Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4687 del 23/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/02/2017, (ud. 15/12/2016, dep.23/02/2017),  n. 4687

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27171-2012 proposto da:

M.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

V.FLAMINIA 213, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE BAVA,

rappresentata e difesa dall’avvocato BRUNO GANINO;

– ricorrente –

contro

S.A.L., S.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 180/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 08/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato BAVA Raffaele, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato GANINO Bruno, difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

Il Pretore di Vibo Valentia, decidendo sul ricorso proposto da S.P., il quale aveva lamentato che M.A., proprietaria di un fabbricato limitrofo al proprio, intenta ad opere abusive di demolizione e ricostruzione, aveva avviato l’apertura di vedute a distanza illegale ed eretto un copriscala più alto del precedente e tale da togliere aria e luce alla proprietà attorea, avendo la resistente provveduto in corso di causa a rimuovere la finestra dalla quale era possibile esercitare la contestata veduta, dichiarò cessata la materia del contendere, stante che la lesione procurata dalla costruzione del copriscala, non comportando la remissione in pristino, legittimava la ricorrente alla coltivazione nel merito della sola domanda risarcitoria.

Confermato il predetto provvedimento in sede di reclamo, instaurato giudizio ordinario dinanzi al medesimo Giudice, accolta la domanda risarcitoria del S., la convenuta venne condannata, con sentenza del 21/6/1999, a corrispondere a tale titolo la somma di 2.000.000 di Lire.

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 1/5/2002, accolta l’impugnazione della M., rigettò la domanda di nuova opera e di risarcimento del danno.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 992/08 del 19/1/2007, accolto il ricorso del S., cassò con rinvio la sentenza d’appello, affermando che “la sentenza impugnata non ha considerato che la concessione in sanatoria in favore del privato costruttore ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47 esaurisce i suoi effetti nell’ambito del rapporto tra quest’ultimo e la P.A., non pregiudicando così la tutela dei vicini i quali, quindi, in caso di violazione delle norme urbanistiche edilizie, conservano inalterato il diritto al risarcimento del danno (Cass. 25.7.1992 n. 994)”.

La Corte d’appello di Catanzaro, in funzione di giudice del rinvio, con sentenza depositata l’8/3/2012, rigettato l’appello, confermò la sentenza pretorile.

Avverso quest’ultima decisione ricorre per cassazione il M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 13 ora trasfuso nel T.U. Edilizia n. 280 del 2001, art. 36.

Non sussisteva alcuna posizione soggettiva meritevole di tutela, la cui lesione comportasse diritto al ristoro risarcitorio. Errando, sia la Corte d’appello, che quella di Cassazione, avevano ritenuto che la M. avesse edificato abusivamente, accedendo successivamente ad una procedura di condono edilizio ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 31 e segg.. Ben diversamente, la medesima, la quale aveva proceduto ai lavori previo regolare rilascio di titolo abilitativo amministrativo, si era limitata a richiedere ed ottenere una concessione in sanatoria, ai sensi dell’art. 13 Legge cit. Un tale provvedimento presuppone la conformità dell’opera agli strumenti urbanistici e sana abusi edilizi “formali”. Sanatoria che, nella specie, aveva riguardato la sopraelevazione di uno dei volumi tecnici (il copriscala). Da qui la conclusione che “nessuna norma edilizia, nessuna norma sulle distanze, nessuno accordo e/o convenzione privata è stata giammai violata nel corso ed in conseguenza della realizzazione del vano copriscala da parte ricorrente”.

Con il secondo motivo si deduce che la sentenza di rinvio, era caduta in vizio logico-argomentativo, non avendo individuato alcuna violazione edilizia foriera di danno, alla luce di quanto affermato sopra. Addirittura, qui, si appalesava l’ipotesi dell’omissione, non risultando in alcun modo ripercorribile il ragionamento inferenziale che aveva condotto alla decisione.

Il primo motivo merita di essere accolto nei limiti e con le precisazioni di cui appresso.

S’impone, al fine di sgombrare il campo da possibili equivoci, riconfermare che non è consentito al ricorrente mettere in discussione la sentenza di annullamento emessa dalla Cassazione, spettando, per converso, solo a quest’ultima il potere d’interpretare le proprie statuizioni emesse nel giudizio (cfr., fra le tante, Sez. L., n. 9395, 21/4/2006, Rv. 588634 – 01; Sez. 1, n. 19212, 30/9/2005, Rv. 583569 – 01).

Inoltre, è parimenti necessario soggiungere che giammai la sentenza di legittimità statuisce sul fatto e sugli apprezzamenti probatori; compito, questo, spettante al giudice del rinvio, previo emenda del vizio motivazionale rilevato e/o facendo applicazione della norma di diritto siccome interpretata in sede di legittimità (cfr., fra le tante, Sez. 3, n. 13358, 12/6/2014, Rv. 631758 – 01).

Alla luce di quanto in sintesi esposto la pretesa della ricorrente di porre in discussione la sentenza di legittimità intervenuta nel procedimento risulta inammissibile.

Discorso diverso deve essere fatto in ordine alla mancanza d’individuazione del percetto violato da parte del Giudice del rinvio.

Il diritto al risarcimento del danno presuppone che la M., costruendo il proprio manufatto abbia violato una norma il cui rispetto corrisponda ad un interesse giuridicamente tutelato del vicino o, comunque, di colui il quale assume essere stato leso. Una tale verifica, certamente ineludibile nel caso di accesso a provvedimenti di condono edilizio in deroga alle norme di settore vigenti in loco, non può escludersi in radice (come accaduto con la sentenza d’appello cassata) nell’ipotesi, tuttavia ben diversa, di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 13 oggi inserito nel D.P.R. del 6 giugno 2001, n. 380, art. 36 (L); nè, però, può assumersi come presunta o presupposta (come nella seconda sentenza d’appello).

Mancando, nella sentenza gravata, un tale ricognizione, s’impone cassazione con nuovo rinvio. Il Giudice del rinvio regolerà le spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il primo motivo per quanto di ragione, assorbito il secondo; cassa e rinvia, anche per regolare le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Catanzaro, altra sezione.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2017

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