Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4685 del 28/02/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 4685 Anno 2018
Presidente: GIUSTI ALBERTO
Relatore: SCARPA ANTONIO

ORDINANZA

sul ricorso 23613-2014 proposto da:
VOLPE DOMENICO, VOLPE MICHELE, VOLPE MAURIZIO, VOLPE
DANTE, VOLPE MARIA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato GRAZIANO DE
GIOVANNI, rappresentati e difesi dall’avvocato MICHELE
TRENTADUE;
– ricorrenti contro

CONDOMINIO VIA MANZONI 12 BARI, VOLPE ELISABETTA,
VOLPE LUIGI, VOLPE ANTONIO, VOLPE FRANCESCO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 224/2014 della CORTE D’APPELLO di
BARI, depositata il 25/02/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
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del 19/01/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

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Data pubblicazione: 28/02/2018

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Domenico Volpe, Dante Volpe, Maria Volpe, Michele Volpe e
Maurizio Volpe hanno proposto ricorso articolato in due motivi
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Bari
n. 224/2014, pubblicata il 25 febbraio 2014.

Condominio di Via Manzoni n. 12 in Bari, nonché Elisabetta,
Luigi, Antonio e Francesco Volpe.
Il giudizio ebbe inizio con atto di citazione del 25 settembre
1997, con cui il Condominio di Via Manzoni nr. 12, Bari,
convenne innanzi al Tribunale di Bari la signora Rosa Introna,
proprietaria dei locali siti al piano terra dell’edificio. Il
Condominio attore lamentò che la convenuta Introna, nei
predetti locali adibiti ad attività commerciale, avesse realizzato
una vetrina tale da ingabbiare parte della facciata
condominiale, di fatto arretrando il portone, in modo da
consentire l’accesso diretto alla strada dalla propria unità
immobiliare. Il Condominio denunciò la lesione del decoro
architettonico e chiese la rimozione del manufatto, unitamente
al risarcimento dei danni. La convenuta Introna eccepì, tra
l’altro, l’intervenuta usucapione relativamente alla porzione
immobiliare in oggetto, poiché lo stato dei luoghi risultava
immutato da oltre trent’anni; evidenziò, inoltre, che il vano
oggetto di lite fosse di sua proprietà, avendolo acquistato come
da titolo contrattuale allegato. Il Tribunale di Bari, con
sentenza del 22 novembre 2006, ravvisata la violazione
dell’art. 1120, comma 2 c.c., accolse la domanda e condannò
la convenuta alla rimessione in pristino. Rosa Introna propose
appello, deducendo in via pregiudiziale la nullità del
procedimento e della sentenza di primo grado per violazione
dell’art. 102 c.p.c., non essendosi provveduto ad integrare il
Ric. 2014 n. 23613 sez. 52 – ud. 19-01-2018
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Rimangono intimati, senza svolgere attività difensive, il

contraddittorio nei confronti degli eredi di Filippo Volpe,
comproprietari pro indiviso con la stessa Introna del bene
immobile ubicato in via Manzoni n. 12 in Bari. Il giudizio di
gravame venne interrotto per la morte di Rosa Introna e poi
proseguito da Dante Volpe, Maria Volpe, Domenico Volpe e

IntronaK che di Filippo Volpe. La Corte di Bari rigettò l’appello, Ct1.. 1
ritenendo che la situazione di comproprietà indivisa degli eredi
di Filippo Volpe, già al momento della instaurazione del giudizio
di primo grado, non comportasse “che la vocatio in ius avrebbe
dovuto essere effettuata nei confronti di tutti gli eredi, tenuto
conto, per un verso, che le innovazioni sono state
pacificamente realizzate solo dalla de cuius Introna Rosa e, per
altro verso, che le opere eseguite (vetrine, saracinesche ed
elementi portanti) possono essere agevolmente rimosse senza
incidere strutturalmente sulla proprietà originaria degli eredi
Volpe Introna”. Per quanto qui ancora rilevi, la Corte d’Appello
accertò altresì, alla stregua dell’espletata CTU, dei documenti
prodotti e dei testi assunti, che la struttura denunciata in lite
fosse stata realizzata negli anni ottanta, con conseguente
infondatezza della pretesa usucapione.
I.Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 102 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma
1, n. 3 c.p.c., con riferimento agli artt. 354, comma 1 e 383,
comma 3, c.p.c. Sostengono i ricorrenti che l’eccezione di
usucapione acquisitiva delle aree sulle quali le saracinesche e
le vetrine sono poggiate, oggetto dei precedenti gradi di
giudizi, non poteva essere trattata senza la presenza di tutti gli
eredi di Filippo Volpe, che già risultavano essere tali sia al
momento della notifica dell’atto di citazione, che della
riassunzione, come evincibile dalla denuncia di successione del
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Michele Volpe, nella qualità di eredi testamentari sia di Rosa

4 aprile 1996. Peraltro la Corte di appello avrebbe errato nel
ritenere che la realizzazione delle predette opere non incidesse
sulla proprietà originaria degli eredi Volpe – Introna; al
contrario, la rimessione in pristino avrebbe coinvolto l’immobile
oggetto della comproprietà dei medesimi, sicchè non poteva

I ricorrenti ravvisano, pertanto, un litisconsorzio necessario con
obbligo di integrazione del contraddittorio nei confronti degli
eredi di Filippo Volpe, e dunque invocano la nullità del
procedimento e della sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l’omesso esame di
un punto decisivo della controversia, in relazione alla richiesta
applicazione dell’art. 1158 c.c. Il Giudice di secondo grado
avrebbe ignorato l’esito e il significato della prova per testi in
merito all’usucapione eccepito dalla Introna, relativamente alla
situazione dell’androne condominiale ed al dedotto
“ingabbiamento” del portone di ingresso. In particolare si
richiama la testimonianza resa da Antonia Reho, dalla quale
emergerebbe che l’ingabbiannento del portone era già presente
al momento del contratto preliminare di vendita dell’immobile,
così come le stesse vetrine, e che i manufatti delle vetrine
erano esistenti già dagli anni settanta, dato il materiale ferroso
tipico di quegli anni.
1.1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Contrariamente a quanto motivato dalla Corte d’Appello di
Bari, va invero affermato che, nel giudizio promosso per
conseguire la rimozione di una costruzione, illegittimamente
realizzata in un’unità immobiliare in danno delle parti comuni di
un edificio condominiale, sono litisconsorti necessari tutti i
comproprietari dell’immobile in cui l’opera medesima si trova,
indipendentemente dal fatto che solo uno o alcuni di essi siano
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essere pronunciata nei confronti di uno solo dei comproprietari.

stati gli autori materiali della costruzione, in quanto la sentenza
resa nei confronti di alcuni soltanto dei contitolari resterebbe
inutiliter data, perchè non eseguibile nei confronti degli altri
(arg. da Cass. Sez. 2, 15/05/2007, n. 11109; Cass. Sez. 1,
30/03/1979, n. 1841). Peraltro, la necessità di integrare il

essere valutata non “secundum eventum litis” (ovvero, come
assume la sentenza impugnata, sulla base delle concrete
modalità attuative dell’intervento tecnico di ripristino), ma al
momento in cui l’azione sia proposta, valutando se la stessa,
sulla base del “petitum” (e, cioè, del risultato perseguito in
giudizio dall’attore con la sua domanda), sia potenzialmente
diretta anche ad una modificazione della cosa comune (cfr.
Cass. Sez. 2, 14/12/2017, n. 30071).
Va osservato che, per quanto emerge sia nella decisione della
Corte d’Appello di Bari, sia nell’esposizione sommaria dei fatti
di causa contenuta nello stesso ricorso, dopo la morte della
originaria convenuta ed appellante Rosa Introna, il giudizio
venne riassunto da quattro degli attuali cinque ricorrenti,
ovvero da Dante Volpe, Maria Volpe, Domenico Volpe e Michele
Volpe, nella qualità sia di eredi testamentari di Rosa Introna
(per testamento pubblico del 3 maggio 2007), sia proprio di
eredi testamentari di Filippo Volpe (per testamento olografo del
20 giugno 1989, pubblicato il 25 settembre 2012), peraltro
insistendo per i motivi di censura avanzati dall’appellante
Introna; risulta altresì che l’atto di riassunzione venne
notificato ai restanti eredi di Filippo Volpe, ovvero a Maurizio,
Elisabetta, Luigi, Antonio e Francesco Volpe.
Tuttavia, nell’ipotesi in cui i litisconsorti necessari pretermessi
in primo grado intervengano comunque in appello (nella
specie, all’esito dell’interruzione del giudizio per la morte di
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contraddittorio nei confronti dei litisconsorti pretermessi deve

una delle parti originarie e della relativa riassunzione), il
giudice d’appello non può ritenere essersi altrimenti verificata,
per la prima volta in tale grado, la condizione di integrità del
contraddittorio cui è subordinata la pronuncia di merito
nell’ipotesi di litisconsorzio necessario, e pronunciare perciò nel

ipotesi, la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., a
meno che i litisconsorti intervenienti non accettino
espressamente senza riserve il contenuto della sentenza di
primo grado, chiedendo che la causa sia decisa nello stato in
cui si trova, ovvero, come in “prime cure”, senza la loro
partecipazione al processo (laddove, nella specie, Dante Volpe,
Maria Volpe, Domenico Volpe e Michele Volpe, nell’atto di
riassunzione in via pregiudiziale lamentarono proprio la nullità
del processo di primo grado per violazione dell’art. 102 c.p.c.;
arg. da Cass. Sez. 2, 06/11/2014, n. 23701; Cass. Sez. 1,
04/05/2011, n. 9752; Cass. Sez. 2, 05/08/2005, n. 16504;
Cass. Sez. 3, 25/06/1997, n. 5674; Cass. Sez. 1, 16/09/1995,
n. 9781; Cass. Sez. 2, 26/04/1993, n. 4883).
L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina
l’assorbimento del secondo motivo, inerente all’accertamento
della maturata usucapione, avendo tale censura perso
rilevanza decisoria in conseguenza della pronuncia resa sulla
questione pregiudiziale di integrità del contraddittorio.
L’impugnata sentenza va, quindi, cassata in relazione alla
censura accolta. La causa, ai sensi del combinato disposto degli
artt. 383, ultimo comma, e 354 c.p.c., data la mancata
integrazione del contraddittorio nei confronti dei restanti
comproprietari dell’unità immobiliare sita al piano terra
dell’edificio di Via Manzoni nr. 12, Bari, deve essere rimessa al

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merito del gravame, ma deve, invece, rimettere, anche in tale

giudice di primo grado, che provvederà anche sulle spese di
questa fase di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito
il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione

giudizio, al Tribunale di Bari, in persona di diverso magistrato.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 gennaio
2018.

alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del presente

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