Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4685 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. III, 21/02/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 21/02/2020), n.4685

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19532/2018 proposto da:

P.R., PU.AN., P.C., domiciliati ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE CAMERA;

– ricorrenti –

contro

L.E., G.A., domiciliati ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato VINCENZO VETERE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 160/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 23/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2019 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

L.E. e G.A. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Cosenza Pu.An., P.C. e P.R. chiedendo il riconoscimento del diritto di prelazione e di riscatto, nella qualità di proprietari coltivatori diretti di fondo confinante, in relazione alla vendita dei terreni acquistati dai convenuti (ed in particolare l’oggetto della vendita in favore di Pu.An. e P.C. era fg. (OMISSIS) p.lle (OMISSIS), quello della vendita in favore di P.R. fg. (OMISSIS) p.lle (OMISSIS)). Il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso detta sentenza proposero appello gli originari attori. Con sentenza di data 23 gennaio 2018 la Corte d’appello di Catanzaro accolse l’appello, dichiarando fondata la domanda di riscatto, con condanna alle spese del doppio grado di giudizio in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014.

Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, in relazione al requisito soggettivo della mancata alienazione di fondi rustici, che il giudice di primo grado non aveva tenuto in considerazione le due ispezioni ipotecarie dell’agenzia del territorio riguardanti le formalità registrate contro gli appellanti, le quali risultavano negative, e che al valore riconosciuto dalla giurisprudenza a tale documentazione (Cass. n. 6247 del 2015) doveva aggiungersi il fatto che gli appellati avevano solo genericamente contestato il requisito in discorso. Aggiunse, quanto alla presenza del requisito della contiguità dei fondi, che in base alla CTU confinanti con la proprietà degli appellanti erano le particelle nn. 1086 e 1087, mentre le particelle nn. 1088 e 1089 confinavano con quelle nn. 1086 e 1087, ma che non condivisibile era il ragionamento degli appellati mirante a frazionare i terreni, considerandoli individualmente come particelle catastali anzichè unitariamente, perchè il requisito fisico della contiguità dei fondi doveva essere valutato in base al bene in concreto messo in vendita, spettando all’alienante determinare se, cosa ed a quale prezzo vendere.

Hanno proposto ricorso per cassazione Pu.An., Pu.Ca. e P.R. sulla base di tre motivi e resistono con unico controricorso L.E. e G.A.. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, D.M. n. 140 del 2012 e art. 11 preleggi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che per la liquidazione delle spese processuali del primo grado non poteva trovare applicazione il D.M. n. 55 del 2014 in quanto la sentenza del Tribunale recava la data del 20 luglio 2013.

Il motivo è infondato. Va premessa l’irritualità della memoria di parte ricorrente in quanto pervenuta a mezzo posta (Cass. n. 8835 del 2018).

In tema di spese processuali, i parametri introdotti dal D.M. n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorchè la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purchè a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata. Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto D.M., non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione, investito ai sensi dell’art. 336 c.p.c., anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d’appello, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza (Cass. 10 dicembre 2018, n. 31884).

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116 c.p.c., art. 2697 c.c., L. n. 590 del 1965, art. 8 e L. n. 817 del 1971, art. 7, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, nonchè omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osservano i ricorrenti che il diritto di prelazione e riscatto non può essere esteso all’ipotesi della cosiddetta contiguità funzionale (fra fondi separati, ma idonei ad essere accorpati in un’unica azienda agraria) e che le particelle non confinati nn. 1088 e 1088 sono dotate di autonomia economico-culturale.

Il motivo è fondato. Al fine della prelazione e del riscatto agrario, ai sensi della L. 26 maggio 1956, n. 590 e L. 14 agosto 1971, n. 817, per “fondo” deve intendersi un’estensione che abbia una propria autonomia colturale e produttiva. Ne consegue che, potendo nel relativo concetto farsi rientrare tanto un’unità poderale (costituita da un complesso unitario di terreni non suscettibili singolarmente di autonoma coltivazione), quanto un singolo terreno (anche di piccole dimensioni, che, rispetto ai terreni circostanti, sia distinto ed autonomo per caratteristiche della sua coltivazione e produttività), nel caso di vendita di un complesso di terreni attigui tra loro e confinanti solo in parte con un fondo appartenente a coltivatore diretto, per stabilire se il diritto di prelazione debba essere esercitato in relazione a tutti i terreni oggetto della vendita, ovvero soltanto a quelli a confine con la proprietà dell’avente diritto alla prelazione, devesi accertare se quelli costituiscono un’unità poderale (nell’ambito della quale ogni terreno sia privo di propria autonomia coltivatrice), oppure un’insieme di porzioni distinte e indipendenti l’una dall’altra per caratteristiche ed esigenze colturali e produttive. In questo secondo caso la prelazione può esercitarsi con esclusivo riferimento a quelle porzioni confinanti con il fondo del coltivatore diretto (Cass. 2 febbraio 1995, n. 1244; 29 maggio 2018, n. 13368).

Il giudice di merito, seguendo il criterio dell’unicità del bene posto in vendita, e rimettendo quindi all’autonomia privata l’identificazione dello stesso, non ha considerato le peculiarità della prelazione e del riscatto agrario, le quali impongono la diversa valutazione di cui al principio di diritto sopra richiamato. A tale principio di diritto dovrà essere informato il giudizio del giudice di merito.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116,132 e 145 c.p.c., art. 2697 c.c., L. n. 590 del 1965, art. 8 e L. n. 817 del 1971, art. 7, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, nonchè omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osservano i ricorrenti che la corte territoriale ha errato nel ritenere che gli appellati abbiano solo genericamente contestato il requisito soggettivo della mancata alienazione di fondi rustici (in particolare è stato affermato che l’ispezione dell’Agenzia del Territorio, riguardando il solo ambito territoriale della residenza delle parti attrici, ha carattere parziario). Aggiungono che il giudice di appello ha anche errato nel ritenere sufficiente l’ispezione presso l’ufficio limitata alla sola provincia di residenza degli attori, posto che la meccanizzazione degli uffici dell’Agenzia del Territorio consente di acquisire una visura di tipo nazionale.

Il motivo è inammissibile. Il giudice di appello ha ritenuto sussistente il requisito soggettivo della mancata alienazione di fondi rustici sulla base di una duplice ratio decidendi, il valore probatorio delle due ispezioni ipotecarie dell’agenzia del territorio riguardanti le formalità registrate contro gli appellanti, le quali risultavano negative, e il fatto che gli appellati avessero solo genericamente contestato il requisito in discorso. Assorbente ai fini dell’inammissibilità del motivo è la non rituale impugnazione della prima ratio, permanendo la quale resta priva di decisività l’impugnazione della seconda ratio.

Affermano i ricorrenti che la certificazione esaminata dal giudice di appello non sia relativa all’intero territorio nazionale, ma solo alla provincia di residenza degli appellanti. Trattasi di una circostanza di fatto che non emerge dalla decisione impugnata, nella quale si fa genericamente riferimento ad ispezioni ipotecarie dell’agenzia del territorio, senza precisare se relative all’intero territorio nazionale o solo alla provincia di residenza degli appellanti. Il motivo di ricorso avrebbe dovuto pertanto avere ad oggetto l’omesso esame da parte del giudice di merito della circostanza che la certificazione avesse ad oggetto la provincia di residenza degli appellanti e non il territorio nazionale, sulla base di un rituale denuncia di vizio motivazionale.

In particolare i ricorrenti avrebbero dovuto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053). Al di là della formale indicazione del vizio motivazionale nella rubrica del motivo, la censura non rispetta gli oneri indicati in quanto non risulta indicato il documento ed il suo specifico contenuto nonchè la sua localizzazione processuale. La denuncia di vizio motivazionale non risulta poi formulata nei termini di pretermissione del fatto che la certificazione avesse ad oggetto un territorio limitato e non l’intero territorio nazionale, sicchè resta il dato del rilievo conferito dal giudice di merito ad un documento indicato come “ispezioni ipotecarie dell’agenzia del territorio” senza che possa sapersi se il documento sia stato valutato come riferito all’intero territorio nazionale o solo ad una sua parte (circostanza che per l’appunto non emerge dalla motivazione della sentenza impugnata).

PQM

Accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo; cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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