Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4703 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 21/02/2020), n.4703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22137-2017 proposto da:

R.G., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato ROSELLA

GIANNINI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.R., domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di cassazione e rappresentata e difesa dall’avvocato CIRO

GHERARDO TRABALZA giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 126/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 16/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/10/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

R.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Terni la sorella R.R. al fine di procedere allo scioglimento della comunione ereditaria derivante dal decesso dei comuni genitori.

Il giudice adito all’esito dell’istruttoria aveva predisposto un progetto di divisione con la formazione di due lotti, ognuno dei quali comprendente una porzione del fabbricato sito in Alviano, disponendo che si dovesse procedere al sorteggio in attesa del passaggio in giudicato della decisione sulla divisione, ed aggiungendo che nelle more i condividenti avrebbero continuato a fruire dei beni con le stesse modalità con le quali ne avevano fruito in precedenza. Avverso tale decisione proponeva appello R.R., e la Corte d’Appello di Perugia con la sentenza n. 126 del 16 febbraio 2017, in parziale riforma della decisione gravata, disponeva la divisione dei beni come indicato in motivazione, con esclusione di qualsiasi obbligo reciproco derivante da parti comuni dei beni non previsti nel progetto di divisione, confermandola nel resto e compensando le spese del grado.

Quanto alla formazione del progetto di divisione, per il quale si era reso necessario disporre una CTU in appello, la Corte distrettuale escludeva che fosse applicabile l’art. 720 c.c., in quanto i beni erano divisibili ed entrambi i condividenti avevano una quota di identico valore.

Nel merito osservava che era da condividere l’elaborato d’ufficio il quale prendeva atto dell’esistenza di numerose irregola r.’ urbanistiche per l’immobile di Alviano, con la conseguenza che era da preferire la soluzione della sua non comoda divisibilità anche in ragione della difficoltà di conseguire la sanatoria urbanistica, occorrendo anche tenere conto della necessità per la divisione, di creare delle servitù reciproche, con evidenti disservizi, anche alla luce della conflittualità esistente tra i condividenti.

Quindi riportava in sentenza le tabelle riepilogative come predisposte dal CTU, che prevedevano la formazione di due quote, del pari suscettibili di sorteggio, ma al passaggio in giudicato della sentenza.

Infatti, ribadiva che la pronuncia di divisione ha efficacia dichiarativa e costitutiva e produce i suoi effetti definitivi solo al passaggio in giudicato, il che determinava l’inammissibilità dell’appello incidentale dell’attore che contestava l’affermazione del giudice di primo grado secondo ognuno dei condividenti avrebbe continuato a godere dei beni come in precedenza, posto che si trattava di una conseguenza del principio che esclude la provvisoria esecutorietà delle sentenze di divisione, occorrendo altresì considerare che non costituiva un capo autonomo.

Avverso tale sentenza propone ricorso R.G. sulla base di tre motivi.

L’intimata resiste con controricorso.

Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza in quanto contiene un dispositivo che rinvia per relationem ad una parte illeggibile della motivazione.

Assume la parte che nel rinviare all’approvazione del progetto di divisione come indicato nella parte motiva della sentenza, si rinviava anche alle tabelle ivi riprodotte che però risultano illeggibili il che rende la sentenza affetta da nullità.

Il motivo è infondato, posto che nella stessa parte motiva si chiarisce che le tabelle riportate graficamente in motivazione, sono la riproduzione di quelle predisposte dal CTU, alle cui conclusioni la stessa Corte d’Appello intendeva rifarsi.

Ne deriva che, tramite il rinvio fatto dalla stessa sentenza al contenuto della CTU, anche laddove volesse ritenersi che le tabelle riportate nella sentenza siano di difficile lettura (ed ad avviso della Corte si tratta solo di difficoltà di lettura e non di assoluta impossibilità di coglierne il contenuto), non può ritenersi affetta da invalidità la sentenza che rinvii per relationem al contenuto di un atto comunque individuabile quale la consulenza tecnica d’ufficio (cfr. Cass. n. 28647/2013; Cass. n. 7364/2012), potendosi in ogni caso le parti verificare quale fosse l’effettivo contenuto del progetto di divisione, tramite la disamina del documento al quale i giudici hanno fatto rinvio.

Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 718 e 727 c.c., in quanto la divisione approvata avrebbe negato il diritto di ogni condividente a ricevere beni omogenei, e soprattutto in presenza di un immobile, quale quello in Alviano che già risulta essere composto di due unità suscettibili di autonomo godimento.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha anche di recente affermato che (Cass. n. 25888/2016) in tema di divisione giudiziale di compendio immobiliare ereditario, l’art. 718 c.c., in virtù del quale ciascun coerede ha il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le modalità stabilite nei successivi artt. 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell’art. 720 c.c., non solo nel caso di mera “non divisibilità” dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano “comodamente” divisibili e, cioè, allorchè, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l’aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l’aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell’intero (conf. Cass. n. 3635/2007, per l’ipotesi in cui le singole potenziali porzioni sarebbero risultate gravate da tre servitù incidenti, come tali, in senso peggiorativo sul loro valore effettivo; Cass. n. 8493/2012).

Il giudice di appello, sulla scorta delle indicazioni offerte dall’ausiliario di ufficio, oltre a valorizzare le difficoltà legate alla necessità di pervenire ad una non semplice regolarizzazione del bene dal punto di vista urbanistico, ha altresì considerato la necessità di dover creare delle servitù reciproche a carico delle porzioni che si vorrebbe ricavare dall’attuale unico fabbricato, idonee come tali ad influire anche sulla stima dei beni.

Trattasi all’evidenza di valutazioni di fatto che, anche perchè supportate da logica e coerente motivazione, non sono suscettibili di contestazione in sede di legittimità, palesandosi in tal modo come in realtà il motivo, dietro l’apparente denuncia di violazione di legge, miri nella sostanza a contestare la valutazione dei fatti come operata dal giudice di merito, nell’esercizio del compito allo stesso affidato in maniera esclusiva.

Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione delle norme in tema di inammissibilità dell’appello incidentale e dell’art. 112 c.p.c..

Anche tale motivo appare destituito di fondamento.

Ed, invero, come riferito dallo stesso ricorrente, non risultava proposta nel corso del giudizio di merito domanda di rendiconto nè era stato contestato il possesso medio tempore esercitato dai condividenti sui beni singulatim goduti.

Ne deriva che appare del tutto condivisibile il giudizio espresso dalla Corte distrettuale, secondo cui l’affermazione del Tribunale per cui, sino al passaggio in giudicato della sentenza di divisione ed al conseguente sorteggio, ognuno dei comunisti avrebbe continuato a godere con le stesse modalità con le quali ne aveva fruito in passato, lungi dal legittimare un godimento immune dalle pretese di rendiconto eventualmente suscettibili di essere avanzate, ma a questo punto, in separata sede, voleva esclusivamente ribadire che solo con l’attribuzione della proprietà esclusiva, con il conseguente diritto al godimento della porzione in concreto assegnata (effetti evidentemente ricollegabili al passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento della comunione), sarebbe venuta meno l’attuale modalità di fruizione dei beni.

Trattasi quindi di affermazione effettivamente priva di portata decisoria, ma esplicativa solo di uno degli effetti riconducibili alla natura dichiarativa-costituiva della sentenza di divisione, e che, oltre a non trovare corrispondenza in un capo autonomo a carattere decisorio, lascia comunque impregiudicata la possibilità per il condividente che ritenga di essere stato pregiudicato dalle modalità di godimento dei beni manente comunione, di agire per la resa dei conti dei frutti percepiti dall’altro condividente.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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