Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4704 del 23/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/02/2017, (ud. 20/01/2017, dep.23/02/2017),  n. 4704

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6537/2014 proposto da:

D.L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

GRACCHI 137, presso Io studio dell’avvocato MARIO FRANCHI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO M. PETTINELLI, giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE di TERAMO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 63, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRO MARINI, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSANDRA GUSSAGO, giusta procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1176/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA

del 5/11/2013, depositata il 09/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 20/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. MAGDA

CRISTIANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1) La Corte d’appello di L’Aquila, accogliendo l’appello proposto dal Comune di Teramo contro la sentenza di primo grado, ha respinto la domanda avanzata da D.L.A. nei confronti dell’ente appellante, di risarcimento del danno subito per l’occupazione sine titulo di una striscia di terreno di sua proprietà, che, a suo dire, era stata irreversibilmente trasformata in una strada soggetta a pubblico passaggio.

La corte del merito ha affermato che era pacifico che la PA non avesse mai occupato la striscia di terreno in questione, che era stata invece destinata a strada dallo stesso D.L. al fine di consentire l’accesso alla via pubblica del fondo di sua proprietà e di altri fondi con esso confinanti.

Ha inoltre rilevato che la domanda non avrebbe potuto trovare accoglimento neppure interpretandola come volta ad ottenere un risarcimento non già per un’insussistente occupazione usurpativa, ma per l’acquisizione del manufatto al patrimonio comunale, atteso che non v’era alcun elemento istruttorio che sorreggesse la conclusione del CTU nominato dal tribunale, secondo cui la strada, benchè costruita da D.L., era stata assoggettata all’uso pubblico.

Ha infine osservato che il Tribunale aveva erroneamente dato risalto all’obbligo del Comune di acquisire le aree sulle quali i privati avevano realizzato opere di urbanizzazione primaria ed alla destinazione conferita al terreno dal PRG, successivo di molti anni all’instaurazione del giudizio, atteso che le condizioni cui era subordinata l’acquisizione non si erano mai avverate ed il piano era decaduto e che, in ogni caso, detto piano prevedeva la cessione gratuita dei terreni al fine del rilascio delle concessioni edilizie.

La sentenza, pubblicata il 9.12.013, è stata impugnata da D.L.A. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui il Comune di Teramo ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno ricevuto tempestiva notificazione della proposta e del decreto di cui all’art. 380 bis c.p.c..

Il Comune ha depositato memoria.

2) Con tutti e tre i motivi il ricorrente contesta gli accertamenti su cui si fonda la decisione impugnata, ma non indica qual è il fatto decisivo, oggetto di contraddittorio fra le parti, che la corte avrebbe omesso di valutare e che, se considerato, avrebbe condotto all’accoglimento della domanda.

In particolare, la circostanza dell’avvenuta acquisizione della strada al patrimonio comunale non risulta desumibile dal riferito contenuto dei documenti provenienti dal Comune di Teramo che D.L. avrebbe prodotto in giudizio, il cui esame è peraltro precluso a questa Corte, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto il ricorrente non li ha specificamente allegati al ricorso e non ne ha indicato l’esatta collocazione processuale.

Ogni altro argomento illustrato da D.L. è totalmente privo di specifici riferimenti agli atti e ai documenti di causa.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 6.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per stessa impugnazione.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2017

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