Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4690 del 23/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/02/2017, (ud. 31/01/2017, dep.23/02/2017),  n. 4690

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12024-2012 proposto da:

M.L., (OMISSIS), B.D. (OMISSIS), Z.N.

(OMISSIS), D.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA G. PISANELLI 4, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

GIGLI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO

SCALETTARIS;

– ricorrenti –

contro

C. ENGINEERING S.r.l. in liquidazione, (c.f. (OMISSIS)) già C.

Engineering, in persona del legale rappresentante e liquidatore

geom. C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

GENTILE DA FABRIANO 3, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE

CAVALIERE, che la rappresenta e difende unizamente all’avvocato

FRANCESCA MORETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 40/2012 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 12/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato GIUSEPPE GIGLI, difensore dei ricorrenti, che si

riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato RAFFAELE CAVALIERE, difensore della

controricorrente, che si riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 All’esito del giudizio di merito promosso nel 2004 davanti al Tribunale di Udine dalla C. Engineering srl contro M.L., B.D., Z.N. e D.V., la Corte d’Appello di Trieste, con sentenza 12.1.2012 – decidendo sui gravami contro la sentenza di primo grado proposti in via principale dai convenuti e in via incidentale dalla società (frattanto posta in liquidazione) – ha respinto il primo e in accoglimento del secondo, ha riformato parzialmente l’impugnata pronuncia, disponendo che la servitù coattiva di passaggio sui fondi dei convenuti appellanti ed a favore di quello della società (servitù già costituita dal Tribunale), sia comprensiva, oltre che del transito, anche delle opere di urbanizzazione primarie.

Per giungere a tale soluzione la Corte territoriale ha rilevato:

– che la richiesta di servitù riguardava tutti i fondi dei convenuti per cui, con la avvenuta specificazione dei mappali interessati non vi era stata nessuna introduzione di domanda nuova;

– che essendo i fondi tutti di proprietà degli appellanti, non si riusciva a comprendere la portata della censura contenuta nel secondo motivo di appello sulla necessità di una pronuncia riguardanti tutti i fondi intercludenti;

– che il percorso individuato risultava idoneo al transito e preferibile rispetto a vie alternative;

– che le opere di urbanizzazione a cui si riferivano gli attori erano quelle primarie e non quelle secondarie, per cui andava riformata in tal senso la pronuncia di primo grado;

– che l’indennità appariva congrua e la condanna alle spese si giustificava con la soccombenza dei convenuti.

Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione il M. e gli altri tre soccombenti sulla base di sette motivi, a cui resiste la società in liquidazione con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Premesso che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella decisione (non richiedendosi attività nomofilattica), si rileva che col primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 101 c.p.c.: a loro avviso, sia il Tribunale che la Corte d’Appello sono incorsi nel vizio di ultrapetizione per avere costituito la servitù coattiva di passaggio pedonale e carraio anche a carico dei mappali (OMISSIS), in assenza di tempestiva domanda della società attrice (che aveva limitato la sua richiesta ai soli mappali (OMISSIS), provvedendo solo in corso di causa ad ampliare la domanda).

Il motivo è infondato.

L’interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata, avendo riguardo all’intero contesto dell’atto, senza che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della sua formulazione letterale nonchè del contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire, senza essere condizionato al riguardo dalla formula adottata dalla parte stessa (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 14751 del 26/06/2007 Rv. 597467 – 01; Sez. L, Sentenza n. 5491 del 14/03/2006 Rv. 590044 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9011 del 06/05/2015 Rv. 635266 – 01).

La Corte di appello ha accertato che la domanda dell’attrice era stata formulata in modo generico, tale da comprendere tutti i fondi di proprietà dei convenuti e che pertanto la specificazione in ordine ai numeri dei mappali non costituiva nessuna domanda nuova.

La motivazione appare congrua perchè considera giustamente, in linea con il citato principio, l’intero contenuto della domanda (al riguardo va osservato che, come si ricava dallo stesso ricorso a pagg. 4 e 5, le conclusioni degli attori anche in citazione terminavano sempre con la richiesta di individuazione di un passaggio più breve e meno pregiudizievole per l’uscita sulla via pubblica).

La pronuncia pertanto si sottrae alla censura mossa dai ricorrenti che si limitano a sostenere una alternativa e riduttiva interpretazione omettendo però – in violazione del principio di autosufficienza – di riportare proprio il dato decisivo per la soluzione della questione, cioè l’esatto contenuto dell’atto di citazione davanti al Tribunale di Udine, non essendo certamente sufficiente richiamare le sole conclusioni e dare poi per scontato ciò che scontato non è affatto, cioè la proposizione di una domanda di contenuto minore che si rivelasse priva di ogni utilità pratica.

1.2 Col secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1051 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5): la Corte d’Appello non avrebbe motivato sulla censura con cui, estendendosi un principio affermato anche dalle sezioni unite in tema di fondi intercludenti appartenenti a diversi proprietari, si sollevava la questione dell’inammissibilità della domanda per perchè non riguardante tutti i fondi che si frappongono tra quello intercluso e la pubblica via.

Anche tale motivo è logicamente assorbito dalle considerazioni svolte in precedenza sulla portata della domanda e comunque, in linea di principio, privo di fondamento: come chiarito dalle sezioni unite – l’azione di costituzione coattiva di servitù di passaggio deve essere contestualmente proposta nei confronti dei proprietari di tutti i fondi che si frappongono all’accesso alla pubblica via, realizzandosi la funzione propria del diritto riconosciuto al proprietario del fondo intercluso dall’art. 1051 c.c. solo con la costituzione del passaggio nella sua interezza. Ne consegue che, in mancanza, la domanda va respinta perchè diretta a far valere un diritto inesistente, restando esclusa la possibilità di integrare il contraddittorio rispetto ai proprietari pretermessi (v. Sez. U, Sentenza n. 9685 del 22/04/2013 Rv. 625962 – 01).

Nel caso di specie, però, non si verte in tale ipotesi perchè i giudici di appello, con tipico apprezzamento in fatto, certamente qui non sindacabile, hanno accertato che “i fondi sono tutti di proprietà degli appellanti” (e sul punto convengono gli stessi ricorrenti), per cui resta ancora una volta solo il problema dell’interpretazione della domanda di cui si è trattato nell’esame del precedente motivo.

3 Col terzo motivo si lamenta violazione e/o errata applicazione dell’art. 1051 cc in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 riproponendosi la questione dell’inidoneità della striscia di terreno al transito perchè di lunghezza (metri 4,00) inferiore a quella di mt. 61,50 imposta dalla normativa locale.

Il motivo è innanzitutto privo di autosufficienza perchè omette di riportare proprio i dati che ne costituiscono il fondamento, cioè l’esatto contenuto dei vari atti amministrativi a cui si richiama, non essendo sufficiente un generico richiamo alla larghezza minima di transito.

Solo per completezza va rilevato che i giudici di merito (v. pagg. 5 sentenza) non hanno imposto creazione di strade, ma hanno individuato il tracciato in una stradina già esistente e utilizzata dalle parti, dando atto dell’esistenza di una concessione edilizia che ne tiene conto, cioè di un atto della pubblica amministrazione che deve presumersi legittimamente rilasciato.

4 Col quarto motivo si lamenta violazione e/o errata applicazione dell’art. 1051 cc in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè difetto e/o insufficienza di motivazione su un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 criticandosi la scelta del percorso da destinare al transito, essendovi vie alternative più convenienti non prese in considerazione.

Anche tale motivo è privo di fondamento sia perchè si risolve in una tipica censura in fatto sull’individuazione del passaggio più conveniente, che certamente non rientra tra i compiti del giudice di legittimità, sia perchè in violazione dell’onere di specificità ed autosufficienza, omette anche di trascrivere i passaggi della relazione di CTU contenenti l’indicazione di vie alternative.

In ogni caso, è bene ricordare che secondo il costante orientamento di questa Corte, anche a sezioni unite – ed oggi ribadito – la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014 Rv. 629382).

Ebbene, nel caso di specie si è certamente fuori da tali ipotesi estreme perchè la Corte d’Appello ha motivato adeguatamente sulla preferenza accordata al tracciato individuato dal primo giudice, evidenziando la minore lunghezza del percorso prescelto (la metà) e la preesistenza di una stradina privata già utilizzata dalle parti, evitandosi così di fatto uno spoglio di superfici (v. pag. 5 sentenza impugnata).

5 Col quinto motivo si lamenta violazione e/o erronea applicazione dell’art. 1032 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 censurandosi la decisione nella parte in cui, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha disposto che la servitù coattiva debba comprendere, oltre al transito, anche le opere di urbanizzazione primaria.

Il motivo è innanzitutto inammissibile nella parte in cui introduce questioni di diritto che non risultano previamente sottoposte ai giudici di merito, come ad esempio il tema della tipicità delle servitù coattive; per il resto, si rivela privo di fondamento perchè la Corte d’Appello, nell’affermare che la servitù si riferisse alle opere di urbanizzazione primaria (fognatura e rete idrica), ha interpretato la domanda dell’attrice che estendeva la richiesta di servitù anche “al passaggio delle opere di urbanizzazione”: la Corte di merito si è quindi limitata ad accogliere l’appello incidentale della società che aveva evidenziato l’errore in cui era incorso il Tribunale nel riferirsi, invece, alle opere di “urbanizzazione secondaria”.

6 Col sesto motivo i ricorrenti denunziano violazione e/o errata applicazione degli artt. 1053 e 1038 cc in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, dolendosi dell’ammontare dell’indennità per la costituzione della servitù coattiva.

Tale motivo è inammissibile per difetto di specificità (art. 366 c.p.c., n. 4) perchè omette di riportare un dato assolutamente rilevante ai fini della comprensione della censura: l’esatta impostazione del motivo di appello sulla indennità per la costituzione della servitù. Dalla sentenza impugnata risulta infatti la formulazione, da parte degli appellanti, solo di una generica doglianza sulla mancata considerazione del danno derivante dall’invasione del fondo sul quale insisteva la loro casa (sesto motivo di appello riportato a pag. 4 della sentenza) e al riguardo la risposta data dai giudici di merito appare adeguata nel considerare congrua la somma in considerazione del non grave disagio arrecato stante la assenza di diminuzione di superfici o di volumetria edificatoria.

7 Con l’ultima censura (la settima) i ricorrenti denunziano, infine, violazione e/o errata applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, dolendosi della condanna alle spese, a loro dire ingiusta, perchè, essendo stata accolta solo la domanda proposta in via subordinata dall’attrice, sarebbe stata più equa una compensazione parziale.

Questa censura segue la sorte di tutte le altre perchè non considera la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, posto dall’art. 91 c.pl.c., di porre anche parzialmente le spese a carico della parte vittoriosa o nel caso di compensazione delle spese stesse fra le parti adottata con motivazione illogica o erronea, mentre in ogni altro caso e in particolare ove il giudice, pur se in assenza di qualsiasi motivazione, abbia compensato le spese o al contrario le abbia poste a carico del soccombente, anche disattendendone l’espressa sollecitazione a disporne la compensazione, la statuizione è insindacabile in sede di legittimità, stante l’assenza di un dovere del giudice di motivare il provvedimento adottato, senza che al riguardo siano configurabili dubbi di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 111 Cost. (v. tra le varie, Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003 Rv. 572524; Sez. 2, Sentenza n. 4388 del 26/02/2007 Rv. 595574).

Nel caso di specie, non risulta certamente condannata una parte vittoriosa e quindi si rivela giuridicamente corretta la decisione della Corte d’Appello laddove, individuati M. e gli altri come parte soccombente all’esito del giudizio sulla costituzione della servitù sul loro fondo, ha ritenuto di confermare la loro condanna alle spese disattendendo la richiesta di compensazione.

In conclusione, il ricorso va respinto con ulteriore addebito di spese a carico della parte soccombente con vincolo di solidarietà.

PQM

rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2017

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