Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4699 del 25/02/2011

Cassazione civile sez. I, 25/02/2011, (ud. 17/01/2011, dep. 25/02/2011), n.4699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8028/2005 proposto da:

F.E. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ALBALONGA 7, presso l’avvocato CLEMENTINO

PALMIERO, rappresentato e difeso dall’avvocato DE NOTARIIS Giovanni,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.N.A.S. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 11/2005 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 25/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/01/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Campobasso,con sentenza del 25 gennaio 2005 ha respinto l’opposizione di F.E. contro la stima dell’indennità per l’occupazione temporanea e poi per l’espropriazione da parte dell’ANAS, di un fondo di sua proprietà ubicato nel territorio di quel comune per realizzare un collegamento tra la S.S. (OMISSIS) e la S.S. (OMISSIS), in quanto: a) il terreno non aveva natura edificatoria, essendo incluso dallo strumento urbanistico di quel comune in zona cui era stata attribuita destinazione agricola;

b) neppure poteva essere applicato il criterio di stima differenziale di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 40, per l’ipotesi di espropriazione parziale, perchè dei due terreni residui generati dal viadotto uno avrebbe potuto continuare ad essere coltivato; mentre il secondo di modeste dimensioni era stato occupato da una società privata.

Per la cassazione della sentenza il F. ha proposto ricorso per due motivi,illustrati da memoria; cui resiste l’ANAS con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il F., deducendo violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e del T.U. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, censura la sentenza impugnata: a) per aver ritenuto la natura agricola del fondo in base al principio dell’edificabilità di diritto, senza contemperarlo con quello della c.d. edificabilità di fatto cui pure avevano fatto riferimento la sent .5/1980 della Corte Costituii Regolamento menzionato dallo stesso art. 5 bis che doveva definirne il contenuto,nonchè il parere dell’A.P. del Cons. st.

68/1996 in ordine allo schema regolamentare di edificabilità di fatto; b) per non aver considerato che anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la nota decisione 172/2001 avevano recepito una nozione ampia di edificabilità comprendente anche quella non abitativa in cui ben poteva essere inquadrato il fondo espropriato dotato di tutti gli elementi peculiari della c.d. edificabilità di fatto.

Con il secondo motivo,deducendo violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 40, si duole che non sia stato applicato il criterio di stima differenziale previsto dalla norma malgrado l’espropriazione avesse generato due aree residue non più coltivabili come del resto accertato dal c.t.u. anche perchè frazionate e rese incomunicabili dal viadotto stradale.

Il Collegio ritiene fondata soltanto quest’ultima censura.

Il F. con il primo motivo ripropone pedissequamente la problematica insorta per effetto della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, soprattutto con riguardo alla interpretazione del comma 3, secondo cui “per la valutazione della edificabilità delle aree si devono considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti…”: risolta come riferito dallo stesso ricorrente dalla nota decisione 172/2001 delle Sezioni Unite di questa Corte, la quale: 1) ha riconosciuto che la stima dell’indennizzo espropriativo è caratterizzato nella nuova normativa dalla rigida dicotomia, che non lascia spazi per un tertium genus, tra “aree edificabili” (indennizzabili in percentuale del loro valore venale) ed “aree agricole” o “non classificabili come edificabili” (tuttora indennizzabili in base a valori agricoli tabellari ex L. n. 865 del 1971); 2) ha attribuito alla particella “e” un valore cumulativo anzicchè disgiuntivo che lega ed armonizza le possibilità giuridiche con quelle effettive enunciando la regola che – un’area va ritenuta edificabile quando, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici, secondo un criterio di prevalenza o autosufficienza della edificabilità legale; 3) ha affermato, infine, che la c.d. edificabilità “di fatto” rileva esclusivamente in via suppletiva per determinare la natura dell’area, in carenza di strumenti urbanistici; nonchè allorquando questa sia stata ritenuta “legalmente edificabile”, in via complementare (ed integrativa), agli effetti per determinare il concreto valore di mercato dell’area espropriata ( ove ritenuta legalmente edificabile).

Pertanto siccome nel caso la sentenza impugnata ha accertato ed il ricorrente specificamente confermato che il comune di Campobasso era dotato di P.R.G. che aveva incluso il terreno F. in zona N, avente destinazione agricola,nessun dubbio può sussistere sulla esclusione della sua natura edificabile: non recuperabile neppure invocando le decisioni della CEDU e la nota sentenza 348/2007 che hanno tutte per oggetto aree con destinazione legale edificatoria;

nonchè il principio giurisprudenziale per cui l’edificabilità non comprende solo quella residenziale, ma anche tutte le trasformazioni del suolo riconducibili alla nozione tecnica ed economica di edificazione; in quanto detto principio non vale ad attribuire natura edificatoria ad aree in relazione alle quali lo strumento urbanistico esclude tale qualità, ma solo ad enucleare le possibili tipologie in cui detta destinazione si traduce, allorchè da esso riconosciuta e consentita, nonchè ad evidenziare la diversa edificabilità di fatto, e quindi il valore degli immobili in funzione del tipo di costruzione consentita (Cass. 29768/2008; 16161/2007; 11741/2006).

E tuttavia ciò non significava necessariamente che l’indennizzo dovesse essere calcolato applicando il criterio della L. n. 865 del 1971, art. 16, relativo ai V.A.M. all’area espropriata estesa mq.

835,poichè questa faceva parte di un fondo unitario più esteso pari a mq. 3.865, impiantato a seminativo e rimasto suddiviso in conseguenza dell’espropriazione in 3 porzioni, non comunicanti tra di loro; per cui il primo compito del giudice di merito era quello di accertare la sussistenza o meno di un’azienda agricola, perciò danneggiata dall’ablazione: posto che il precedente art. 15, stabilendo con riferimento all’espropriazione di terreni agricoli, che l’indennità deve essere determinata anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola, introduce quale componente essenziale di essa anche il ristoro del pregiudizio subito dall’azienda, considerata nel suo complesso, per effetto dello smembramento cagionato dal provvedimento ablativo.

Tale indagine doveva essere compiuta a maggior ragione dato il carattere parziale dell’espropriazione e della sopravvivenza di due terreni residui,posto che la L. n. 2359 del 1865, art. 40, impone in tal caso l’applicazione del criterio di stima differenziale (o altro dagli effetti equipollenti) non già soltanto se il fondo relitto o i fondi residui siano rimasti interclusi, o non siano comunque accessibili per essere coltivati come ha mostrato di credere la Corte di appello, bensì tutte le volte in cui venga accertato: a) che la parte residua del fondo, o quelle residue siano intimamente collegate con quella espropriata da un vincolo strumentale ed obiettivo tale da conferire all’intero immobile unità economica e funzionale; b) che il distacco di una parte di esso influisca oggettivamente in modo negativo sulla parte o sulle parti residue (Cass. 23967/2010;

10217/2009; 9041/2008; 3175/2008).

La sentenza impugnata che non si è attenuta a questi principi, limitandosi tra l’altro a rilevare che una delle porzioni relitte era stata occupata da terzi, per escluderne l’indennizzabilità, va pertanto cassata, con assorbimento della censura relativa alla prospettata differenza tra l’indennità stimata dalla Commissione provinciale e quella accertata giudizialmente; e rinvio anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Campobasso che in diversa composizione provvederà agli accertamenti suddetti nonchè a rideterminare gli indennizzi dovuti al ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Campobasso in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2011

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