Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4683 del 14/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 14/02/2022, (ud. 02/12/2021, dep. 14/02/2022), n.4683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14048-2020 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MAURIZIO

BUFALINI 8, presso lo studio dell’avvocato MATTEO DI PUMPO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BARTOLOMEO EMILIO BIUSO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato LELIO MARITATO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati EMANUELE DE ROSE,

CARLA D’ALOISIO, ANTONIETTA CORETTI, ANTONINO SGROI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2368/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 27/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA

CALA FIORE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Bari ha accolto l’appello proposto dall’INPS avverso la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda dell’architetto B.A. tesa a far accertare l’illegittimità della propria iscrizione nella Gestione separata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, per l’anno 2008, con conseguente accertamento negativo del debito contributivo, il cui pagamento era preteso dall’INPS in relazione all’attività libero-professionale svolta senza che lo stesso professionista, iscritto all’albo professionale, fosse iscritta alla Cassa Nazionale di Previdenza Architetti ed ingegneri;

la Corte d’appello, oltre che ritenere sussistente l’obbligo assicurativo predetto, ha esaminato la questione della prescrizione dei contributi dovuti ed ha ritenuto che il dies a quo della prescrizione decorresse dalla data in cui tali contributi avrebbero dovuto essere versati (D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 18, comma 4) nei termini previsti dai diversi D.P.C.M. che si erano succeduti nel tempo (D.P.C.M. 14 giugno 2009 con scadenza 6 luglio 2009 nel caso di specie);

dunque, il termine quinquennale era stato efficacemente interrotto a mezzo della notifica dell’avviso bonario dell’INPS in data 27 giugno 2014 (anche se per evidente refuso la sentenza indica il 27 agosto 2014, come si evince invece dalla stessa affermazione contenuta in ricorso alle pagine 3 e 6 che rinviano all’allegato sub 4) del fascicolo di primo grado), in quanto il dies a quo del termine prescrizionale andava computato con decorrenza dalla data di scadenza del termine per il pagamento dei medesimi contributi previdenziali (che nel caso in esame scadeva incontestabilmente il 6.7.2009) non rilevando le proroghe del termine soggette al pagamento di interessi corrispettivi che maturano su crediti esigibili;

avverso tale pronuncia l’architetto B. ha proposto ricorso per cassazione deducendo un motivo di censura;

l’INPS ha resistito con controricorso;

la proposta del relatore è stata comunicata unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo di ricorso l’architetto B. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., e della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, lett. b), in ragione del fatto che la sentenza impugnata, pur muovendo dalla corretta impostazione relativa alla individuazione del dies a quo della decorrenza del termine prescrizionale (6 giugno 2009 quale scadenza del termine di pagamento del saldo della contribuzione dell’anno 2008 come previsto dal D.P.C.M. 4 giugno 2009, e non dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi) aveva errato nel non considerare che l’avviso bonario era stato notificato solo il 27 giugno 2014, cioè oltre il termine del 16 giugno 2014; peraltro, Cassazione n. 23040 del 2019 aveva espresso il principio che il differimento del termine di pagamento per l’anno 2008, a mezzo D.P.C.M., al 6 luglio 2009 doveva ritenersi limitato ai versamenti dovuti dai soggetti che esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore, trattandosi inoltre di meri atti amministrativi non caratterizzati dal duplice connotato della normativa e della giuridicità;

il motivo è infondato;

le questioni dallo stesso proposte sono state affrontate e risolte dalla più recente giurisprudenza di questa Corte di legittimità (da ultimo vd. Cass. n. 35203 del 2021 e le sentenze ivi richiamate), anche superando gli arresti citati dal ricorrente, e può dirsi ormai consolidato l’orientamento secondo il quale:

– in ordine al dies a quo del termine di prescrizione, va ribadito che la prescrizione dei contributi dovuti alla Gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il relativo pagamento e non già dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa (così, tra le tante, Cass. n. 27950 del 2018, Cass. n. 19403 del 2019, Cass. n. 1557 del 2020);

– l’obbligazione contributiva nasce infatti in relazione ad un preciso fatto costitutivo, che è la produzione di un certo reddito da parte del soggetto obbligato, mentre la dichiarazione che costui è tenuto a presentare ai fini fiscali, che è mera dichiarazione di scienza, non è presupposto del credito contributivo, così come non lo è rispetto all’obbligazione tributaria;

– va ribadito che, pur sorgendo il debito contributivo sulla base della produzione di un certo reddito, la decorrenza del termine di prescrizione dell’obbligazione dipende dall’ulteriore momento in cui scadono i termini previsti per il suo pagamento: lo si desume dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 55, secondo il quale i contributi obbligatori si prescrivono “dal giorno in cui i singoli contributi dovevano essere versati”;

– viene quindi in rilievo il D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 18, comma 4, che ha previsto che i versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi”;

– assume rilievo, ai fini della decorrenza della prescrizione in questione, anche il differimento dei termini stessi previsto dalla disposizione di cui al D.P.C.M. 10 giugno 2010, art. 1, comma 1, in relazione ai contributi dovuti per l’anno 2009 dai titolari di posizione assicurativa che si trovino nelle condizioni da detta disposizione stabilite” (Cass. n. 10273 del 2021);

– il citato D.P.C.M. 10 giugno 2010, art. 1, comma 1, emanato giusta la previsione generale del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 18, ha previsto, per quanto qui rileva, che “i contribuenti tenuti ai versamenti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi (…) entro il 16 giugno 2010, che esercitano attività economiche per le quali sono stati elaborati gli studi di settore di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, e che dichiarano ricavi o compensi di ammontare non superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore dal relativo decreto di approvazione del Ministro dell’economia e delle finanze”, debbano effettuare i versamenti “entro il 6 luglio 2010, senza alcuna maggiorazione” (lett. a) e “dal 7 luglio 2010 al 5 agosto 2010, maggiorando le somme da versare dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo” (lett. b);

– la Corte, nel precedente citato (v. in motivazione, Cass. n.10273 cit.) ha chiarito, altresì, che il differimento del termine di pagamento concerne tutti i “contribuenti (…) che esercitano attività economiche per le quali s(iano) stati elaborati gli studi di settore e non soltanto coloro che, in concreto, alle risultanze di tali studi (siano) fiscalmente assoggettati per non aver scelto un diverso regime d’imposizione (…)”;

– ai D.P.C.M., secondo l’orientamento consolidato, deve riconoscersi natura regolamentare e quindi di fonte normativa quando hanno funzione attuativa o integrativa della legge (v. Cass. n. 73 del 2014; Cass. n. 16586 del 2010; Cass. n. 20898 del 2007; Cass. n. 5360 del 2004; Cass. n. 23674 del 2004; Cass. n. 11949 del 2004; Cass. n. 14210 del 2002; Cass. n. 1972 del 2000), come nell’ipotesi in esame (il D.P.C.M. 10 giugno 2010, è stato infatti emanato in attuazione della delega di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 12, comma 5);

ai principi espressi si è uniformata la sentenza, per il ricorso va rigettato;

le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 2 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2022

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