Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4697 del 18/02/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/02/2019, (ud. 10/10/2018, dep. 18/02/2019), n.4697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19995-2017 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

132, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CURRO’, rappresentato

e difeso dall’avvocato CARMELITA ALVARO;

– ricorrente –

contro

CITTA’ METROPOLITANA DI REGGIO CALABRIA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE STRACUZZA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 118/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 21/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/10/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO

COSENTINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il signor L.G. ha proposto ricorso, sulla scorta un solo motivo, per la cassazione della sentenza n. 118/2017 della corte di appello di Reggio Calabria che, confermando la pronuncia del tribunale della stessa città, ha respinto la sua domanda di declaratoria di usucapione di un appartamento posto all’interno dell’ex brefotrofio provinciale di Reggio Calabria; tale appartamento era stato detenuto dal nonno di L.G., in qualità di custode del brefotrofio, fino al 1971 e, successivamente, era stato detenuto direttamente da L.G., dapprima con sua madre e i suoi fratelli e, dal 1984, da solo.

La corte distrettuale ha giudicato infondata la domanda del sig. L. sul rilievo che l’immobile non poteva formare oggetto di usucapione, in quanto apparteneva al patrimonio indisponibile dell’ente convenuto, facendo parte di un fabbricato destinato, dapprima, a brefotrofio e, successivamente, a pubblici uffici; nè, d’altra parte, secondo la corte calabrese, il comportamento dell’Amministrazione consentiva di configurare alcuna ipotesi di sdemanializzazione tacita. Sotto altro aspetto, l’impugnata sentenza argomenta che, poichè dalle risultanze anagrafiche emergeva come il L. risiedesse nell’immobile de quo dal 1990, al dì della domanda giudiziale (avanzata nel 2007) non risultava maturato il ventennio necessario per l’usucapione. Ancora, secondo la corte territoriale, il L. non aveva dimostrato il compimento di atti di interversione della sua detenzione (quale erede del custode) in possesso.

La Città Metropolitana di Reggio Calabria, già Provincia di Reggio Calabria ha depositato controricorso.

La causa è stata chiamato all’adunanza di camera di consiglio del 10 ottobre 2018, per la quale non sono state depositate memorie.

Il ricorso per cassazione si fonda su un unico motivo, articolato nel duplice profilo del vizio di violazione di legge (con riferimento agli artt. 823 e seguenti, artt. 1141 e 1158 c.c.) e del vizio di “insufficiente valutazione di questioni di fatto riguardanti l’interversione del possesso e la sdemanializzazione tacita, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Secondo il ricorrente la corte d’appello non avrebbe adeguatamente valutato le risultanze che qualificavano come possesso il potere da lui esercitato sull’appartamento e, in particolare, il fatto che egli lo aveva occupato, aveva compiuto sullo stesso opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, lo aveva adibito ad uso privato ed abitativo, dotandolo dei relativi accessori necessari per risiedervi; nel mezzo di ricorso si argomenta altresì, per un verso, l’irrilevanza delle risultanze anagrafiche ai fini dell’accertamento del possesso, e, per altro verso, l’inidoneità delle diffide dell’Amministrazione ad interrompere il possesso stesso. Ancora, il ricorrente afferma che da oltre vent’anni l’immobile aveva perso la sua destinazione pubblica, cosicchè esso avrebbe formato oggetto di sdemanializzazione tacita.

Il ricorso è infondato.

La deduzione del vizio di violazione di legge va disattesa perchè nel ricorso non si individua alcuna regola di diritto, contrastante con le disposizioni sopra menzionate, di cui la corte territoriale abbia fatto applicazione – espressamente enunciandola o anche senza enunciarla – ai fini della propria decisione. Il ricorrente, in sostanza, contesta gli accertamenti di fatto contenuti nella sentenza gravata (in punto di insussistenza di atti del L. di opposizione all’Ente proprietario e in punto di inidoneità della condotta di quest’ultimo a manifestare la volontà di dismissione dell’immobile dal proprio patrimonio indisponibile), non le conseguenze giuridiche che da tali accertamenti sono stati tratti dalla corte calabrese.

Il secondo profilo non può trovare accoglimento perchè risulta difforme dal paradigma fissato dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012. La doglianza non individua specifici fatti storici il cui esame sarebbe stato omesso dalla corte territoriale ma richiede una rivalutazione complessiva del materiale istruttorio che non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità; anche nella vigenza del precedente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, del resto, si era chiarito (cfr. Cass. n. 7972/07) che la parte non può censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2019

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