Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 470 del 14/01/2010

Cassazione civile sez. II, 14/01/2010, (ud. 10/11/2009, dep. 14/01/2010), n.470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.C. (OMISSIS), P.G.,

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARIA

CRISTINA 8, presso lo studio dell’avvocato GOBBI GOFFREDO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SIGARI GIACOMO;

– ricorrenti –

contro

ALPENMOBEL SRL, in persona dell’Amministratore delegato e legale

rappresentante pro tempore Sig. M.P., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 285, presso lo studio

dell’avvocato MANUNZA GIANFRANCESCO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PICCOLI GIUSEPPE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1530/2003 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 17/10/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

10/11/2009 dal Consigliere Dott. BURSESE Gaetano Antonio;

udito l’Avvocato Luisa GOBBI, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato Goffredo GOBBI, difensore dei ricorrenti che si riporta

agli atti;

udito l’Avvocato MANUNZA Gianfranco, difensore del resistente che si

riporta anch’egli agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 3 – 6.11.78 C. e P.G. convenivano in giudizio la srl Alpenmobel al fine di ottenere il pagamento del loro residuo credito derivante dalla fornitura e posa in opera della pavimentazione industriale in calcestruzzo, eseguita da essi attori nel capannone industriale di proprietà di quest’ultima, utilizzando il materiale fornito dalla stessa committente.

Resisteva la convenuta deducendo di aver sospeso il pagamento in questione avendo riscontrato gravi vizi nell’opera de qua; chiedeva il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna degli attori, al pagamento della somma di L. 170.000.000, previo accertamento dei vizi denunciati e quantificazione del conseguente minor valore del manufatto.

Previo svolgimento dell’istruttoria – nel corso della quale venivano ascoltati testimoni ed espletate c.t.u. – l’adito tribunale di Treviso, con sentenza n. 734/2000 depos. in data 20.6.2000, accertava il residuo credito degli attori in L. 3.246.805 ed il credito della convenuta a titolo di risarcimento dei danni in L. 41.800.000, operando in tal modo la compensazione tra i due crediti; condannava pertanto i P. al pagamento in solido della somma di L. 38.553.195, oltre interessi, con la compensazione delle spese processuali al 50%.

Avverso la suddetta decisione, C. e P.G. proponevano appello deducendo la loro mancanza di responsabilità nella produzione dei lamentati vizi, peraltro neppure tempestivamente denunciati, per cui il giudice di prima istanza avrebbe dovuto ritenere inattendibili sia i testi escussi che le c.t.u. espletate;

chiedevano, dunque, che l’adita Corte d’Appello di Venezia, condannasse l’appellata al pagamento della somma di L. 3.246.805, con interessi legali e rivalutazione. Si costituiva quest’ultima spiegando appello incidentale in ordine all’entità del danno liquidato, atteso che il contributo eziologico dei P. alla produzione del danno in questione doveva ritenersi compreso nell’ambito dell’80% e non del 50% come ritenuto di tribunale.

Chiedeva inoltre la riforma della pronuncia per quanto attinente alle spese, ingiustamente compensate per il 50%.

L’adita Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 1530/03 depositata in data 17.10.03, rigettava l’appello principale ed accogliendo quello incidentale, condannava gli appellanti al pagamento della maggior somma di Euro 43.000,00, con gli interessi legali oltre al pagamento delle spese del doppio grado. La corte in modo particolare riteneva che la responsabilità dell’appaltatore per i vizi denunciati era solo sua di talchè non potevano esserci diminuenti correlate a valutazioni eziologiche circa la produzione dei danni.

Avverso l’indicata decisione C. e P.G. propongono ricorso per Cassazione articolato sulla base di 5 mezzi; resiste la società intimata con controricorso, illustrato da successiva memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 1667 c.c., comma 2 e dell’art. 2697 c.c.;

deducono che il giudice a quo aveva erroneamente ritenuta provata la tempestività della denuncia per vizi attraverso la diffida per il mancato rispetto del termine di fine lavori del 30.5.77 e tramite l’escussione dei testi M. e Mo..

Con il 2 motivo i ricorrenti denunciano l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo. Si deduce – ma solo genericamente – che la sentenza è viziata nella motivazione per le medesime ragioni di cui al primo motivo a da intendersi qui integralmente riportate.

Con il 3 motivo i ricorrenti denunciano l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo. Si sostiene che il giudice d’appello, valutando in modo discutibile le risultanze peritali e le dichiarazioni testimoniali, ha ritenuto sussistere la responsabilità della ditta Piva, considerando quest’ultima responsabile di aggiunte all’impasto di grossi quantitativi d’acqua che avrebbe poi causato i difetti della pavimentazione unitamente agli inerti di non buona qualità utilizzati per il calcestruzzo, forniti dalla stessa committente. Si sottolinea in specie che la Corte territoriale non aveva esaminato correttamente il motivo d’appello dei P. volto a provare l’assenza della loro responsabilità sulla scorta di precisi elementi probatori documentali, peritali e testimoniali. In realtà non sarebbe stata dimostrata l’aggiunta dell’acqua al calcestruzzo al momento della sua posa in opera da parte dell’appaltatore (circostanza questa non riportata nelle bolle di consegna prodotte), mentre la cattiva riuscita dell’opera era attribuibile prevalentemente – se non esclusivamente – alla scadente quantità dei conglomerati impiegati forniti dalla committenza.

Le suindicate censure – da esaminarsi congiuntamente stante la loro connessione – sono manifestamente infondate. A parte la censurabitità delle doglianze sotto il profilo dell’autosufficienza, non v’è dubbio che sono riservate al giudice di merito sia l’interpretazione che la valutazione del materiale probatorio, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento; per cui è insindacabile in sede di legittimità “il peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di 2 grado è pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. n. 1554 del 28.1.2004). Peraltro quando si tratta di accertare fatti storici allegati dalle parti a sostegno delle rispettive pretese, i vizi di motivazione non possono consistere nella contrapposizione tra valutazione delle prove fatta dal primo giudice e valutazione enunciata nella sentenza impugnata, sollecitando cioè, un inammissibile nuovo giudizio di merito, senza indicare invece in modo specifico i vizi logici e giuridici della motivazione (Cass. n. 11462 del 19.06.04).

Con il 4 motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1663 c.c. atteso che la deficienza di granulometria e conseguentemente l’eccesso d’acqua derivante da ciò, non era avvertibile dall’appaltatore perchè di non evidente rilevanza, come del resto ritenuto dal CTU. Osserva il Collegio che la doglianza in questione è priva di pregio, per le stesse ragioni sopra esposte.

D’altra parte l’appaltatore risponde dei difetti dell’opera avendo accettato senza riserve i materiali fornitegli dal committente, che presentavano vizi o difformità che egli avrebbe potuto e dovuto conoscere essendo “un tecnico dell’arte” (Cass. n. 10580 del 10.12.1994).

Con il 5 motivo infine i ricorrenti denunciano l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo, in quanto la Corte d’Appello non avrebbe spigato e motivato, atteso il contrasto palese tre le due consulenze tecniche eseguite, quale delle due risultanze avesse ” maggiore credibilità tecnico – scientifica”.

Il motivo è inammissibile in quanto del tutto privo di autosufficienza, mancando una sia pur minima indicazione del contenuto delle due perizie; d’altra parte il giudice a quo ha ampiamente motivato il proprio pensiero circa la responsabilità dell’appaltatore e l’inesistenza del concorso di colpa del committente, con riguardo al materiale fornito per l’espletamento dell’opera.

Giova al riguardo ricordare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte “il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5 sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. S. U, n. 5802 del 11/06/1998; n. 16459 del 20/08/2004; (Cass. n. 15489 del 11/07/2007; n. 5797 del 17/03/2005;

n. 1380 del 25/01/2006; n. 11126 del 11/06/2004; n. 23929 del 19/11/2007; n. 18119 del 02/07/2008). Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato; le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2010

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