Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4692 del 23/02/2017

Cassazione civile, sez. II, 23/02/2017, (ud. 31/01/2017, dep.23/02/2017),  n. 4692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11672-2012 proposto da:

R.E., ((OMISSIS)) in proprio nonchè in qualità di legale

rappresentante della R.E. E C.R. S.n.c. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 9,

presso lo studio dell’avvocato GIORGIO DE ARCANGELIS, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

D.P. E D.M. S.n.c., in sigla Pasticceri D.

S.n.c. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CRISTIAN PEDOT;

– controricorrente –

e contro

R.M.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 352/2011 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 16/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato GIORGIO DE ARCANGELIS, difensore dei ricorrenti, che

si è riportato agli atti depositati;

udito l’Avvocato PAOLO PANARITI, difensore della controricorrente,

che ha chiesto l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Corte d’Appello di Trento, con sentenza 16.12.2011 ha respinto il gravame proposto da M.F. ed R.E. contro la sentenza del locale Tribunale (sez. dist. Cavalese) che aveva – su domanda della snc D.P. e D.M. e per quanto qui ancora interessa – disposto la costituzione di una servitù di passaggio coattivo a piedi e con mezzi a favore della p.f. (OMISSIS) dell’attrice nella parte adibita a copertura parcheggio, ed a carico della p.f. (OMISSIS) di proprietà dei convenuti R. (immobili ubicati nel comune di (OMISSIS)), subordinatamente al pagamento di una indennità di Euro 21.000,00. La Corte d’Appello ha altresì confermato la pronuncia di rigetto della domanda riconvenzionale con cui si lamentava l’immissione senza autorizzazione delle tubazioni della società attrice in quelle del camino di cui i convenuti erano comproprietari chiedendosene il distacco.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione R.E., in proprio e quale L.R. della R.E. e C.R. snc sulla base di otto motivi (erroneamente numerati sino a nove), a cui resiste la società D. con controricorso.

R.M.F. non ha svolto difese in questa sede.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1-2 Premesso che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella decisione (non richiedendosi attività nomofilattica nel presente giudizio), si rileva che col primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 1051 c.c. nonchè motivazione illogica, insufficiente e contraddittoria in ordine ad un punto decisivo della controversia (interclusione parziale).

Col secondo motivo si deduce motivazione contraddittoria e illogica su punti controversi e decisivi per il giudizio: precedente stato dei luoghi, interclusione originaria e interclusione conseguente a scelte del proprietario del fondo intercluso.

Le due censure sono suscettibili di trattazione unitaria per il comune riferimento al tema dell’interclusione: la prima è infondata e la seconda è in parte infondata e in parte inammissibile.

Secondo un orientamento più volte espresso dalla Corte ed oggi ribadito da questo Collegio, in tema di servitù di passaggio coattivo, il principio secondo il quale il terreno intercluso deve essere preso in considerazione unitariamente al fine di verificare l’esistenza dell’interclusione è applicabile nel caso in cui, dal punto di vista morfologico, esso presenti una conformazione tale da far ritenere che le singole parti del fondo siano facilmente accessibili l’una dall’altra (e ciò, qualunque sia la destinazione economica di ogni parte), poichè, in tal caso, ove il fondo non fosse considerato unitariamente ma per parti separate, in presenza di un accesso esistente alla via pubblica, la richiesta di costituzione di un passaggio coattivo, anche se connessa ad una diversa destinazione economica delle distinte parti di fondo, si risolverebbe nel reclamare l’imposizione di un peso a carico del fondo altrui dettato da prevalenti ragioni di comodità, atteso che il passaggio dall’una all’altra parte del terreno non sarebbe ostacolata da alcunchè (v. sez. 2, sentenza n. 4147/2012 non massimata; v. altresì’ Cass. 13-9-2004 n. 18372; Cass. 28-102009 n. 22834). Quando, viceversa, tale accessibilità non risulti praticabile perchè il dislivello tra la parte superiore del fondo attraversata dalla strada rotabile comunale e la parte sottostante, posta a livello inferiore, rende oggettivamente tale parte non facilmente accessibile all’altra, la considerazione unitaria del fondo deve venir meno, perchè l’ostacolo naturale, in realtà, separa quella parte del fondo dall’altra, cioè divide il suddetto fondo idealmente in due parti distinte. Ne consegue, in tale ipotesi, che, al fine di consentire o meno la costituzione di una servitù coattiva di passaggio carrabile sul fondo altrui, l’esame deve necessariamente spostarsi sulla verifica della possibilità di collegare la parte separata del fondo all’altra (nella specie a quella servita dalla strada rotabile comunale), accertando se tale collegamento può conseguirsi senza eccessivo dispendio o disagio; e solo ove tale verifica ed accertamento abbiano esito negativo, la costituzione della servitù coattiva di passaggio può ritenersi consentita (Cass.13-9-2004 n. 18372).

Nel caso in esame, la Corte territoriale ha accertato che le singole parti del fondo della società D. non erano accessibili l’una all’altra e che conseguentemente veniva meno la considerazione unitaria del fondo dominante, perchè anche prima della costruzione dell’immobile l’appellata società non poteva accedere alla via pubblica in quanto “vi era un muretto di contenimento del dislivello che delimitava la sua proprietà”. La Corte d’Appello ha dunque ravvisato l’interclusione di porzione della p.f. (OMISSIS) (l’area adibita a piazzale), tenuto conto della differenza di quota (mt. 3,50) tra la stessa e quella compresa tra l’edificio p.f. (OMISSIS) e la strada provinciale e del fatto che l’angustia della porzione antistante alla strada pubblica non consente la creazione di un accesso pedonale o carraio per il collegamento del piazzale superiore alla strada provinciale. Sulla scorta di tali elementi di fatto, ricavati dalle risultanze peritali, la Corte di merito ha poi ritenuto che la realizzazione di un accesso pedonale e carraio alla strada pubblica avrebbe richiesto interventi di sbancamento del fondo a livello superiore con eccessivo dispendio e disagio (v. pagg. 10 e 11 sentenza impugnata).

Una volta esclusa la possibilità della realizzazione di un accesso diretto senza dispendio e disagio, la Corte d’Appello si è poi confrontata con l’accertamento della corrispondenza della servitù al conveniente uso del fondo dominante laddove ha affermato che l’area, benchè destinata a verde, comunque non è dotata di accesso alla strada pubblica e, che la costituzione della servitù di parcheggio è condizione per il mutamento di destinazione.

Questa prima ratio decidendi, assolutamente autonoma ed in grado di sorreggere da sola la decisione sulla necessità della servitù di passaggio, appare del tutto in linea con i suindicati principi giurisprudenziali perchè basata appunto, attraverso un tipico apprezzamento di fatto, sulla verifica in concreto della impossibilità di soluzioni alternative non dispendiose e, conseguentemente, sulla giustificazione della servitù ai fini del conveniente uso del fondo.

Anche sotto il profilo motivazione la decisione appare del tutto esauriente e priva di vizi logici e quindi immune dalla critica di parte ricorrente: del resto, secondo il costante orientamento di questa Corte, anche a sezioni unite – ed oggi ribadito – la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014 Rv. 629382).

A questo punto si rivela inammissibile per difetto di interesse la restante censura (contenuta nel secondo motivo) con riferimento all’interclusione conseguente a scelte edificatorie del proprietario del fondo intercluso.

Come infatti più volte affermato da questa Corte Suprema qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012 Rv. 621882 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006 Rv. 590852 – 01).

3-4-5-6-7-8 Col terzo motivo (erroneamente indicato in ricorso col n. 4) si lamenta illogicità della motivazione sulla inutilizzabilità della servitù di passo carraio;

Col quarto motivo (erroneamente indicato col n. 5) si denunzia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e illogicità e insufficienza della motivazione sulla compromissione del diritto alla sopraelevazione.

Col quinto motivo (erroneamente indicato col n. 6) si denunzia illogicità della motivazione sulla stabilità degli edifici sottostanti.

Col sesto motivo (erroneamente indicato col n. 7) si denunzia illogicità e insufficienza della motivazione circa la misura dell’indennità in relazione alla perdita del diritto di sopraelevazione.

Col settimo motivo (erroneamente indicato col n. 8) si denunzia illogicità della motivazione circa l’illegittimità dell’immissione nelle tubazioni del camino degli appellanti – Domanda riconvenzionale.

Con l’ottavo ed ultimo motivo (erroneamente indicato col n. 9) si denunzia infine illogicità della motivazione sulla richiesta di ammissione delle prove.

Il comune riferimento, nei predetti motivi, al vizio di motivazione della sentenza, rende opportuna una trattazione unitaria degli stessi che, al pari dei precedenti, si rivelano infondati, avendo la Corte d’Appello motivato adeguatamente e in maniera coerente, sotto il profilo logico, su tutte le questioni oggetto di censura.

Sulla dedotta inutilizzabilità della servitù di passo carraio per ragioni urbanistiche (terzo motivo), già si è detto nella trattazione delle precedenti censure e pertanto si rinvia alle considerazioni ivi esposte.

Quanto al tema della compromissione del diritto alla sopraelevazione e alla stabilità degli edifici sottostanti (quarto e quinto motivo), la Corte d’Appello ha motivato il suo convincimento sulla infondatezza delle relative censure (peraltro ripetitive di rilievi già sottoposti e valutati dal CTU) osservando che la servitù non comporta limitazioni di natura urbanistica oltre quelle esistenti e che le conseguenze prospettate dagli appellanti ai fini della eventuale creazione di posti auto sono del tutto ipotetiche in quanto prive di supporto probatorio sulla fattibilità urbanistica del’intervento e ha negato al riguardo anche una consulenza ritenendola di natura esplorativa; Sulla censura relativa alla compromissione alla stabilità la Corte ha negato l’esistenza di rischi basandosi sui rilievi peritali (che ha riportato), e sul diritto di prevedere limiti al transito pesante (v. pagg. 14 e ss.).

Sulla congruità dell’indennità (sesto motivo) la Corte territoriale ha motivato rilevando, sempre sulla scorta delle risultanze peritali, che la servitù non comportava nè perdita di posti auto nè limitazioni di natura urbanistica, mentre la parte appellante non aveva argomentato le ragioni della ritenuta insufficienza. (v. pagg. 19 e 20).

Sulla questione dell’allaccio al camino, oggetto di domanda riconvenzionale (settimo motivo di ricorso) la Corte ha motivato il rigetto della censura (e dunque la correttezza della decisione di rigetto della riconvenzionale) in base al principio dell’onere probatorio, citando le fonti del proprio convincimento e cioè le dichiarazioni testimoniali del tecnico comunale (circa l’utilizzo da parte della società di autonomi sfiati), le affermazioni rese dalla stessa R. nell’interrogatorio formale (sulla ubicazione in proprietà altrui della tubazione del camino oggetto di riconvenzionale) e sulla inutilità di accertamenti peritali a fini meramente esplorativi (pagg. 17 e 18), come peraltro già affermato a pag. 15 con riferimento al tema della compromissione del diritto alla sopraelevazione, così prendendo posizione anche sulla questione – oggi ripresentata con l’ultimo motivo di ricorso – riguardante appunto la richiesta di nomina di un CTU in appello, di cui la Corte di merito ha dato comunque conto in linea con la giurisprudenza di questa Corte che richiede pur sempre una motivazione.

Trattasi, come si vede di un percorso argomentativo completo e logicamente coerente, come tale immune dalla critica dei ricorrenti, che – lungi dall’evidenziare quelle gravi ipotesi in cui si sostanza il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (v. in proposito la giurisprudenza citata sopra, nella trattazione delle prime due censure) – si risolve in una contestazione di natura prettamente fattuale e finalizzata ad una alternativa ricostruzione delle risultanze di causa, dunque incompatibile con la natura del giudizio di legittimità: ciò comporta inevitabilmente il rigetto del ricorso con ulteriore addebito di spese a carico della parte soccombente.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2017

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