Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4683 del 23/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/02/2017, (ud. 15/12/2016, dep.23/02/2017),  n. 4683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18479-2011 proposto da:

B.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ROBERTO SCOTT 62, presso lo studio dell’avvocato ENRICO POLVERINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIERLUIGI CORRADINI;

– ricorrente –

contro

A.R., (OMISSIS), M.M. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COSTANTINO 41, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO BARGIACCHI, rappresentati e difesi

dall’avvocato SANDRO LUNGARINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 376/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato SANDRO LUNGARINI, difensore dei controricorrenti,

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Civitavecchia, con sentenza del 12 febbraio 2002, rigettò la domanda con la quale A.R., M.M. e S.J. avevano chiesto la condanna di B.G. alla demolizione le opere eseguite ed eseguende sull’immobile di sua proprietà, sito in (OMISSIS), per violazione delle distanze legali dagli immobili di proprietà degli attori.

2. La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 2 febbraio 2011, ha accolto il gravame proposto dai soli A. e M., ed ha condannato B. a demolire la costruzione in sopraelevazione (primo piano) realizzata in violazione delle distanze legali, e al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede.

2.1. Accertato che la sopraelevazione realizzata dal sig. B., in quanto modificava la volumetria del fabbricato, con aumento della sagoma d’ingombro, costituiva “nuova costruzione” e come tale era soggetta al rispetto delle distanze legali, la Corte territoriale ha ritenuto che dovesse applicarsi il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, comma 1, punto 2), anche se non espressamente richiamato dallo strumento urbanistico vigente all’epoca (1999) per la zona denominata M3, su cui insistevano le costruzioni delle parti, che prevede la distanza minima tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti era di metri 10. Tale distanza nella specie non risultava rispettata e pertanto la costruzione del sig. B. doveva essere demolita.

3. Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso B.G., sulla base di quattro motivi, anche illustrati da memoria. Resistono con controricorso A.R. e M.M.. Il ricorso, già chiamato all’udienza del 9 marzo 2016, è stato rinviato a nuovo ruolo per l’acquisizione del Piano regolatore generale del Comune di (OMISSIS), vigente nel 1999, e di quello attuale, nonchè dei fascicoli d’ufficio dei giudizi di merito, e quindi nuovamente chiamato per la decisione all’odierna udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

1.1. Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9. Il ricorrente contesta l’applicazione della norma indicata nei rapporti tra privati, mentre la norma avrebbe come destinatarie le pubbliche amministrazioni nell’ambito della predisposizione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che nei casi in cui lo strumento urbanistico non provveda in tema di distanze, sarebbe operante l’art. 17 della legge n. 765 del 1967 (sono richiamate Cass., Sez. U. 01/07/1997, n. 5889; Cass., Sez. U. 01/08/2002, n. 11489).

1.2. La doglianza è infondata.

1.3. Dall’esame della documentazione pervenuta a seguito di ordinanza interlocutoria emerge che l’area su cui insistono le costruzioni delle parti, denominata M3-zona commerciale, non ha subito variazioni dal punto di vista della destinazione urbanistiche e della disciplina delle distanze.

Trova pertanto applicazione la norma contenuta nel D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, comma 1, richiamata nel Piano regolatore generale del Comune di (OMISSIS), che è norma dotata di efficacia precettiva anche nei rapporti tra privati, in quanto integrativa dell’art. 873 c.c..

1.4. In senso contrario non vale il richiamo alla pregressa giurisprudenza di questa Corte, che ha più volte affermato il principio secondo cui l’art. 9 citato non è immediatamente operante nei rapporti tra privati (ex plurimis, Cass., Sez. U. 01/07/1997, n. 5889).

Come di recente ben evidenziato all’esito della ricognizione della disciplina in esame (Cass. 26/07/2016, n. 15458), l’affermazione deve essere intesa nel senso che le prescrizioni del D.M. n. 1444 del 1968 necessitano, per la loro applicazione, della previa emanazione degli strumenti urbanistici locali, con i quali i comuni individuano le zone territoriali omogenee. Una volta che i comuni abbiano proceduto alla pianificazione del territorio, effettuando la ripartizione per zone omogenee, le distanze minime sono quelle previste dal citato D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 sia nel caso in cui lo strumento urbanistico preveda distanze inferiori, sia nel caso di assenza di previsioni sul punto. Nella prima ipotesi, questa Corte ha da tempo affermato che si verifica l’inserimento automatico della norma cogente di cui al D.M. n. 1444 del 1968 in sostituzione della illegittima previsione di distanze inferiori a quella minime (Cass., Sez. U. 07/07/2011, n. 14953). Nella seconda ipotesi, quando cioè lo strumento urbanistico non contenga previsioni al riguardo, ragioni di ordine sistematico e di interpretazione conforme impongono l’analoga conclusione, della inserzione automatica della disciplina dettata dal richiamato decreto.

Diversamente, la normativa introdotta dalla L. n. 765 del 1967, art. 7 (cosiddetta legge-ponte), invocata dal ricorrente, ha trovato applicazione nel periodo di vigenza – e cioè fino all’abrogazione disposta dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 136 (Cass., 25/11/2011, n. 24984) – nei comuni sprovvisti di strumento urbanistico, ovvero nei comuni dotati di strumento urbanistico approvato prima dell’entrata in vigore del D.M. n. 1444 del 1968, o ancora nei comuni in cui lo strumento urbanistico, pure se approvato successivamente all’entrata in vigore del citato D.M., non contenesse l’individuazione delle zone territoriali omogenee, che è il presupposto indefettibile dell’inserzione automatica delle prescrizioni sulle distanze previste dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9.

1.5. Come è evidente, nessuna delle situazioni elencate da ultimo ricorre nel caso di specie, nel quale lo strumento urbanistico risulta approvato successivamente all’entrata in vigore del D.M. n. 1444 del 1968 e contiene l’individuazione di zone territoriali omogenee, con la conseguenza che trova applicazione la disciplina prevista nel citato D.M.

2. Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 872 c.c., comma 2, e art. 873 c.c., e si contesta la statuizione di demolizione dell’intero costruito anzichè il ripristino della legalità, vale a dire l’arretramento di quanto edificato in violazione delle distanze, trattandosi di costruzione regolarmente autorizzata.

3. Con il terzo motivo è dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., e si contesta la statuizione di demolizione dell’intero costruito anche sotto il profilo dell’ultrapetizione, sul rilievo che gli appellanti avevano chiesto la demolizione della parte di opere che risultava realizzata in violazione delle distanze.

3.1. Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente per l’evidente connessione, sono infondate.

La sentenza non può che essere letta nel senso che la demolizione ha ad oggetto soltanto la parte della nuova costruzione che risulta realizzata in violazione delle distanze legali, in coerenza con il contenuto della domanda e con le norme cogenti che disciplinano le distanze legali.

4. Con il quarto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 696 c.p.c., nel testo antecedente alla L. n. 80 del 2005, applicabile ratione temporis, e si contesta la nullità dell’accertamento tecnico preventivo disposto in corso di causa, su cui era fondata la decisione, in quanto non limitato alla descrizione dei luoghi.

4.1. La doglianza è inammissibile.

La questione della nullità e/o inidoneità dell’accertamento tecnico preventivo non è stata esaminata dalla Corte d’appello e il ricorrente non specifica quando e come l’avrebbe dedotta, con la conseguenza che si tratta di questione nuova, come tale inammissibile (ex plurimis, Cass. 22/04/2016, n. 8206).

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei resistenti, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2017

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