Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4684 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. III, 21/02/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 21/02/2020), n.4684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22572/2018 proposto da:

A.S., domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DANTE ANGIOLELLI;

– ricorrente –

contro

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS

34-B, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CECCONI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO BUFALINI;

– controricorrente –

e contro

CURATELA FALL. (OMISSIS) SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 269/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 30/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Sull’appello proposto da B.S. e da (OMISSIS) s.r.l., avverso la sentenza del Tribunale di Siena n. 771/2016 che li condannava in solido al pagamento di oltre Euro 96.000,00 per compensi relativi a prestazioni professionali dovuti all’avv. A.S., la Corte d’appello di Firenze, con sentenza 30.1.2018 n. 269, in riforma della impugnata sentenza del Tribunale di Siena – che aveva ritenuto equivoca la dichiarazione resa a verbale di udienza 18.5.2015 con la quale il procuratore di Valorizzazioni Grossetane di B.A. & C. s.a.s. aveva, da un lato, dichiarato la estinzione della società, cancellata dal registro delle imprese in data 9.11.2010 e la sopravvenuta morte in data 23.10.2013 del socio accomandatario B.A. e dall’altro, invece precisato le conclusioni e richiesto che la causa fosse assegnata al Giudice naturale competente – ha ritenuto, al contrario, che la richiesta di assegnazione della causa al Giudice tabellarmente competente non fosse incompatibile con la comunicazione dell’evento interruttivo e che invece, risultava chiaramente tuzioristica la conclusione delle precisazioni da intendersi posposta in ogni caso alla dichiarazione di interruzione del processo.

Conseguentemente il Giudice di appello, individuato alla data di udienza 18.5.2015 il “dies a quo” di decorrenza del termine semestrale perentorio per la riassunzione del processo interrotto, ha ritenuto tardivo il ricorso per riassunzione del difensore dell’avv. A., depositato in Cancelleria soltanto in data 8.4.2016, ed ha dichiarato pertanto la estinzione del giudizio e dichiarata, ai sensi dell’art. 301 c.p.c., comma 2, la inefficacia della impugnata sentenza.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dall’avv. A. con ricorso affidato a due motivi.

Resiste B.S. con controricorso illustrato da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Non ha svolto difese il Fallimento di (OMISSIS) s.r.l. al quale il ricorso è stato notificato per via telematica in data 30.7.2018 all’indirizzo PEC del difensore nominato per il grado di appello.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che la memoria illustrativa in data 4.11.2019 del difensore della parte ricorrente è stata depositata in Cancelleria oltre il termine perentorio previsto dall’art. 380 bis.1 c.p.c. e della stessa, pertanto, non dovrà tenersi conto.

Il ricorrente ha censurato la sentenza di appello deducendo

– vizio di violazione degli artt. 127 e 175 c.p.c., anche in relazione ai fondamentali principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., nonchè di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., comma 2.

– violazione e falsa ed erronea applicazione degli artt. 300,303,305 e 307 c.p.c., art. 157 c.p.c., L. Fall., art. 43, comma 3 e del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost..

A sostegno delle censure il ricorrente assume: che il notevole intervallo temporale tra l’accadimento degli eventi interruttivi e la dichiarazione resa in udienza configurava un esercizio abusivo del processo evidenziando tentativi defatigatori e dilatori della pronuncia di merito; che il lungo intervallo temporale tra la predetta udienza e la riassegnazione del fascicolo – più volte sollecitata dal difensore dell’ A. – ad altro GOT, determinato a causa di problemi organizzativi dell’Ufficio giudiziario, e che aveva portato il Giudice ad emettere soltanto in data 8.4.2016 la ordinanza dichiarativa della interruzione, aveva impedito al difensore di presentare tempestivamente la istanza di riassunzione; che era errata l’affermazione della Corte d’appello che aveva desunto la inequivocità della volontà interruttiva manifestata dal difensore della società cancellata dal registri delle imprese, in base ad una interpretazione della gradazione delle richieste formulate alla udienza 15.5.2015, poichè il semplice cumulo di tali attività processuali volte alla prosecuzione del giudizio, infirmava la stessa manifestazione di volontà interruttiva; che la giurisprudenza di legittimità aveva ricollegato la decorrenza del “dies a quo” del termine perentorio per la riassunzione del processo interrotto, in caso di fallimento della parte, alla necessità della dichiarazione della interruzione, con la conseguenza che, avendo il GOT dichiarato la interruzione soltanto a febbraio 2016, doveva ritenersi tempestiva la istanza di riassunzione depositata nel mese di marzo successivo; che le altre parti nei cui confronti non si erano verificati gli eventi interruttivi non erano legittimate ed eccepire la estinzione.

Il secondo motivo è fondato, quanto alla violazione delle norme processuali, indicate in rubrica, che regolano la interruzione e la riassunzione del processo assorbito il primo motivo di ricorso – con le precisazioni che seguono.

Occorre brevemente ripercorrere la vicenda processuale:

l’avv. A. aveva proposto domanda di condanna al pagamento dei compensi professionali nei confronti di B.S. (in proprio), (OMISSIS) s.r.l. (di cui B.S. era amministratore unico) e Valorizzazioni Grossetane di B.A. & C. s.a.s. (di cui B.S. era socio accomandante) alla udienza del 18.5.2015, in primo grado, il procuratore della società Valorizzazioni Grossetane dichiara a verbale la estinzione della società in data 9.11.2010 a seguito di cancellazione dal registro delle imprese e la sopravvenuta morte del socio accomandatario in data 23.10.2013: il Giudice non provvedeva rimettendo il fascicolo di causa al presidente del Tribunale per verificare la corretta assegnazione tabellare su istanza dello stesso difensore che aveva dichiarato gli eventi interruttivi;

– dopo alterne vicende che determinavano una stasi del processo per questioni organizzative del Tribunale di Siena e dopo alcune istanze con le quali il difensore dell’ A. sollecitava la fissazione della nuova udienza, il Giudice con ordinanza fuori udienza in data 23.2.2016 provvedeva a dichiarare la interruzione del processo

– in data 8.4.2016 veniva depositato il ricorso per riassunzione ed il processo era quindi riassunto nei confronti delle altre parti ( B.S. e (OMISSIS) s.r.l.) con atto notificato presso il difensore domiciliatario, nonchè nei confronti di B.S. n. q. di unico socio accomandante della società estinta nonchè di unico erede, quale figlio del defunto B.A.;

– alla udienza 10.10.2016 erano presenti per mezzo del difensore B.S. e (OMISSIS) s.r.l., che eccepivano la estinzione dell’intero giudizio, mentre nessuno si costituiva per i successori della società estinta e della parte deceduta.

Orbene deve ritenersi irrilevante il richiamo alla norma della L. Fall., art. 43, comma 3, in quanto, nella specie, entrambi gli eventi interruttivi integrano la ipotesi di cui all’art. 300 c.p.c., commi 1 e 2, in ordine alla quale non sussistono dubbi circa la individuazione del “dies a quo” di decorrenza del termine di cui all’art. 305 c.p.c. (semestrale, ratione temporis) dalla dichiarazione resa a verbale dal procuratore della parte interessata dall’evento interruttivo, ovvero dalla notifica alle altre parti.

Fondato invece appare l’argomento inteso a contestare la legittimazione ad eccepire la estinzione del processo delle parti nei cui confronti non si era verificato l’evento interruttivo (argomento non più spendibile dopo la riforma dell’art. 307 c.p.c., comma 4, ad opera della L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 15, lett. c, che ha previsto la rilevabilità “ex officio” della estinzione), essendo stato introdotto il giudizio di merito con ricorso ex lege n. 794 del 1942, depositato in data 30.10.2008, anteriormente quindi alla data 4.7.2009 di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, dovendo ritenersi destituita di fondamento la “novità” della questione di legittimazione, eccepita con il controricorso, in quanto la relazionabilità del potere di eccezione alla parte che lo esercita, implica l’accertamento della titolarità dell’interesse (di natura processuale o sostanziale) a tutela del quale è attribuita la eccezione, e tale verifica deve essere condotta di ufficio dal Giudice, indipendentemente da eventuali contestazioni delle parti sulla legittimazione dell’eccipiente, in quanto con la deduzione del vizio per “error in procedendo”, il Giudice di legittimità è investito della questione se l’applicazione che della norma processuale ha fatto il Giudice del merito sia o meno corrispondente alla funzione che quella norma assolve all’interno del processo Ciò comporta che se non può, evidentemente, distinguersi nell’ambito della verifica della attività regolativa del processo, l’effetto che deriva dall’atto processuale, dalla sua motivazione -intesa come percezione e valutazione della situazione presupposta (fatto processuale), ne segue che la Corte nell’accertare la conformità/disformità del potere esercitato dal Giudice, non può essere vincolata alle prospettazioni delle parti in ordine alla legittimità od illegittimità dell’atto sottoposto a sindacato, ma -fermo il limite di nuovi accertamenti in fatto – dovrà estendere la verifica alla corrispondenza allo schema normativo di tutti gli elementi strutturali e funzionali dell’atto processuale.

Orbene nel caso di eccezioni in rito, ossia dirette a produrre effetti all’interno del processo, paralizzandone lo svolgimento e -come nella specie-determinandone una anticipata estinzione, il Giudice, applicando la norma processuale, è tenuto a verificare anche se l'”utilità” che si viene conseguire attraverso l’esercizio del potere di eccezione sia effettivamente pertinente ad un interesse proprio della parte cui si accompagni “anche” l’interesse superindividuale all’ordinato svolgimento del processo (in tal caso l’impedimento all’ulteriore prosecuzione del giudizio sarà rilevabile anche ex officio), o invece attenga al piano dispositivo, in tal caso essendo demandata in via esclusiva alla parte la scelta di avvalersi o meno del potere di eccezione: in quest’ultimo caso tuttavia il Giudice non potrà prescindere dall’individuare quale sia la parte che è legittimata a formulare la eccezione.

Nella specie, nel sistema previgente alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009 (applicabile “ratione temporis”, essendo stato depositato il ricorso ex lege n. 794 del 1942, in data 30.10.2008), la eccezione di estinzione ex art. 307 c.p.c., rispondeva all’esclusivo interesse dei soggetti chiamati a succedere od a sostituire la capacità della parte – nei cui confronti si era verificato l’evento interruttivo -, onde evitare di potere essere coinvolti nella lite anche a distanza di tempo, a causa della pendenza ad libitum del processo, in tal guisa fungendo, indirettamente, la previsione della eccezione di parte, anche da sollecitazione alla parte interessata ad attuare tempestivamente le iniziative necessarie a proseguire il giudizio verso l’esito naturale della decisione di merito, e dunque a riassumere tempestivamente il processo interrotto.

Soltanto ai predetti soggetti, e non anche alle altre – eventuali – parti processuali, spettava, pertanto, valutare se proseguire comunque – nonostante la tardiva riassunzione – il processo, ovvero se determinarne con la eccezione la estinzione: ne segue che l’irrituale esercizio del potere di eccezione effettuato da parti processuali diverse da quella legittimata, doveva e poteva essere rilevato “ex officio” dal Giudice di secondo grado, dipendendo l’efficacia di tale eccezione dalla posizione rivestita dalla parte nel processo che costituisce l’indefettibile presupposto della dichiarazione di estinzione del giudizio. In mancanza di tale verifica il Giudice di merito incorre in un vizio di nullità nello svolgimento della attività processuale, rilevabile di ufficio nel successivo grado di giudizio ed anche nel giudizio di legittimità, qualora sulla specifica questione della legittimazione ad eccepire la estinzione del giudizio non vi sia stata alcuna pronuncia espressa (in tal caso convertendosi il vizio in motivo di gravame).

Tanto premesso, la censura è fondata, in quanto, nè B.S. in proprio, nè GHVP s.r.l. – parti processuali diverse dai successori di Valutazioni Grossetane s.a.s. e di B.A., ai quali l’atto di riassunzione era stato ritualmente notificato, e che non si erano costituiti nel giudizio riassunto potevano formulare la eccezione di estinzione del giudizio (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 100 del 04/01/2011; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 30994 del 30/11/2018; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 21480 del 19/08/2019).

La parte ricorrente ha altresì censurato la sentenza di appello nella parte in cui ha ritenuto tardivo l’atto di riassunzione nei confronti di tutte indifferentemente le parti convenute in giudizio.

Anche tale censura è fondata.

Emerge dalla incontroversa esposizione dei fatti che la domanda era stata proposta nei confronti di una pluralità di parti per ottenere il pagamento di compensi professionali relativi a sette distinti procedimento giudiziari: indipendentemente dalla unicità del titolo della pretesa, che non è dato verificare alla stregua delle allegazioni di parte (non essendo noto se tutte le parti convenute avessero o meno stipulato lo stesso contratto di patrocinio e conferito le procure ad litem), non pare dubitabile che il credito azionato è vantato dal professionista nei confronti di più soggetti debitori che – anche nella ipotesi in cui figurassero, in tutti od in alcuni dei procedimenti giudiziari, parte processuale complessa, ossia titolari del medesimo interesse e della medesima posizione processuale – si relazionerebbero tra loro e nei confronti del creditore come coobbligati solidali, potendo quindi agire il professionista per ottenere da ciascuno di essi il pagamento dell’intero compenso relativo al procedimento trattato.

Si verte quindi in materia di processo con pluralità di parti relativo a cause connesse e scindibili.

Tale inquadramento assume carattere dirimente ai fini della risoluzione della questione di diritto sottoposta all’esame di questa Corte.

La questione in esame ha trovato già da tempo soluzione nella giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio intende dare seguito, in difetto di nuove argomentazioni critiche che possano indurre ad una rimeditazione.

La Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 15142 del 05/07/2007 ha, infatti, precisato che nel caso in cui l’evento interruttivo si verifichi, in un processo con pluralità di parti, nei confronti di una sola di esse, e non emerga una situazione di litisconsorzio necessario, il Giudice potrà, esercitando il potere conferitogli dall’art. 103 c.p.c., u.c., disporre la separazione dagli altri procedimenti di quello colpito da evento interruttivo.

Tale principio è stata ribadito e sviluppato dal successivo arresto di Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 9686 del 22/04/2013 la quale ha precisato che, nell’ambito del processo nel quale siano state introdotte più domande (artt. 103 a 106 c.p.c.), “l’interpretazione per cui, come regola, l’evento interruttivo che coglie la parte di una di tali domande non si propaga ai giudizi riuniti, ciò significa che rispetto agli altri, che si trovano a contraddittorio integro, non si può profilare nè la necessità di una loro riassunzione nè quella di una loro estinzione per esserne mancate la prosecuzione spontanea o la riassunzione. Non significa ancora che quanto alle altre domande il processo debba in ogni caso proseguire, nel senso che sia possibile quanto ad esse compiere atti istruttori od assumere decisioni, significa solo che non avendo su di esse inciso un effetto interruttivo, perchè si arrivi a poter poi provvedere a loro riguardo non sarà necessario che siano compiute da alcuna delle parti di tali cause atti processuali aventi finalità di riassunzione. Per modo che, se il giudice non ritenga di valersi, dove normativamente possibile, del potere previsto dell’art. 103 c.p.c., comma 2, il processo, quanto alle altre cause, dovrà essere governato in modo da continuare sol dopo che riguardo al giudizio raggiunto dall’interruzione si sia determinata la riassunzione o verificata l’estinzione”.

Tale soluzione corrisponde alle esigenze proprie della struttura del processo litisconsortile facoltativo: ed infatti, il creditore, come è libero di agire in giudizio contro uno qualsiasi dei condebitori, così è libero di riassumere il processo, instaurato nei confronti di tutti i coobbligati e successivamente interrotto (nella specie, per la morte di alcuni appellati), nei confronti di uno soltanto di essi, senza necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio nel giudizio di impugnazione (art. 331 c.p.c.), con la conseguenza che ove all’interruzione del processo per morte di uno dei creditori o condebitori non segua l’atto di riassunzione effettuato nel termine previsto nei confronti dei suoi eredi, il processo prosegue solo per i rapporti processuali relativi alle parti regolarmente citate, mentre, con riguardo alla parte deceduta, si estingue (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 20476 del 25/07/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 16018 del 07/07/2010; id. Sez. 2, Sentenza n. 15539 del 08/07/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 21170 del 20/10/2015; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 9960 del 20/04/2017; id. Sez. 2 -, Ordinanza n. 21514 del 20/08/2019).

Pertanto, avuto riguardo al caso di specie:

a) l’evento interruttivo (estinzione della società e morte della persona fisica) si è verificato soltanto nei confronti di Valorizzazioni Grossetane s.a.s. e di B.A.;

b) il Giudice di primo grado non ha ritenuto di dover disporre la separazione delle cause ex art. 103 c.p.c., u.c.;

c) nei confronti delle altre parti B.S. in proprio e (OMISSIS) s.r.l. il processo non ha prodotto effetti interruttivi, ma è entrato in una fase di stasi, destinata a cessare con il decorso del termine perentorio fissato dall’art. 305 c.p.c., comma 1 (nel testo vigente ratione temporis, anteriore alle modifiche della L. n. 69 del 2009) per la riassunzione del processo nei confronti dei successori della società cancellata dal registro delle imprese e del socio accomandatario.

Consegue la illegittimità della pronuncia della Corte d’appello che ha dichiarato estinto il giudizio nei confronti di tutte le parti, in quanto detta estinzione non poteva essere pronunciata nei confronti delle parti presenti, sia in quanto prive di legittimazione ad eccepire la estinzione (essendo al tempo la stessa attribuita nell’esclusivo interesse della parte nei cui confronti si era verificato l’evento interruttivo), sia in quanto rivestenti – al più – la posizione litisconsorti solidali, in relazione ai quali i rapporti processuali permanevano distinti rispetto a quello interrotto, dovendo quindi proseguire naturalmente verso il suo esito il processo relativo a tali causa connesse anche in mancanza di riassunzione della causa per la quale era stato dichiarato l’evento interruttivo.

In conclusione, accolto il ricorso – quanto al secondo motivo, assorbito il primo -, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa al Giudice di appello per nuovo esame e liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiarata assorbito il primo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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