Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4679 del 25/02/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 4679 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DI PALMA SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso 15191-2011 proposto da:
DE

BIAGI

PIETRO

DBGPTR4OL29G479S,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 132, presso lo
studio dell’avvocato CIGLIANO FRANCESCO, che lo
rappresenta e difende, giusta procura speciale in
calce al ricorso;
– ricorrente –

2012
5868

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 25/02/2013

STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

controrícorrente

avverso il decreto nel procedimento R.G. 370/2010
della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA dell’1.12.2010,
depositato il 03/12/2010;

udienza del 19/09/2012 dal Consigliere Relatore Dott.
SALVATORE DI PALMA;
udito per il ricorrente l’Avvocato Francesco Cigliano
che ha chiestgo l’accoglimento del ricorso o la
rimessione dello stesso alle SS.UU.
E’ presente il

Procuratore Generale in persona del

n)tt. LIDPRTINO ALBERTO RUSSO ohe ha

rigetto del ricorso.

c3m11 .1,1nQ laQx’ il

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.g. 11. 15191/11 — U. P. 19 settembre 2012

Equa riparazione

Ritenuto che Pietro De Biagi, con ricorso del l ° giugno 2011, ha impugnato per cassazione —
deducendo un unico, articolato motivo di censura, illustrato con memoria —, nei confronti del
Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di L’Aquila, depositato in data 3 dicembre
2010, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del De Biagi — vòlto ad ottenere
l’equa riparazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali ai sensi dell’art. 2, comma 1, della
legge 24 marzo 2001, n. 89 —, in contraddittorio con il Ministro della giustizia — il quale,
costituitosi, ha concluso per l’inammissibilità o per l’infondatezza del ricorso —, ha rigettato le
domande;
che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;
che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno patrimoniale e non patrimoniale —
richiesto per l’irragionevole durata del processo presupposto, nella misura, rispettivamente, di €
100.000,00 e di € 22.000,00 — proposta con ricorso del 25 maggio 2010, era fondata sui seguenti
fatti: a) il De Biagi era stato convenuto dinanzi al Tribunale di Pesaro con citazione del 20 febbraio
1987, ivi costituendosi con comparsa del 4 novembre 1987; b) il Tribunale adito aveva deciso la
causa con sentenza del 13 giugno 1997; c) la Corte d’Appello di Ancona aveva definito le
impugnazioni hinc inde con sentenza del 27 dicembre 2003; ci) a séguito di ricorsi principale ed
incidentale, la Corte di cassazione aveva deciso i ricorsi con sentenza n. 10859/07 dell’Il maggio
2007; e) a séguito di ricorso per revocazione avverso tale sentenza proposto dal De Biagi, la Corte
di cassazione, con ordinanza n. 25046/09 del 27 novembre 2009, aveva dichiarato inammissibile il
ricorso;
che la Corte d’Appello di L’Aquila, con il suddetto decreto impugnato, ha rigettato le domande,
perché: a) la domanda di equa riparazione è stata proposta con ricorso del 25 maggio 2010,
allorquando era già decorso il termine semestrale di cui all’art. 4 della legge n. 89 del 2001,
decorrente dalla sentenza della Corte di cassazione n. 10859/07 dell’ 11 maggio 2007, e non già
dalla successiva ordinanza di inammissibilità del ricorso per revocazione n. 25046/09 del 27
novembre 2009; b) la domanda di equa riparazione concernente la durata del giudizio di
revocazione è manifestamente infondata, in quanto tale giudizio ha avuto la durata ragionevole di
circa un anno.
Considerato che, con il motivo di censura, il ricorrente critica il decreto impugnato, anche sotto
il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus non hanno considerato che: a) il
termine semestrale di cui all’art. 4 della legge n. 89 del 2001 decorre non già dalla data della
pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione che ha definito il ricorso ordinario, ma dalla
data successiva della pubblicazione dell’ordinanza che ha definito il giudizio di revocazione,
essendo soltanto questa la decisione definitiva che ha esaurito tutte le vie di ricorso interne; b) la
“definitività” di cui al citato art. 4 si riferisce non già ad una decisione passata in giudicato ma alla
nozione di condizione di proponibilità dell’azione;
che il ricorso non merita accoglimento;

Sentenza

che, com’è noto, l’art. 4 della legge n. 89 del 2001, applicabile alla specie ratione temporis,
stabilisce: «La domanda di riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento
nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal
momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva» (non è
inutile sottolineare, per quanto in questa sede rileva, che l’art. 55, comma 1, lettera d, del decreto
legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 7 agosto 2012, n. 134, nel sostituire il riprodotto art. 4 — «La domanda di riparazione può
essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude
il procedimento è divenuta definitiva» , ha lasciato sostanzialmente immutata la disposizione
concernente il termine di proponibilità della domanda di equa riparazione);
che, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per
violazione del termine ragionevole di durata del processo, ai fini dell’individuazione della data di
decorrenza del termine di decadenza di sei mesi per la proponibilità della domanda, la decisione
conclusiva del procedimento, nel quale la violazione si assume verificata, diventa «definitiva» con
il passaggio in giudicato della sentenza che lo definisce (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 1775 del
2012, 7874 e 24450 del 2006);
che, inoltre ed in particolare, questa Corte ha enunciato il principio di diritto — correttamente
richiamato dai Giudici a quibus secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione della
durata ragionevole del processo, il termine semestrale di decadenza per la proposizione della
relativa domanda, previsto dall’art. 4 della legge n. 89 del 2001, decorre dalla data in cui è divenuta
definitiva la decisione che conclude il processo della cui durata si discute, sicché detto termine, una
volta spirato, non può essere riaperto, ed a tempo indeterminato, per effetto del ricorso per
revocazione della sentenza conclusiva del processo presupposto che, costituendo un mezzo di r
impugnazione straordinario, non è legato da “rapporto di unicità” con il giudizio di revocazione
(cfr. la sentenza n. 24358 del 2006, seguita per i giudizi in materia pensionistica dinanzi alla Corte
dei conti, dalle sentenze nn. 15778 del 2010, 3189, 8917 e 9843 del 2012);

che, dunque, applicando tali principi alla fattispecie, non può esservi dubbio che — nel caso in
cui, quale quello di specie, il processo presupposto sia stato definito con sentenza della Corte di
cassazione, di reiezione del ricorso, ed avverso tale sentenza sia stato proposto ricorso per
revocazione, ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ. — il dies a quo del termine semestrale, di cui
all’art. 4 della legge n. 89 del 2001, coincide con la pubblicazione della sentenza della Corte di
cassazione che ha respinto il ricorso, determinando in tal modo il passaggio in giudicato della
decisione impugnata con il ricorso ordinario per cassazione;

che ogni altro profilo di censura deve ritenersi assorbito;
che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel
dispositivo;
che, a tal fine, rileva invece il D.m. (Giustizia) 20 luglio 2012, n. 140, giacché il suo art. 41
prevede che «Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla
sua entrata in vigore» (cioè al 23 agosto 2012, giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale, come stabilito dall’art. 42 dello stesso decreto), armonizzandosi con la norma, di rango
legislativo, di cui all’art. 9, comma 3, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con
2

che pertanto, tenuto conto della tabella A — Avvocati, richiamata dall’art. 11 del citato D. m. n.
140 del 2012, del valore della controversia e, quindi, dello scaglione di riferimento fino a euro
25.000,00 per i giudizi dinanzi alla Corte di cassazione, nonché applicata (in ragione della minima
complessità della controversia, alla stregua della ponderazione richiesta dall’art. 4 dello stesso D.
m.) la diminuzione massima indicata all’interno di detto scaglione per ciascuna fase e ridotto il
compenso così risultante del 50% ai sensi dell’art. 9 del medesimo d.m. n. 140 del 2012, trattandosi
di causa avente ad oggetto l’indennizzo da irragionevole durata del processo, spetta ai ricorrenti la
somma di euro 180,00 per la fase di studio, euro 112,50 per la fase introduttiva, ed euro 213,25 per
la fase decisoria e così complessivamente la somma di euro 505,75.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle le spese, che liquida in complessivi € 505,75, oltre
alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 19 settembre 2012
Il Con igliere relatore ed estensore

modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, secondo la quale le «tariffe
vigenti alla data di entrata in vigore del presente continuano ad applicarsi, limitatamente alla
liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al
comma 2», cioè, segnatamente, del decreto del Ministero della giustizia che, nel caso di
liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, stabilisce i parametri per la determinazione del
compenso del professionista, ciò in quanto lo stesso art. 9 del citato d.l. n. 1 del 2012 ha abrogato
tutte «le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico» (comma 1), nonché «le
disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alla tariffe
di cui al comma 1» (comma 5);

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