Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4684 del 23/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/02/2017, (ud. 15/12/2016, dep.23/02/2017),  n. 4684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23082-2012 proposto da:

P.M., (OMISSIS), P.R. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 7, presso lo studio

dell’avvocato CONCETTA TROVATO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

PI.CA., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CUNFIDA 20, presso lo studio dell’avvocato MONICA BATTAGLIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIANO PIACENTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 85/2012 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 01/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato CONCETTA TROVATO, difensore dei ricorrenti, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Trento, con sentenza depositata il 1 marzo 2012, ha rigettato l’appello principale proposto da P.M., P.F. e P.R. avverso le sentenze del Tribunale di Trento n. 220 del 2007 e n. 562 del 2010 ed ha accolto parzialmente l’appello incidentale proposto da Pi.Ca..

1.1. Con sentenza parziale n. 220 del 2007, il Tribunale aveva dichiarato inammissibile il ricorso con cui Pi.Ca. instava per la reintegra del possesso della servitù di passo a piedi e con mezzi meccanici sul fondo P.. Con sentenza definitiva n. 563 del 2010 lo stesso Tribunale aveva dichiarato l’intervenuto acquisto per usucapione della indicata servitù a favore del fondo Pi., rigettato la domanda risarcitoria formulata da Pi., dichiarato compensate le spese di lite e posto a carico di Pi. le spese di CTU.

2. La Corte d’appello ha confermato l’accertamento dell’acquisto della servitù per usucapione, e riformato la statuizione relativa alle spese di CTU, che ha posto a carico di entrambe le parti per la metà ciascuna.

3. Per la cassazione della sentenza M. e P.R. hanno proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrato da memoria. Resiste con controricorso Pi.Ca.. Non ha svolto difese P.F..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

1.1. Con il primo motivo è denunciata violazione degli artt. 184-bis e 345 c.p.c. e si contesta la mancata ammissione del documento rinvenuto dagli appellanti P. pochi giorni prima dell’udienza del 12 luglio 2007, tra la documentazione già appartenuta al defunto padre e alla madre. Erroneamente la Corte d’appello aveva negato la rimessione in termini, essendo evidente la non imputabilità della decadenza agli appellanti P., ignari dell’esistenza del documento fino al momento del ritrovamento. In ogni caso, il documento poteva essere prodotto per la prima volta in appello, ricorrendo le condizioni fissate dall’art. 345 c.p.c..

1.2. La doglianza è infondata.

Il documento in oggetto non può essere considerato nuovo ai fini dell’applicazione dell’art. 345 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis – anteriormente alle modifiche apportatedal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1 conv. con modif. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 -, in quanto la sua ammissione era stata richiesta in precedenza (ex plurimis, Cass., 14/04/2016 n. 7410). Da ciò discende che il richiamo alle condizioni di ammissione della produzione documentale in grado di appello non è pertinente e che, pertanto, non può configurarsi la violazione dell’art. 345 c.p.c..

1.3. Risulta altresì corretta l’applicazione dell’art. 184-bis c.p.c., che esige che la parte dimostri di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile, ai fini della rimessione in termini, mentre nella specie, come evidenziato dalla Corte d’appello, gli appellanti P. si sono limitati ad allegare le circostanze impeditive.

2. Con il secondo motivo è denunciato omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, e si contesta la mancata valutazione dell’accordo del 4 aprile 1991, dal quale emergeva la consapevolezza del sig. Pi. della inesistenza di una servitù di passo a favore del fondo di sua proprietà, con conseguente effetto interruttivo della pretesa usucapione. I ricorrenti contestano, inoltre, che Pi. utilizzasse il passaggio sul fondo di loro proprietà, sia in quanto disponeva di un comodo accesso diretto alla via pubblica, sia in quanto il passaggio era ostacolato da pali e piante di vite piantati da molti anni dallo stesso Pi.. In senso contrario, non potevano valere le dichiarazioni testimoniali rese d partenti, affini e amici intimi dello stesso Pi..

2.1. La doglianza è infondata.

La questione della mancata valutazione dell’accordo 4 aprile 1991 rimane evidentemente assorbita nel rigetto del primo motivo, trattandosi del contenuto del documento la cui produzione è stata ritenuta inammissibile.

Per la restante parte, i ricorrenti censurano la valutazione delle prove e la ricostruzione dello stato dei luoghi, riproponendo questioni alle quali la Corte territoriale ha risposto con motivazione esaustiva e congrua.

In particolare, la Corte d’appello ha evidenziato che alla base della declaratoria di usucapione vi erano le dichiarazioni attendibili rese da soggetti non legati al sig. Pi. da vincoli di parentela e che avevano frequentato i luoghi da molto tempo; che da tali dichiarazioni era emerso che Pi. aveva utilizzato il passaggio in contestazione dal 1978, sia a piedi sia con mezzi agricoli, e la documentazione fotografica prodotta in atti non era idonea a superare le univoche dichiarazioni testimoniali; che era irrilevante l’esistenza di altro accesso alla via pubblica dal fondo Pi., trattandosi di acquisto di servitù per usucapione e non di costituzione di servitù coattiva, che richiede l’interclusione.

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione dell’art. 97 c.p.c. e si contesta il riparto delle spese di CTU effettuato dalla Corte d’appello.

3.1. La doglianza è infondata.

Confermata la soccombenza reciproca delle parti ai fini del regolamento della spese processuali, la Corte territoriale ha disposto in modo coerente il riparto delle spese di CTU, che il Tribunale aveva posto per intero a carico di Pi.. La decisione è argomentata sul rilievo che l’accertamento del CTU era stato demandato e svolto nell’interesse di entrambe le parti, poichè aveva riguardato la descrizione dei luoghi, prima ancora degli aspetti inerenti l’intavolazione della servitù.

La motivazione così espressa fa corretta applicazione dei principi che informano la materia delle spese processuali, posto che la consulenza tecnica d’ufficio, il cui costo rientra nelle spese processuali, è strutturata nel processo civile essenzialmente quale ausilio fornito al giudice da un suo collaboratore esterno all’ordine giudiziario, costituendo perciò un atto necessario del processo che l’ausiliare compie nell’interesse generale della giustizia e, correlativamente, nell’interesse comune delle parti (ex pluri-mis, Cass., 17/01/2013 n. 1023).

4. Il ricorso è rigettato e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del resistente, delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2017

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