Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4687 del 28/02/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 4687 Anno 2018
Presidente: GIUSTI ALBERTO
Relatore: SCARPA ANTONIO

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ORDINANZA
sul ricorso 22120-2014 proposto da:
BRANCACCIO MARIO, ADINOLFI ELEONORA, rappresentati e
difesi dall’avvocato CARLO DI NANNI;
– ricorrenti contro

DE MIRO VITTORIO, STAIANO CLELIA, DE MIRO LORENZO, DE
MIRO ERMINIA, MEROLLA ANNALISA, SORIENTE RENATO,
NOTARO VINCENZA, MIRO ANTONELLA, D’ARIA ANNA,
SABATINO ANNUNZIATA, CASOLARO ELISABETTA, CASOLARO
GENNARO, CASOLARO SERGIO, MARSIGLIA ANTONIO
SALVATORE, FALCONE LUCIA, TOZZI VITTORIA,
PASSALACQUA PAOLA, PASSALACQUA STEFANIA, GIANNONE
GILDA, MARINELLI CONSIGLIA, CANONICO ROBERTO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 2523/2013 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI, depositata il 18/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 19/01/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Data pubblicazione: 28/02/2018

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Mario Brancaccio ed Eleonora Adinolfi propongono ricorso
articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 2523/2013 resa
dalla Corte d’Appello di Napoli il 18 giugno 2013.
Tutti gli intimati non hanno svolto attività difensive.

1 c.p.c.
Il giudizio fu intrapreso con citazione del 9 dicembre 1995 da
Roberto Canonico ed altri dieci partecipanti al Condominio di
via M. Piscicelli 128, Napoli, i quali convennero Mario
Brancaccio ed Eleonora Adinolfi, a loro volta condomini, per
sentir accertare che il cortile di circa mq. 440, sito in via M.
Piscicelli 130, di accesso alla strada pubblica, non fosse di
proprietà esclusiva dei convenuti (come dagli stessi preteso in
forza del loro titolo di acquisto dai signori Carità, Mansola e
Capuozzo del 22 marzo 1991, aventi causa a loro volta dal
costruttore dell’edificio Francesco Capuozzo), e rientrasse,
piuttosto, nella proprietà comune. A seguito dell’intervento
volontario o per integrazione del contraddittorio di altri
condomini, il Tribunale di Napoli, con sentenza del 27 febbraio
2008, respinse le domande. Proposto appello in via principale
da Vittorio De Miro ed altri, lo stesso fu accolto dalla Corte
d’Appello di Napoli, la quale, nella sentenza del 18 giugno
2013, affermò che lo spazio esterno di mq. 440, sito in via M.
Piscicelli 130, fosse di proprietà condominiale, trattandosi di
area rientrante tra i beni di cui all’art. 1117 c.c., per i quali
opera la presunzione di condominialità, stando alle risultanze
dell’atto costitutivo del condominio stesso (tra Francesco
Capuozzo e Domenico Amara) risalente al 15 maggio 1961, nel
quale mancava una riserva di proprietà del cortile in favore del
venditore.
Ric. 2014 n. 22120 sez. 52 – ud. 19-01-2018
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I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis

IX primo motivo di ricorso di Mario Brancaccio ed Eleonora
Adinolfi deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.
100, 112 e 115 c.p.c., nonché degli artt. 1362 e ss., 2909 c.c.,
in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per non aver la Corte
d’Appello esaminato e decisa l’eccezione sul difetto di

dal giudice di primo grado, senza censura degli appellanti.
Assumono i ricorrenti che la legittimazione ad una siffatta
azione spettasse soltanto alla totalità dei condomini o
all’amministratore.
Il primo motivo è del tutto privo di fondamento. La Corte
d’Appello di Napoli, all’esito del percorso argomentativo
adottato, ha espressamente statuito l’accoglimento della
“domanda volta ad ottenere il riconoscimento in favore degli
appellanti della comproprietà del cortile di mq. 440 circa,
situato in Napoli alla via Piscitelli n. 130”.
La sussistenza della legittimazione ad agire va valutata sulla
base della domanda, nella quale l’attore deve unicamente
affermare di essere titolare del diritto dedotto in giudizio: ciò
che rileva è, quindi, la prospettazione (Cass. Sez. U,
16/02/2016, n. 2951). La legittimazione attiva all’azione di
rivendicazione (che ha lo scopo di far riconoscere, a favore
dell’attore, il diritto di proprietà della cosa rivendicata, e,
conseguentemente, di fargliene ottenere la restituzione da
chiunque la detenga) richiede, quindi, soltanto che l’attore si
prospetti in domanda come proprietario della cosa rivendicata,
ciò bastando a realizzare la necessaria coincidenza dell’attore
stesso con il soggetto della situazione giuridica cui si riferisce la
tutela giurisdizionale invocata. E poiché il diritto di ciascun
condomino investe la cosa comune nella sua interezza (sia
pure col limite del concorrente diritto altrui), anche un solo
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legittimazione relativa alla domanda, qualificata come rivendica

condomino può proporre le azioni reali a difesa della proprietà
comune, senza che si renda necessario integrare il
contraddittorio nei confronti di tutti i partecipanti (Cass. Sez.
6 – 2, 28/01/2015, n. 1650; Cass. Sez. 2, 24/02/2000, n.
2106; Cass. Sez. 2, 22/12/1995, n. 13064; Cass. Sez. 2,

II. Il secondo motivo di ricorso allega la violazione e falsa
applicazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 5
c.p.c.), nella parte in cui non è stata correttamente individuata
la natura e la funzione dello spazio aperto oggetto di causa,
contestandosi dai ricorrenti che le “intercapedini” in esame
costituiscano uno spazio autonomo non rientrante tra le parti
comuni.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 1117 c.c., nella parte in cui la sentenza
impugnata ha ritenuto non vinta la presunzione di
condominialità delle parti scoperte.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso vanno esaminati
congiuntamente per la loro evidente connessione, e si rivelano
integralmente infondati.
Innanzitutto, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere
dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il
giudice abbia deciso sulla base di prove non introdotte dalle
parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi
riconosciutigli, e non anche esponendo che il medesimo
giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia
attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto
che ad altre (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892). Peraltro, i
ricorrenti, pur prospettando nel secondo e nel terzo motivo vizi
di violazione di legge, allegano in realtà un’erronea ricognizione
della fattispecie concreta, conseguente alla valutazione delle
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05/12/1987, n. 9043).

risultanze di causa operata dai giudici di merito, la cui censura
è ammissibile, in sede di legittimità, soltanto per omesso
esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di
discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa
soluzione della controversia, alla stregua dell’art. 360, comma

2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012.
In ogni caso, per quanto accertato in fatto dalla Corte d’Appello
di Napoli, e non rivalutabile nel giudizio di cassazione (se non
appunto nei limiti di cui art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.), si ha
qui riguardo ad uno spazio esterno adiacente al fabbricato del
Condominio di via Piscitelli n. 128, astrattamente utilizzabile
per consentire l’accesso allo stesso edificio, e dunque da
qualificare come cortile, ai fini dell’inclusione nelle parti comuni
dell’edificio elencate dall’art. 1117 c.c. (si veda pagina 13 della
sentenza impugnata). L’area esterna di un edificio
condominiale, con riguardo alla quale manchi un’espressa
riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del
condominio, va infatti ritenuta di presunta natura
condominiale, ai sensi dell’art. 1117 c.c. (solo tra le più
recenti, cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 08/03/2017, n. 5831; Cass. Sez.
2 , 31/08/2017, n. 20612; Cass. Sez. 2 , 04/09/2017, n.
20712). Si intende, peraltro, come cortile, agli effetti dell’art.
1117 c.c., qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di
fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e
aria agli ambienti circostanti, ma anche comprensivo dei vari
spazi liberi disposti esternamente alle facciate degli edifici quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i
parcheggi – sebbene non menzionati espressamente nel
medesimo art. 1117 c.c. (Cass. Sez. 2, 09/06/2000, n. 7889).

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1, n. 5, c.p.c., come modificato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del

Come ben spiegato dalla Corte d’Appello di Napoli, la
situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 e seguenti
del Codice Civile, si attua sin dal momento in cui si opera il
frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del
trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di

soggetto. Secondo le emergenze documentali di giudizio, il
Condominio di via Piscitelli n. 128, Napoli, deve aversi per
sorto con l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprietà del
15 maggio 1961. Originatasi a tale data la situazione di
condominio edilizio, dallo stesso momento doveva intendersi
operante la presunzione legale ex art. 1117 c.c. di comunione
“pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per
ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo
del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare
esigenze generali e fondamentali del condominio (Cass. Sez. 2,
18/12/2014, n. 26766). Mancando nel titolo del 15 maggio
1961

una

chiara

ed

univoca

volontà

di

riservare

esclusivamente a Francesco Capuozzo la proprietà dell’area
scoperta (secondo interpretazione del contenuto negoziale di
esso costituente apprezzamento di fatto, del pari rimesso ai
giudici del merito), quest’ultimo non poteva poi validamente
disporre della stessa area cortilizia come proprietario unico di
detto bene, sicché perdono di decisività tutte le censure dei
ricorrenti che si fondano su atti successivi a tale data.
E’, del resto, altrettanto consolidato l’orientamento di questa
Corte ad avviso del quale spetta al condomino, che pretenda
l’appartenenza esclusiva di un bene, quale appunto un cortile,
compreso tra quelli elencati espressamente o per relationem
dall’art. 1117 c.c., dar prova della sua asserita proprietà
esclusiva derivante da titolo contrario (non essendo
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separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro

determinanti a tal fine né le risultanze del regolamento di
condominio, nè l’inclusione del bene nelle tabelle millesimali
come proprietà esclusiva di un singolo condomino, né i dati
catastali); in difetto di tale prova, infatti, deve essere
affermata l’appartenenza dei suddetti beni indistintamente a

Sez. 2, 18/04/2002, n. 5633; Cass. Sez. 2, 15/06/2001, n.
8152; Cass. Sez. 2, 04/04/2001, n. 4953).
111.11 ricorso va perciò rigettato. Non occorre regolare le spese
del giudizio di cassazione, in quanto gli intimati non hanno
svolto in questa sede attività difensive.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha
aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da
parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente
rigettata.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. I, comma 17, della legge n. 228 del
2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Ric. 2014 n. 22120 sez. 52 – ud. 19-01-2018
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tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 07/05/2010, n. 11195; Cass.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 gennaio

2018.

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