Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4686 del 18/02/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/02/2019, (ud. 18/12/2018, dep. 18/02/2019), n.4686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2859-2018 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI

123, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO SPINOSA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMPASS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EZIO 24, presso lo studio

dell’avvocato GIANCARLO PEZZANO, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati LUIGI CELLA, ELISA NEMBRI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23694/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 10/10/2017 R.G.N. 13535/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/12/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato BENEDETTO SPINOSA;

udito l’Avvocato GIANCARLO PEZZANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 10 ottobre 2017, questa Corte di cassazione rigettava il ricorso proposto da M.D. avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, che, in riforma della sentenza di primo grado, ne aveva rigettato l’impugnazione di illegittimità del licenziamento intimatogli il 2 aprile 2009 dalla datrice Compass s.p.a. per giusta causa (consistita nella prosecuzione di pratiche di finanziamento, con apposizione di visto di conformità, in violazione della procedura informatica di “alert”, da seguire nell’istruttoria dei finanziamenti a lui ben nota, di apposizione del visto solo all’esito di controlli, che egli attestava di avere falsamente eseguito) e le conseguenti domande di condanna reintegratoria e risarcitoria.

A motivo della decisione, la Corte riteneva l’infondatezza del primo motivo, di violazione dell’art. 2119 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 3 in relazione all’inosservanza dei principi di proporzionalità e gradualità della sanzione disciplinare e la sua inammissibilità, in.riferimento al vizio di apoditticità e contraddittorietà della motivazione. Essa riteneva quindi l’inammissibilità degli altri motivi, in difetto di allegazione di tempestiva deduzione di circostanze alla base dei vizi con essi denunciati (in primo grado: di tardività delle contestazioni disciplinari del 21 gennaio e 18 febbraio 2009, con il secondo; di prassi aziendale cui conformato il comportamento del lavoratore, con il terzo; di inesistenza e mancata affissione del codice disciplinare, anche in grado di appello, con il quarto).

Con atto notificato il 10 gennaio 2018, il lavoratore ricorreva per revocazione avverso la suindicata sentenza con quattro motivi, cui resisteva la società con controricorso; entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce omessa pronuncia sulla violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 oggetto del secondo motivo di ricorso per cassazione, sotto il profilo di tardività della contestazione disciplinare, sul rilievo, frutto di evidente errore revocatorio, della sua mancata tempestiva allegazione in primo grado, invece denunciata.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce erronea percezione del tenore letterale del ricorso di primo grado, in riferimento alla ritenuta mancata allegazione in esso della conformazione del comportamento del lavoratore alla prassi aziendale, in riferimento al terzo motivo di ricorso per cassazione.

3. Con il terzo, il ricorrente deduce erronea percezione del tenore letterale del ricorso di primo grado, in riferimento alla ritenuta mancata allegazione in esso (e neppure in grado d’appello) dell’inesistenza e mancata affissione del codice disciplinare, in riferimento al quarto motivo di ricorso per cassazione.

4. Con il quarto, il ricorrente deduce incoerenza della pronuncia con i principi in tema di falsa applicazione della legge e di ammissibilità del primo motivo di ricorso per cassazione.

5. Tutti i motivi sono inammissibili.

5.1. Al di là della inappropriata e poco chiara formulazione dei motivi, occorre premettere che l’errore che può legittimare la revocazione di una sentenza della Corte di cassazione deve riguardare gli atti “interni” al giudizio di legittimità, ossia quelli che la Corte esamina direttamente nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, dovendo quindi avere carattere autonomo (Cass. 18 febbraio 2014, n. 3820; Cass. 22 ottobre 2018, n. 26643). Ed inoltre esso, ai sensi del combinato disposto dell’art. 391bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, non può consistere in un errore di diritto sostanziale o processuale, nè in un errore di giudizio o di valutazione (Cass. 11 aprile 2018, n. 8984), dovendo piuttosto manifestarsi in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti invece in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato (Cass. 11 gennaio 2018, n. 442).

5.2. Ebbene, nel caso di specie, i primi tre motivi prospettano un’erronea esclusione di tempestiva allegazione di circostanze, quali le contestazioni disciplinari del 21 gennaio e 18 febbraio 2009 (il secondo), la prassi aziendale cui si sarebbe conformato il comportamento del lavoratore (il terzo) e l’inesistenza e la mancata affissione del codice disciplinare (il quarto e questo, oltre che nel primo, anche in grado di appello), che risulta frutto, non già di un mero errore percettivo o di svista materiale, bensì piuttosto di una valutazione giuridica, basata su un’attenta ricognizione degli atti, in esito alla quale rilevata (e pure correttamente) l’assenza di una debita trascrizione della tempestiva allegazione delle circostanze suindicate nel ricorso introduttivo e non soltanto nella memoria di costituzione in appello (quanto al secondo e al terzo) o neppure in essa (quanto al quarto): così come sinteticamente ma esaurientemente argomentato dalla sentenza oggetto di revocazione (per le ragioni illustrate ai p.ti 20 e, per relationem ad esso, 21 e 22 della sentenza) ed effettivamente riscontrato dall’esame diretto dei motivi del (primo in via ordinaria) ricorso per cassazione, come anche trascritti nell’odierno ricorso per revocazione (da pg. 5 a pg. 10).

5.3. Infine, il quarto motivo consiste in una palese contestazione della valutazione giuridica operata dalla Corte di legittimità in ordine ai fatti accertati. Sicchè, è estranea all’ambito dell’errore revocatorio, in quanto censurante un errato apprezzamento di un motivo di ricorso: posto che non può essere qualificato come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta con l’originario ricorso (Cass. 15 giugno 2017, n. 14937), nè pertanto essere impugnata per revocazione una sentenza della Corte di cassazione sull’assunto di una cattiva valutazione dei motivi di ricorso, perchè un vizio di questo tipo costituirebbe un errore di giudizio e non un errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 3 aprile 2017, n. 8615).

6. Dalle superiori argomentazioni discende allora l’inammissibilità del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2019

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