Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4681 del 10/03/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4681 Anno 2016
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: RUBINO LINA

SENTENZA
sul ricorso 1240-2014 proposto da:
VALOTTI

DENIS

VRTDNS55D08C312F,

SCUTARI

RENZO

SCTRNZ64R27C312V, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA MONTE SANTO N 10 A, presso lo studio dell’avvocato
ALESSANDRO

ORSINI,

rappresentati

e

difesi

dall’avvocato LUCIANO CHIARINI giusta procura speciale
2015

a margine del ricorso;
– ricorrenti –

2494

contro

ACERBI RENATA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CRESCENZIO

20,

presso

lo

studio

1

dell’avvocato

Data pubblicazione: 10/03/2016

FRANCESCO STORACE, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ALEARDO FARIO ANGRIGLIANI
giusta procura speciale a margine del controricorso;
CHITO’ GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA COLA DI RIENZO 162, presso lo studio dell’avvocato

difende unitamente all’avvocato MARIO PASINI giusta
procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 656/2013 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 22/05/2013, R.G.N. 800/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/12/2015 dal Consigliere Dott. LINA
RUBINO;
udito l’Avvocato ALESSANDRO ORSINI per delega;
udito l’Avvocato FRANCESCA PAULUCCI BAROUKH per
delega;
udito l’Avvocato LUCIA SCALONE DI MONTELAURO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso.

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LUCIA SCALONE DI MONTELAURO, che lo rappresenta e

R.G. 1240 \ 2014
I FATTI
Nel 2001 Acerbi Renata vendeva a Denis Vallotti e Renzo Scutari un immobile in Castel
Goffredo, costituito da un fabbricato di circa 600 mq, che questi intendevano adibire ad
attività commerciale, un’area cortiva e un terreno adibito a giardino di pertinenza,

Poco dopo Giovanni Chittò, assumendo di essere proprietario coltivatore diretto di un
terreno confinante, li conveniva in giudizio deducendo che l’immobile oggetto di
compravendita era costituito da una casa rurale con annessa area di pertinenza, e un
appezzamento di terreno di mq 2920 incluso in piano regolatore in zona E2, cioè
agricola, confinante con quello di sua proprietà e da lui coltivato, ed esercitando il diritto
di riscatto agrario sull’immobile e sul terreno. Aggiungeva che la proprietaria, ai fini della
vendita, aveva poco prima di essa iscritto la costruzione esistente sul fondo al catasto
fabbricati, ma che questo non faceva venir meno la destinazione agricola del terreno.
Gli acquirenti chiamavano in giudizio la venditrice per essere da questa manlevati.
All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Mantova accoglieva la domanda di
riscatto proposta dal Chittò e dichiarava trasferita in suo favore la piena proprietà del
compendio immobiliare costituito da terreno con sovrastante fabbricato per complessivi
mq.4811, condizionando sospensivamente il trasferimento al pagamento dal retraente ai
convenuti del prezzo di vendita, e rigettando la domanda di manleva degli acquirenti nei
confronti della proprietaria.
La Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 656 \2013, depositata il 22 maggio
2013, qui impugnata, rigettava sia l’appello principale degli acquirenti che gli appelli
incidentali del Chinò e della Acerbi.
Vallotti Denis e Scutari Renzo propongono quattro motivi di ricorso per cassazione nei
confronti di Chittò Giovanni e Acerbi Renata.
Sia l’Acerbi che il Chittò resistono con separati controricorsi, quello del Chittò illustrato
da memoria.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE
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garantendo tra l’altro l’immobile come libero da diritti di prelazione spettanti a terzi.

Il ricorso degli acquirenti Vallotti e Scutari è articolato in quattro motivi : i primi due
contestano la decisione d’appello in relazione alla posizione del retraente Chittò, i motivi
terzo e quarto invece contestano la decisione in relazione alla posizione della venditrice
e chiamata in garanzia Acerbi.
Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione
degli artt. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, nonché

Lamentano che la corte territoriale abbia confermato la natura agricola del bene
compravenduto, ritenendo irrilevante sia l’errore nella indicazione della superficie
operato dal giudice di primo grado ( che indicava una superficie complessiva di mq.
43.120, mentre si trattava di soli 4.800 mq., di cui oltre 600 mq. di costruzione, ed anche
il fatto che l’immobile fosse stato da loro acquistato come fabbricato urbano, riportato
nel catasto fabbricati. Aggiungono che non sarebbe stato adeguatamente considerato che
con variante di PRG del 2004 i terreni circostanti il fabbricato sarebbero stati inseriti in
zona agricola E3 di tutela ambientale.
Essi sostengono :
-che sia necessario guardare alle caratteristiche dell’immobile al momento della vendita;e
— che al momento della vendita il fabbricato era accatastato all’urbano;
– che solo dopo tre anni dalla vendita, l’immobile viene inserito in zona agricola E3;
– che i due terreni non erano in effetti confinanti, mancando la contiguità fisica e
materiale tra i due terreni, posto che al confine sorgeva una bassa recinzione in muratura
e più oltre un fossetto di scolo, come accertato dal c.t.u..
Il motivo è infondato.

E’ ben vero che occorre avere riguardo alla situazione dell’immobile al momento della
vendita. A questo proposito nella sentenza non si dubita che l’immobile, benché
accatastato all’urbano sorgesse su un terreno con vocazione agricola.
Si può evincere dalla lettura degli atti che gli acquirenti avessero intenzione di avviare
un’attività commerciale nella cospicua costruzione sorgente sul terreno, e tuttavia la
corte d’appello ha correttamente accertato che il vicino coltivatore diretto avesse

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dell’art. 11 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c.

legittimamente esercitato il riscatto in relazione alle caratteristiche oggettive del fondo,
atteso che :
– l’accatastamento di un fabbricato come immobile urbano anziché come fabbricato
rurale l’accatastamento, per iniziativa del proprietario, del mappale su cui insiste il
terreno come destinazione pertinenziale dello stesso all’immobile accatastato come
urbano non incide sulla natura del fabbricato né tanto meno sulla natura del fondo sul

avviene sulla base delle dichiarazioni fornite dalla stessa parte che vi procede, unico dato
rilevante essendo la destinazione (agricola o diversa) del fondo prevista dal piano
regolatore ;
– la minore estensione del terreno effettivamente venduto rispetto a quella erroneamente
indicata nella sentenza di primo grado non incide sulla vocazione agricola di esso
qualora non sia stato accertato che esso sia troppo esiguo per l’effettivo svolgimento di
un’attività agricola produttiva di reddito : al contrario, la sentenza impugnata fa proprie
le considerazioni del giudice di primo grado che ha escluso che il fondo fosse di esiguità
tale da escludere il diritto al riscatto ;
– l’inserimento solo successivo alla vendita del terreno in zona agricola E3 non è
determinate atteso che nella sentenza si dà per non contestato che fin dal momento della
vendita esso sorgesse in zona agricola e si accerta che il futuro mutamento del piano
regolatore non avrebbe assegnato allo stesso un indice di edificabilità maggiore di quello
previsto per le zone agricola ;
-la contestazione relativa alla pretesa non confinanza dei fondi è questione nuova e non
può essere presa in considerazione per la prima volta in sede di legittimità.
Col secondo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione dell’art. 7
della legge n. 817 del 1971, nonché dell’art. 31 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 2967
c.c.
In relazione alle titolarità in capo al riscattante della condizioni soggettive per fruire del
diritto di riscatto, i ricorrenti sostengono che la corte d’appello ha ritenuto provata la
qualifica di coltivatore diretto in capo al Chittò, in mancanza di documenti,
esclusivamente sulla base di prove testimoniali che però dovevano necessariamente
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t

quale esso sorge, atteso che l’iscrizione in catasto è una registrazione amministrativa che

riferirsi, data l’ampiezza di terreno cui facevano riferimento, ad un diverso
appezzamento di terreno in proprietà del Chittò, e non a quello confinante con la
proprietà da loro acquistata. Sostengono quindi che dalle risultanze istruttorie non
emergesse la prova che il Chittò coltivasse personalmente il fondo confinante
relativamente al quale ha esercitato il riscatto
Il motivo è infondato.

affermazioni contenute nella sentenza impugnata secondo le quali la presenza di
contoterzisti non esclude la lavorazione diretta e abituale del fondo da parte del Chittò .
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’ art.
1483 c.c..
Fanno presente di aver chiesto nei confronti della venditrice Acerbi, fin dalle conclusioni
svolte in primo grado che la A. fosse condannata a manlevarli e a restituire quanto
percepito a titolo di corrispettivo, oltre al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato
giudizio. Lamentano che la loro domanda risarcitoria sia stata ritenuta inammissibile
dalla corte d’appello in quanto non contenuta nella chiamata in causa e formulata in
appello in termini del tutto generici. Non riproducono però le conclusioni di primo
grado , né indicano con precisione ove esse siano contenute e se l’atto o il documento
sia stato nuovamente prodotto nel giudizio dinanzi a questa Corte.
Il motivo è inammissibile prima ancora che infondato, in quanto i ricorrenti non
richiamano testualmente il contenuto delle conclusioni tratte in primo grado, né indicano
con precisione , in ossequio all’art. 366, n. 6 c.p.c., in quale atto o documento esse
fossero contenute e se esso sia stato nuovamente depositato in questa sede.
Per contro, nella sentenza impugnata la corte d’appello afferma espressamente che la
domanda risarcitoria non era presente nell’atto di chiamata in causa, ed in base alle
conclusioni di primo grado che essi stessi riassumono non risulta formulata una
domanda risarcitoria nel presente giudizio.
Con il quarto ed ultimo motivo, deducono la violazione dell’art. 112 c.p.c. denunciabile
ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., ovvero la nullità della sentenza violata.

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Trattasi non di questioni giuridiche ma di valutazioni in fatto, contrastanti con le

Contestano il punto della sentenza di appello che li ha condannati a pagare le spese di
giudizio alla Acerbi in conseguenza della ritenuta inammissibilità della loro domanda
risarcitoria, pur non avendo mai la Acerbi chiesto la loro condanna alle spese, ma solo la
condanna del Chittò.
Sostengono che la sentenza abbia violato il principio di corrispondenza tra chiesto e
pronunciato non avendo mai la vincitrice proposto domanda di condanna alle spese nei

A prescindere dalla considerazione per cui il vizio denunciato avrebbe dovuto essere più
correttamente inquadrato nell’ipotesi di cui all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., il
motivo è infondato.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte la condanna al pagamento delle spese del
giudizio, in quanto consequenziale ed accessoria, può essere legittimamente emessa a
carico del soccombente anche d’ufficio, in mancanza di un’esplicita richiesta della parte
vittoriosa, sempreché quest’ultima non abbia manifestato espressa volontà contraria,
anche quando il giudice debba dichiarare cessata la materia del contendere, dovendosi in
tal caso delibare il fondamento della domanda per regolare le spese secondo il principio
della soccombenza virtuale ( v. da ultimo Cass. n.2719 del 2015).
Atteso che i ricorrenti- acquirenti hanno subito l’evizione del fondo ad essi venduto
dalla Acerbi e garantito dalla stessa come libero da ogni prelazione, sussistono giusti
motivi per compensare le spese di giudizio tra di essi e la controricorrente Acerbi;
quanto alla regolazione delle spese con il controricorrente Chittò, esse seguono la
soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

nostri confronti.

Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio
2013, ed in ragione della soccombenza del ricorrente, la Corte, ai sensi dell’art. 13
comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 , dà atto della sussistenza dei presupposti per
il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello
stesso art. 13.

P.Q.M.

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Vi-.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese di giudizio tra i ricorrenti e la Acerbi;
liquida le spese in favore del contro ricorrente Chittò in complessivi curo 7.500,00 di cui
200,00 per spese, oltre accessori e contributo spese generali.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, di un
ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso

Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 14 dicembre 2015

Il Relatore

Il Presidente

principale.

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