parte ricorrente era proprio l’odierna Curatela (Cass. 24 aprile 2015, n. 8402, non massimata).

4. – Il quarto mezzo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., nonchè erronea ed insufficiente motivazione. Osserva l’istante che la controparte era risultata integralmente soccombente con riferimento alla domanda risarcitoria di cui all’art. 96 c.p.c. e che, ricorrendo una reciproca soccombenza, le spese di causa avrebbero dovuto essere compensate per l’intero.

Anche tale motivo risulta assorbito, stante la fondatezza del secondo mezzo di censura.

5. – Quest’ultimo va conclusivamente accolto, mentre il primo deve essere invece respinto; i restanti sono invece assorbiti.

La sentenza è cassata con riferimento al motivo accolto. Non ravvisandosi la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, in applicazione dell’art. 384 c.p.c., rigetta l’opposizione.

Segue la condanna dell’opponente al pagamento delle spese di causa (quelle del merito e quelle del giudizio di legittimità).

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo, dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione; condanna l’opponente al pagamento delle spese del primo grado del giudizio, liquidate in Euro 2.000,00 (di cui Euro 50,00 per esborsi), oltre accessori, come per legge, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, comprensivi degli esborsi, liquidati in Euro 200,00, maggiorate delle spese forfettarie, nella misura del 15 per cento, e degli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2018

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